l furori di Vittorini

l furori di Vittorini "Conversazione in Sicilia,, a Chieri l furori di Vittorini Il famoso romanzo ridotto per la scena da Mario Moretti, con fedeltà al messaggio, anche politico, dell'autore - Lo spettacolo del Collettivo di Roma, con Luigi Pistilli e Anita Laurenzi Chieri, 7 febbraio. Già l'abbiamo scritto, tra gli effetti più misteriosi del decentramento — che, come tutti sanno, è uno dei due concetti mistici, l'altro è l'animazione, del teatro italiano d'oggi — c'è che spettacoli talvolta eccellenti, in ogni caso interessanti, si possono vedere, ad esempio, a Banchette ma non a Torino, in una sala parrocchiale dell'estrema periferia cittadina ma non in un teatro, Dio ne .guardi, come il Gobetti. Proprio a Banchette 10 Stabile ha mercoledì sera dirottato il Collettivo di Roma che abbiamo inseguito e raggiunto ieri sera al teatro Duomo di Chieri per assistere a una rappresentazione di Conversazione in Sicilia che i torinesi vedranno chi sa quando o forse mai. Eppure è probabile che oltre a molti giovani affamati di teatro come ce ne sono a Torino, parecchi spettatori di una certa età sarebbero accorsi al richiamo di un libro che ha nutrito la loro giovinezza. Qualcuno ricorda come incomincia? «Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori...; furori, in qualche modo per il genere umano perdutoli. Anche la riduzione teatrale che Mario Moretti ha tratto da questo famoso romanzo di Elio Vittorini, pubblicato nel 1941, si apre con «gli astratti furori» che spinsero 11 suo autore a scrivere del suo ritorno alla terra siciliana, che è poi un viaggio sul filo della memoria nell'infanzia e nell'adolescenza per arriva- ì re a una presa di coscienza I del «mondo offeso», cioè dei | poveri e degli sfruttati. Erano tempi duri, di guerra 1 e di nero marciume fascista, e il Moretti lo rammenta inserendo subito nello spettacolo l'incontro tra Vittorini, che lo rievocherà poi nel suo Diario in pubblico, e il federale di Milano il quale accusa il romanziere di avere scritto un libro antifascista. Il che era vero, anche se Vittorini aveva usato un linguaggio emblematico e allusivo (costrettovi, non si dimentichi, anche dalla censura), per parlare dell'Italia e dei suoi mali: il fasci- smo e la guerra che, negli anni 1938-39, nei quali il romanzo veniva prendendo forma, era quella di Spagna. Proprio nell'avere decifrato il messaggio vittoriniano, mettendone in chiaro i simboli e le allusioni, starebbe, è stato detto, il difetto della riduzione di Moretti. Ma, ammesso il disagio innegabile che procura l'evidenza del palcoscenico quando si cerca di dare ai fantasmi di uno scrittore uno spessore che neppure sulla pagina essi hanno, né vogliono avere, non c'era forse altro modo per rimanere fedeli, come qui quasi sempre, al romanzo e per offrire, magari correndo qualche rischio, un'immagine non troppo distorta di Conversazione in Sicilia e del suo autore. Se ne ha la riprova quando Moretti si discosta dal testo, come nell'episodio della Madre che rifiuta la medaglia per il figlio caduto, davvero urtante nel suo esplicito didascalismo. In questi limiti, la rappresentazione allestita da Nino Mangano in una struttura scenica di Mischa Scandella fatta di praticabili a diversi livelli che indicano, con poche e povere suppellettili, le varie «zone» dell'azione, non manca di efficacia anche perché può contare su due interpreti come Luigi Pistilli e Anita Laurenzi (ma non dimenticherei nemmeno Marcello Bertini) che ai personaggi di Vittorini-Silvestro e della Madre danno interiorità e persuasività notevolissime. Meno convincono le musiche di Tito Schipa jr., abbastanza ingombranti per un romanzo che è stato paragonato a una partitura musicale e che, con le divagazioni folcloristiche e certi quadretti di maniera, appesantiscono inutilmente lo spettacolo. Alberto Blandi