Un vecchio patto un mondo diverso di Carlo Casalegno
Un vecchio patto un mondo diverso Un vecchio patto un mondo diverso Ancora una volta il presidente Moro, forse il più laico tra i ministri cattolici, ha rimesso in moto la macchina lentissima di revisione del Concordato. Lo aveva promesso nel discorso di investitura del suo governo, affermando che, per rispetto alla laicità dello Stato e dopo le vicende del referendum, era «doveroso e urgente» riprendere i negoziati di cui già si parlava nel 1970. Egli ha mantenuto l'impegno assunto con le Camere. L'annuncio, dato non pei caso all'antivigilia dell'I! febbraio, indica che le trattative sono già cominciate con un lavoro diplomatico che è (e per parecchio rimarrà) coperto dal segreto diplomatico, e che esse hanno il gradimento del Vaticano. Ciò non sorprende: alla Segreteria di Stato non si nascondeva lo stupore per il «lungo silenzio» del nostro governo, né l'attesa di un'iniziativa italiana, né la buona disposizione al compromesso. I Patti lateranensi sono vecchi. Non solo hanno quarantasei anni, un tempo enorme nel nostro secolo; ma non esistono più né l'Italia né il Vaticano del 1929. Da tempo le « due Rome » concordano nella necessità di eliminare o correg¬ gere i troppi articoli incompatibili con i princìpi dello Statuto repubblicano e il corso della Chiesa postconciliare. Il Trattalo, che chiuse ufficialmente la « questione romana » restituendo al Papa una sovranità simbolica, non suscita problemi; soltanto l'art. 1, con il riconoscimento del cattolicesimo «sola religione dello Stato», è in contrasto con la Costituzione, ma di fatto inoperante. Nel Concordato c'è invece una decina d'articoli che uno Stato laico e democratico deve respingere. Parecchi laici, e una minoranza autorevole dei cattolici, avrebbero preferito la denuncia unilaterale del Concordato, o la più difficile rinuncia per mutuo consenso: sarebbe un taglio netto con una politica ormai rinnegata anche da una parte del mondo ecclesiastico. Il governo e la maggioranza dei partiti hanno scelto da molti anni la strada prudente della revisione bilaterale, più gradita alla Santa Sede e meno lacerante. Il trauma del divorzio, che il Vaticano giudica ancora (pur rinunciando alla battaglia) una « ferita » al Concordato, e i risultati del referendum, che hanno smentilo la tesi dell'Italia « nazione cattolica », rendono più neces¬ sario e urgente il taglio dei rami secchi, e su altri punti la ricerca di nuove formule. Alcuni articoli cadranno facilmente per mutuo consenso: la Chiesa non difende più l'articolo 5, che faceva dei sacerdoti « apostati » cittadini di seconda categoria, e non interpreta in modo rigido l'ambiguo art. 1, sul « carattere sacro » di Roma. Su altri punti le trattative saranno meno semplici: sull'insegnamento religioso, « fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica », o sul regime matrimoniale, che Mussolini delegò 'alla Chiesa con una rinuncia di sovranità senza precedenti, le posizioni di Chiesa e Stato sembrano assai lontane. Infine due articoli, solitamente dimenticati dall'opinione pubblica, meriterebbero a nostro parere d'essere — per mutuo accordo — aboliti: l'obbligo del giuramento per i vescovi e il divieto agli ecclesiastici di militare in partiti politici. Essi stridono con i princìpi di uno Stato laico, non giovano alla libertà della Chiesa, e urtano contro il senso vero del dettato costituzionale: che vuole Chiesa e Slato indipendenti e sovrani « ognuno nel proprio ordine ». Carlo Casalegno
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