IL GIAPPONE STA PREPARANDO UN SECONDO "MIRACOLO di Ennio Caretto

IL GIAPPONE STA PREPARANDO UN SECONDO "MIRACOLO IL GIAPPONE STA PREPARANDO UN SECONDO "MIRACOLO Tokyo, scandali all'italiana (Dal nostro inviato speciale) Tokyo, febbraio. Lo scorso dicembre, quando lo nominarono inaspettatamente primo ministro, un giornalista chiese a Takeo Miki come si sentisse. Il Giappone usciva da una grave crisi di governo, e scandali di ogni genere scuotevano i partiti. « Mi sento come un veliero che salpi verso la tempesta », rispose Miki, il volto ancora giovanile nonostante i 67 anni, incerto tra la smorfia e il sorriso. Secondo il giornale Mainichi, egli saliva al potere con l'appoggio del 47 per cento della popolazione. Ma il primo ministro non ignorava che il suo predecessore Kakuei Tanaka, travolto due mesi innanzi dalla « Watergate nipponica », era stato inizialmente sostenuto da oltre la metà degli elettori. Takeo Miki è forse il più rispettato dei leaders giapponesi. Siede in Parlamento dal 1937, appare in ogni governo dal 1954, e rappresenta l'ala progressista dei liberaldemocratici, veri padroni del Paese. E' stato fautore delle riforme sociali e dell'apertura alla Cina, della difesa dell'ambiente naturale e della moralizzazione dei partiti. Antimilitarista già prima della guerra, ha anche mantenuto le distanze dal big business durante il miracolo economico. E' un. cultore di storia e letteratura con Vhobby della bella calligrafia e degli ideogrammi. Il suo programma di dicembre fu riassunto negli slogans « onestà » e « buon vicinato », e per la sua applicazione il primo ministro chiese l'aiuto « di tutti i patrioti ». Se qualcuno poteva resti¬ tuire l'equilibrio al Giappone, era Takeo Miki. Eppure, dopo poche settimane, l'inquietudine iniziale del nuovo capo di governo non sembra più senza fondamento. Le sue speranze di risanare la politica e restituire al Paese la fede nelle istituzioni democratiche si affievoliscono. Egli stesso — l'uomo dalle mani pulite, come lo chiamavano — si trova sotto accusa (i Komeito gli imputano l'accumulo del debito di fondi elettorali; i socialisti il boicottaggio del processo contro i monopoli; i comunisti l'insabbiamento dello scandalo finanziario che costrinse alle dimissioni Kakuei Tanaka. All'interno del suo partito, è ostacolato dalle fazioni più potenti. La vera crisi Le difficoltà di Takeo Miki rispecchiano fedelmente il clima nazionale. La vera crisi giapponese è politica, non economica, di sfiducia nel sistema più che nel mercato. Invece della stagflation, il Paese teme la corruzione. Forse la crisi era inevitabile, in una democrazia che ha meno di trent'anni, divenuta ricca troppo in fretta. Nella lontana Europa, il Giappone è visto come un monolito, fedele agli Stati Uniti, ma amico della-Cina e imparziale con la Russia, ed i suoi sussulti interni ci rammentano solo le sanguinose rivolte studentesche. La realtà è molto più complessa. A poco a poco nel Paese s'è instaurata un'aria di regime, le istanze sociali sono state trascurate a favore dei giochi e interessi settoriali. Al dinamismo esterno, che Iha reso i giapponesi indi¬ spensabili allo sviluppo ed equilibrio dell'Asia, s'è contrapposta all'interno un'arteriosclerosi progressiva. Anche da questo punto di vista il Giappone offre sorprendenti analogie con l'Italia. I liberaldemocratici sono al governo dalla fine della guerra, comprendono una serie di correnti (le habatsu) che vanno dall'estrema destra ad una sinistra velleitaria. Sono vicende che ricordano le nostre: finanziamenti occulti, clientele parassitarie, compromessi e contrasti in violazione della legge. Sovente i giornali stampano notizie dagli echi per noi familiari, come i processi ai petrolieri e le intimazioni giudiziarie su ministri e deputati. « La situazione è grave ». ci dice Zeinmei Matsumoto, membro del comitato centrale comunista, responsabile per gli affari esteri, « e la crisi economica l'ha esasperata. Politicamente il Paese è quasi al limite della rottura. Lo hanno capito anche i liberaldemocratici. La nomina a primo ministro di Takeo Miki è un disperato tentativo di rinnovamento. Schiacciati da due uomini forti, Ohira, che è legato ai colossi dell'industria, e Fukuda, che è un rigido conservatore, si sono avventurati sulla via della riforma. Si tratta di ritrovare una verginità, lenire lo scontento popolare e allargare la base del partito. Sono ormai due anni che perdono voti alle elezioni ». Matsumoto mi ha ricevuto nel suo ufficio alla Dieta, tra una decina di giovani intenti a formulare analisi politiche. Veste all'occidentale, parla un ottimo inglese, ed è versato nei problemi italiani. « Come da voi i democristiani optarono per il centrosinistra, così da noi i liberaldemocratici cercheranno di salvarsi con una coalizione », afferma. « Dopo trent'anni il monocolore è superato ». Mi traccia un rapido quadro degli schieramenti in Parlamento. « Alla Camera, il governo ha 279 seggi e al Senato 127, contro 208 e 123 rispettivamente dell'opposizione nel suo complesso. Prevediamo che, per mantenere la supremazia, proporrà l'alleanza ai socialdemocratici e al Komeito. Forse, proverà anche a scindere in due i socialisti». Mi porge una tazza di tè. «Non sì lasci ingannare da queste cifre. Il Paese è più a sinistra di quanto esse non facciano pensare. Sono le norme elettorali che favoriscono il governo. A livello di regione e di comune, da solo esso si troverebbe in minoranza: le principali amministrazioni locali sono socialcomuniste ». Le sinistre Una differenza sostanziale tra il Giappone e l'Italia è che qui non si parla di pc al governo (alla Camera ha appena 39 seggi) e che il ps, proporzionalmente, è assai più forte (ne ha 118). Un fronte nazionale dei due partiti, ha ammesso Matsumoto, è poi improbabile: al di là dei compromessi operativi, esistono scarsi punti di convergenza, solo il neutralismo e l'antimonopolismo. I comunisti giapponesi sono ancora più duttili di quelli italiani, rifiutano la rivoluzione armata, si tengono equidistanti dall'Urss e dalla Cina, limitereb¬ bero le nazionalizzazioni alle fonti di energia. Ma verso Marx e Lenin i giapponesi nutrono una diffidenza quasi atavica. Che prospettive ha questo Paese di superare celermente la crisi politica? Senz'altro migliori dell'Italia. Possiede innato il senso della stabilità e dell'armonia, è refrattario ai cambiamenti improvvisi e radicali, h'hanashiai, la ricerca del consenso, rimane il suo mezzo preferito di confronto. Favorisce il cambio delle generazioni, sia pure lentamente e nel rispetto del passato: i suoi primi ministri, appena eletti, continuano a cercare ispirazione nei templi buddisti e scintoisti, vestiti degli abiti cerimoniali, in solitudine. Il Giappone si evolve senza rinnegare mai se stesso. E nella propria potenza industriale, trova un margine di manovra molto ampio. E' altresì difficile credere al crollo dei liberaldemocratici. Il graduale spostamento dell'elettorato li ha indeboliti ma gli ha anche indicato la strada della sopravvivenza. Essi saranno costretti ad abbandonare la posizione di centro-destra per un'altra più aperta. Non si può neppure esclu dere una sorpresa socialista. Molti mi hanno indicato nel sindaco di Yokohama, Ichio Asukata, eletto da poco vicepresidente del ps, l'uomo che forse sbloccherà la situazione. Costoro vedono, in un futuro non lontano, il Giappone governato da un centrosinistra: il ps appunto, il Komeito, i socialdemocratici e la parte illuminata dei liberaldemocratici. Ennio Caretto