l moralisti del petrolio di Sandro Viola

l moralisti del petrolio LA NORVEGIA, UN'ISOLA AL RIPARO DALLA TEMPESTA l moralisti del petrolio I norvegesi reagiscono curiosamente alle promesse di un'enorme ricchezza: parlano di mutazioni sociali e culturali troppo rapide, di rischi ecologici - Temono inoltre che l'Europa e l'America chiedano, in nome dell'alleanza, sacrifici sgradevoli (Dal nostro inviato speciale) Stavanger, febbraio. C'è qualcosa di vagamente insincero (danesi e svedesi dicono « qualcosa di ipocrita ») nel modo in cui i norvegesi parlano della loro nuova ricchezza, e cioè del petrolio che stanno estraendo dal Mare del Nord. Basta un minimo accenno a questo argomento, e subito le facce si aggrondano. Il petrolio arrecherà dei vantaggi? Sì, forse: ma soprattutto — come spiegano con toni preoccu¬ pati i politici nelle loro stanzette del palazzo del Parlamento, i sociologi all'università, gli alti funzionari nei ministeri — creerà una quantità di «problemi». Mutazioni troppo rapide nella struttura sociale e nei comportamenti, rischio ecologico, scomparsa di certi connotati culturali, una «perturbante» disponibilità di ricchezza. Questi «problemi» di cui i norvegesi parlano con molta Ioga (tanta da dar adito, appunto, a qualche sospetto) sono del tipo che l'Europa « malata » si accollerebbe volentieri al posto dei propri, le « crescite zero », il marasma valutario, i deficit paurosi, le grandi masse di disoccupati. E fa un certo effetto (un po' d'ilarità, un po' d'irritazione) sentirli elencare nei modi apprensivi in cui li espongono i responsabili di Oslo. D'altra parte, sarebbe facile cogliere i norvegesi in palese contraddizione. « Il nostro sviluppo industriale », dicevano pochi anni fa a Guido novene che visitava la Norvegia, « è turbato dalla penuria di capitale. Noi non possiamo investire a lunga scadenza ». Ebbene, ora i capitali ci sono: al punto che tra non rialto questo Paese si sarà trasformato da importatore in esportatore di mezzi finanziari. Ma a Oslo il tono resta lamentoso. A Stavanger è diverso. Stavanger è il centro dell'attività petrolifera nelle acque norvegesi del Mare del Nord, la sede delle compagnie straniere che lavorano all'estrazione del greggio, il posto dove i tecnici dell'ente nazionale per il petrolio fanno il punto, giorno per giorno, dell'incredibile fortuna capitata d'improvviso al loro Paese. Qui del petrolio si parla in maniera meno tortuosa, l'euforia è scoperta. A nessuno viene in mente di esprimere dubbi angosciosi sull'u impatto che la nuova ricchezza potrà avere sui modi di vita norvegesi», 0 preoccupazioni sulla « decadenza del mondo agricolo»; e nessuno si lamenta (come abbiamo sentito fare alla sociologa Beritas, parlamentare dell'estrema sinistra) che la vista di bambini « ricchi » (i figli dei tecnici stranieri, in gran parte americani, convenuti a Stavanger), «troppo ricchi rispetto agli standard norvegesi», possa provocare «nei nostri bambini problemi di " immagine ", di " modelli ", le cui conseguenze potrebbero essere decisamente negative ». Anche il panorama è ormai diverso, nel senso che la Norvegia dei consumi individuali molto ridotti, della sobrietà come « modo di essere » derivato dall'innesto tra luteranesimo e socialdemocrazia nordica, sembra lontana. A Stavanger i restaurants presentano liste assai più estese di quelle — solitamente limitate a qualche sandwich, vari tipi di aringa e un paio di piatti di pesce, rombo o merluzzo — che avviene di scorrere nel resto del Paese. Tutti fumano sigarette già fatte, e magari straniere (americane da 1100 lire al pacchetto, inglesi da 1250, francesi da 1500), invece che arrotolare tabacco mediocre in una cartina come fanno gran parte dei norvegesi. Nelle strade circolano automobili di lusso, 1 negozi di vestiario espongono roba portabile (non proprio, ma quasi, come nel resto dell'Europa), nei nightclubs si balla sino a notte fonda. Insomma un'aria di tranquillo consumismo, un'aria normale. Ed è qui, non ad Oslo, che vengono fuori le cifre e i dati sul petrolio. Ad Oslo, a livello ufficiale, non ci si limita ad affrontare l'argomento circondandolo — come abbiamo accennato — di vaghe problematiche sociali ed ecologiche, quasi concludendo che il petrolio era meglio non trovarlo. C'è di più. I responsabili norvegesi ne parlano con una cautela, quasi una reticenza, la cui natura sfugge per un lungo momento ma che poi, il terzo o quarto giorno di incontri appunto «ufficiali», si fa del tutto chiara. Quella reticenza cela la preoccupazione che dall'Europa, ma anche dall'America, insomma dal campo « alleato », possano venire richieste che qui non si è affatto disposti ad accogliere. Sforzi produttivi (quel «piano Manhattan » del senatore Henry Jackson che aveva per obiettivo, nel 1980. dieci milioni di barili di greggio al giorno estratti dai giacimenti dell'Alaska e del Mare del Nord), promesse di forniture, libera circolazione delle masse di disoccupati europei, e magari addirittura prestiti. Non è solo per questo, ma certo anche per questo, per scoraggiare eventuali richieste, che i norvegesi sono così vaghi quando parlano del loro petrolio. Oltre i pescatori Più aperti si rivelano invece i funzionari delle compagnie petrolifere internazionali quando li si va a trovare nei loro palazzoni di vetro-cemento sorti in questi pochi anni tra le piccole, sovente bellissime case di legno della cittadina di pescatori che era Stavanger. Non c'è che da prendere carta e penna e segnare qualche cifra. Il petrolio norvegese? E' presto detto: quattordici giacimenti tra grandi e piccoli (di gas e «olio»), dei quali Ekofisk ha dimensioni notevoli anche a paragone di trivellazioni non marine, e Frigg è uno dei più vasti giacimenti di gas del mondo. Produzione assicurata di «olio», quindici anni; di gas, venti. Quest'anno si dovrebbe arrivare ad estrarre circa 20 milioni di tonnellate di greggio, e siccome il fabbisogno locale è di 9 milioni di tonnellate la Norvegia è già in questo 75 un esportatore « netto ». I calcoli per il fu¬ turo? I dati elaborati nel '74, poco dopo gli aumenti di prezzo del greggio, facevano prevedere che nel 1980 10 Stato avrebbe dovuto incassare dall'tìolio» e dal gas (tra partecipazioni e imposte applicate agli utili delle compagnie) circa 2000 miliardi di lire. 2000 miliardi di lire sono già molti, perché il bilancio di spesa della Norvegia (3 milioni 950.000 abitanti) ammontava l'anno scorso a circa 4400 miliardi. Il che — a voler fare un esempio — è come se il petrolio della Val Padana potesse rendere all'Italia, tra cinque anni, 15 mila miliardi di lire, cifra che ci toglierebbe di colpo da tutte le nostre angustie finanziarie. Ma i «dati elaborati nel '74 » di cui parlano gli esperti di Stavanger, non tengono conto che in piccola parte del giacimento di Statfjiord, l'ultimo esplorato. Statfjiord avrebbe in realtà, come rivelano le ultime ricerche, proporzioni assai più vaste del previsto, sarebbe un giacimento (tenorme ». E insomma il calcolo degli introiti da petrolio dello Stato norvegese potrebbe risultare anche più imponente di quello che abbiamo appena abbozzato. Gli inconvenienti Sullo sfondo di queste cifre è impossibile non provare un leggero moto di impazienza quando i responsabili norvegesi si dilungano a parlare dei «problemi» che 11 petrolio creerà al Paese. Che si sappia, nessun responsabile politico s'è mai lamentato, in altre situazioni, degli incrementi di ricchezza. Certo, anche ad Aberdeen, in Scozia, che come Stavanger è il centro dell'attività petrolifera inglese nel Mare del Nord, il petrolio ha provocato un po' di malcontento, qualche brontolio. I pescatori che si preoccupavano degli effetti della nuova industria sulla pescosità delle acque, i ministri delle Chiese di Scozia e d'Inghilterra che si lamentavano della comparsa in città d'una ventina di prostitute. Ma è stato un mo¬ mento, e poi « in generale — ha scritto Z'Economist — l'incremento della domanda di lavoro e dei salari è stato il benvenuto ». / norvegesi continuano invece a presentare la prospettiva petrolifera come una fonte di assilli, e non di soddisfazioni. Con il risultato di sollevare negli interlocutori una certa diffidenza, perché poi si finisce con lo scoprire che in tanta lamentazione ecologica, con tutte queste paure di arrecar danni all'ambiente, il Comune di Stavanger non ha neppure intrapreso lo studio di un piano di salvaguardia, e solo l'università di Trondheim, l'estate scorsa, ha organizzato un gruppo di ricerca sui problemi ecologici della propria regione. Poco o niente dunque, per un Paese in cui a tutti i livelli, da parte dei responsabili e della gente comune, si colgono nei discorsi marcati accenti moralistici. Beninteso, il petrolio produrrà alcuni contraccolpi sull'assetto generale della Norvegia. 2000 miliardi di lire non si pompano senza effetti negativi in una struttura economica che ne produce meno di 13.000, e questo nel quadro d'un Paese già altamente industrializzato e con una piccola popolazione. Un'impennata inflazionistica è l'«effetto» che viene subito in mente, ma è possibile che si verifichino anche altri fenomeni di «surriscaldamento ». Non a caso gli esperti governativi prevedono che solo una parte (800 miliardi) della ricchezza da petrolio che si accumulerà ogni anno a partire dal 1980, potrà essere immessa nel traliccio economico-finanziario norvegese, e il resto dovrà andare fuori. Ma. tutto sommato, sì tratta di «problemi» che un gruppo di politici accorti e di tecnici capaci (oltre che onesti: per la prima volta nella storia del petrolio le compagnie non sono riuscite, in Norvegia, a prezzolare un politico o un amministratore) può sempre risolvere. Sandro Viola

Persone citate: Henry Jackson