Queste le sette terribili ore del ragazzo con la pistola puntata dietro la schiena di Remo Lugli

Queste le sette terribili ore del ragazzo con la pistola puntata dietro la schiena L'agghiacciante avventura vissuta a Casatenovo Brianza Queste le sette terribili ore del ragazzo con la pistola puntata dietro la schiena (Segue dalla 1a pagina) laiico, comandante la compagnia di Milano, sale le scale del primo piano, suona all'uscio della famiglia Brivini che abita di fronte al Gazzilli. Chiede alla signora di volere cortesemente tenere l'uscio aperto. Una precauzione che si dimostrerà utile. Suona da Gazzilli. All'interno rumori di passi affrettati, un chiavistello che si chiude. A questo punto il colonnello Talarico con una spallata sfonda la porta e subito dopo è pronto a ripiegare davanti all'uscio socchiuso della signora Brivini. Dal corridoio dell'appartamento Gazzilli parte un colpo di pistola, una calibro 38, e il proiettile ve a conficcarsi nello stipite tre dita sopra la testa dell'ufficiale. Non si può fare irruzione nell'alloggio. In fondo al corridoio c'è un bandito con una pistola in mano che si fa scudo del giovane Testori. Spinge avanti il prigioniero fino ad arrivare a chiudere la porta. Siamo in pieno dramma. Lì a due passi c'è il covo, c'è una vittima e ci sono dei banditi che minacciano di ucciderla. Implora dall'interno con voce fioca e fremente il Testori: «Non sparate». E uno dei banditi dice: «Dateci una macchina, lasceremo libero l'ostaggio alle porte di Milano, lasciateci fuggire». «Non sparate — ripete Testori e aggiunge, forse perrché obbligato dai banditi: — Lasciateci liberi». Con i carabinieri c'è anche il sostituto procuratore della Repubblica di Lecco dottor Tommaselli che era stato avvertito per competenza territoriale. Gli risponde il magistrato: «Nessuna auto, ricordatevi che o uscite tutti vivi, con le mani in alto, o uscite tutti morti». E' già evidente che le cose andranno per le lunghe, si provvede ad avvertire tutte le autorità, il comando brigata e legione, la procura della Repubblica di Milano. Arrivano il dottor Paulesu, procuratore generale con il sostituto dottor Pomarici, il generale dei carabinieri Lorenzoni comandante della brigata, il colonnello Cetola comandante della legione. Più tardi la notizia arriva anche a Novate in casa della famiglia del rapito e si precipitano a Casatenovo l'avvocato Falco Falconi che aveva avviato le trattative per il riscatto (per il quale era stata chiesta la somma di cinque miliardi) e monsignor Massimo Astrua, zio del rapito. Un cordone di carabinieri cinge la casa, nessuno può avvicinarsi, la gente che incomincia ad affluire incuriosita viene bloccata ad una certa distanza. Alle finestre delle due palazzine vicine e dietro le colonne di cemento di una casa in costruzione si installano i tiratori scelti. Arrivano anche alcuni elementi del gruppo cinofilo con i loro cani. Si dovrà arrivare alla prova di forza facendo scorrere sangue, forse anche innocente? La domanda che ognuno si pone fa rabbrividire. Si fa d1. tutto per trovare una diversa via d'uscita, quella del convincimento. S'inizia il dialogo tra l'esterno e l'interno dell'appartamento dei banditi Per la verità loro parlano poco, di tanto in tanto ripetono la lororichiesta: una automobile e la via libera. Sul pianerottolo si alternano nelle implorazioni, il dotto: Pomarici, il prete zio del ragazzo, l'avvocato Falconi, il colonnello Rossi, comandante il nucleo investigativo dei ca rabinieri. Poiché i banditi continuano a minacciare d'uc cidere l'ostaggio se non possono fuggire, Pomarici cerca di dimostrare loro l'assurdità di un gesto irreparabile e la conseguente gravità della loro posizione. Dice: «Se venite fuori senza avere fatto del male al ragazzo avrete ogni possibile attenuante. Va bene fino adesso avete fatto una stupidità, vi prendete sei-sette anni, ma se ammazzate ve ne prendete trenta. Siete ancora entrambi giovani, sei-sette an ni non sono niente, invece uscire a sessanta significa avere distrutta la vita». I banditi chiedono tempo per decidere, prima parlano delle undici, poi delle tredici E' evidente il loro scopo. Forse a mezzogiorno qualcuno dei loro complici deve andare a dar loro il cambio, vogliono evitare che sia tutto terminato e che i carabinieri appostati li arrestino; se la conclusione tarda, anche i complici hanno modo di accorgersi di quanto sta accadendo. Gazzilli chiede di parlare con uno dei suoi fratelli che lavora nella sede dell'agenzia di assicurazioni in piazza Cavour a Milano. Una macchina parte per andarlo a prelevare. Frattanto si accresce la folla oltre i cordoni; sono arrivate altre forze, anche della polizia; pure un elicottero s'è posato in un prato vicino. Arriva il fratello, Michele Gazzilli. Parla a Pasquale attraverso la porta: «Nino, non fare pazzie, esci, pensa alla mamma, al babbo che è malato. Non darci altri dispiaceri». Dall'altra parte Nino piange sommessamente. Poi dice: «Se esco mi danno venVanni, preferisco farla finita». «No, no, non fare sciocchezze». Pomarici torna all'attacco. «Non sono ventanni che vi prendete. Ne ha presi 28 l'uccisore del maresciallo Maritano, ma appunto perché lui ha sparato e ucciso». Il tempo avanza, le tredici si avvicinano. L'avvocato Falconi dice di curare gii interessi della famiglia e dà una assicurazione: «Avete il perdono dei genitori, la famiglia al processo non si costituirà parte civile, vi dò la mia parola d'onore». I banditi incominciano a rendersi conto che è meglio se il reato non è stato consumato completamente. Chiedono che non venga pagato il riscatto, temono che qualcuno, nel frattempo versi il denaro. «State tranquilli — risponde l'avvocato — dovrei essere io a farlo e io sono qui a parlarvi». Ancora cinque minuti di colloquio, poi la porta si dischiude. Sono le 12,35. Esce Gazzilli con le mani in alto, un asciugamano sulla testa che gli copre la faccia. Lo fanno subito entrare nell'appartamento di fronte, quello della signora Brivini che si è già tramutato in un quartiere generale delle operazioni. Prima che l'uscio si richiuda si fa in tempo a intravedere sul pavimento del corridoio delle macchie di sangue. Cosa è successo? C'è un momento di perplessità, di inquietudine. Il prete chiama il nipote: «Paolo, Paolo, Ve successo qualcosa?». Paolo risponde. E' vivo. Il secondo bandito dice: «Non ce l'ho con Paolo, ce l'ho con me». Si saprà poi che s'è tagliuzzato le vene dei polsi; poca cosa, un po' di sangue, guarirà in una settimana. E' ora in atto il tentativo di recuperare anche il secondo bandito. Ma Pellicoro non ne vuol sapere, «Siete in tanti, armati, mi sparate». Gli assicurano di no, ma lui continua ad avere paura. «Non hai visto come ha fatto Gazzilli?». «A Gazzilli è andata bene perché è venuto suo fratello». «Non ti preoccupare, va tutto bene anche per te». Alle 12,50 la porta si torna ad aprire, anche Gino Pellicoro si arrende. E' finita, ora non c'è più pericolo. Il sostituto procuratore di Lecco incomincia a interrogare i due. Fuori si diffonde la voce che hanno ceduto, che Paolo Testori è salvo. Un senso di soddisfazione e anche di cedimento da parte delle forze dell'ordine, che cominciano a lasciar filtrare gente attraverso i cordoni. In breve la folla non è più contenibile, si accalca intorno alla casa. Per tre ore continua ad arrivare gente. Giornalisti, fotografi, carabinieri e poliziotti in borghese si sono accalcati vicino all'accesso della casa e lasciano libero appena un varco. Ogni volta che s'intravede passare qualcuno per questo varco, la folla lo scambia per i rapitori e alza voci minacciose: «Assassini», «Impiccateli». Un colonnello mi dice: «E' una situazione difficile. Da Milano si fanno arrivare alcuni camion di carabinieri del battaglione mobile. Alle 15,30 c'è uno schieramento di forze imponente, forse 300 uomini, tutti con elmetto in testa, pronti alla carica per farsi un varco e proteggere l'uscita della «Giulia» con a bordo i banditi. Squilla la tromba, i carabinieri riescono a farsi strada, le auto, una decina, partono con ululati di sirene. La prima destinazione è la procura di Lecco. Remo Lugli Casatenovo. Polizia e carabinieri hanno caricato la folla che tentava di aggredire i due rapitori. Nella foto la gente preme ai cancelli della casa (La Stampa - Liprandi)

Luoghi citati: Casatenovo, Lecco, Milano