Una piaga che dilaga come un male contagioso

Una piaga che dilaga come un male contagioso Una piaga che dilaga come un male contagioso L'industria dei rapimenti com'è passibile fermarla? Le statistiche sono allarmanti: 46 rapimenti nel 1974, già 10 nel solo gennaio di quest'anno - E le cifre del riscatto sono da inflazione - Le motivazioni economiche, sociali e psicologiche del nuovo crimine Una violenza che discredita lo Stato e giova a chi vuole dimostrare la debolezza delle nostre istituzioni Roma, 31 gennaio. Martedì a Milano, in piazza Meda: sequestrato Giuseppe Agrati, industriale di viti e bulloni. Mercoledì a Verona, in piazza Vittorio Veneto: rapito Saverio Garonzi, presidente del Verona Hellas. Giovedì mattina a Vìllastellone, periferia di Torino: ricompare Pietro Garis, età cinque anni e mezzo, rapito otto giorni prima. Uomini e ragazzi in ostaggio entrano ed escono con una frequenza sempre più impressionante in questo scenario di malavita che è ormai quasi ogni città italiana. Poco sangue, molti milioni. Un rituale sempre uguale, un'impunità quasi garantita. E la cronaca perde il conto di Quanti siano ancora nelle mani dei criminali, lo studente di Varese, il ragazzo di Acireale, e tanti altri. Per molti anni, nel dopoguerra, il sequestro sembrò un reato da società pastorali, un'oscura vendetta da latifondo, consumata in remote montagne sarde o campagne siciliane. Ora, ci rigiriamo nelle mani statistiche allarmanti: 9 rapimenti nel 1970, 14 nel 1971, e ora siamo a 46 nel 1974, e già a 10 nel solo mese di gennaio 1975. Il caso di Sergio Gadolla, nell'ottobre del 1970 a Genova, serve da punto di partenza anche per misurare l'aumento della rapacità dei criminali. Dai 200 milioni chiesti per il giovane genovese, siamo arrivati a cifre da inflazione: più. di un miliardo per Toriellì e Getty, sette miliardi per Giuseppe Lucchini, e ora per Agrati si parla d'una richiesta di dodici, o forse addirittura di trenta miliardi. La malavita è andata aumentando sia in efficienza che in avidità, via via che s'allineava la galleria dei sequestrati. Li ricordiamo ancora? Mirko Panattoni e il dottor Rossini, Cannavate, Rossi di Montelera, Angela Armellini, i figli di Manza, la pìccola Di Nardi, Segafredo, Stucchi, Daniele Alemagna... Una lunga lista di vite umane rimasta in pegno ai criminali, e riscattate con esborsi sempre più alti. E' un crimine «facile», dicono gli esperti, e ciò spiegherebbe la sua contagiosa diffusione. Un rischio minimo per un guadagno talvolta enorme. I tradizionali bersagli del banditismo si sono fatti più difficili e azzardati: il denaro è vigilato, i grandi enti pagane gli stipendi in assegni, nelle banche s'aggirano uomini in uniforme, ultrasuoni e microonde spazzano le gioiellerie. Ma il rapimento è improvviso, sfugge a ogni prevenzione, colpisce gli ignari. La presenza stessa dell'ostaggio impone prudenza, il comprensìbile desiderio delle famiglie di rivedere salvo il congiunto assicura omertà e silenzi anche dopo che il riscatto è stato pagato. Il sequestro, insomma «conviene». Alle organizzazioni mafiose, alle «anonime sequestri» della prima esplosione di rapimenti, s'è aggiunta ora anche una criminalità minuta, pie- cole bande, malviventi improvvisati. C'è una tecnica ormai semplice: la telefonata immediata, i contatti successivi, le forme del pagamento. Non occorre grande acume per conoscere il cittadino ricco, l'industriale benestante, l'agiato professionista; e poi, per spiarne le abitudini. E bastano pochi uomini per rapirlo, e per sorvegliarlo, con la certezza del silenzio, con le indagini bloccate dalla pietà e dalla comprensione. Il denaro del bottino scompare quasi sempre senza lasciare traccia. Spesso, come è stato provato, alimenta altra criminalità, dalla droga alle armi. Più spesso, si nasconde in investimenti «rispettabili», acquisti immobiliari, valuta straniera, preziosi, opere d'arte. E' raro finora che imprudenze o ingordigie abbiano fatto fiutare alla polizia improvvise e immotivate ricchezze. E più raro ancora è essere catturati sul fatto, o con le banconote ancora in mano. Per questo crimine, si celebrano scarsi processi, le istruttorie sono tutte «contro ignoti», l'archivio le attende. L'elenco delle motivazioni economiche, sociali e psicologiche che hanno portato a questo Medioevo criminale è interminabile: la recessione, l'immigrazione interna, gli squilibri nella distribuzione del benessere, la lentezza dei processi, l'insufficienza della polizia, la diffusione della violenza. Connivenza e omertà si sono trapiantate nelle metropoli, le città sono più impenetrabili delle montagne del Nuorese. Ma sullo sfondo di ogni spiegazione parziale, appare il disegno di un disordine più vasto, di un'impunità diffusa, di una quotidiana abdicazione dello Stato ai suoi poteri. In un panorama dissestato, anche la nuova criminalità, che non è poi molto diversa dalla crudele delinquenza di sempre, si muove più agevolmente. C'è una violenza giornaliera che trascorre impunita, che discredita lo Stato, che diffonde insicurezza, che fa sentire indifeso ogni cittadino. Non è solo con leggi migliori, e non è certo con pene più dure, o con minori garanzie processuali, che si combatte questo male, che si chiama aggressione, violenza nelle scuole, attentato politico, irrisione della giustizia, beffarda intoccabilità di noti criminali travestiti da deputati. Se non ci sono prove conclusive della connessione fra terrorismo e criminalità, è certo però che chi alimenta questa strategia ne raccoglie anche i frutti, poiché semina panico e sfiducia. Ora, non è difficile prevedere che la sicurezza delle nostre città diventerà il tema centrale dell'imminente campagna elettorale. Che sia forse il problema più avvertito ed urgente, non c'è da dubitarne. Importante è che non diventi però uno strumento, un'arma di paura, magari manovrata proprio da chi sfida le istituzioni per dimostrarne la debolezza. Violenza comune e violenza politica (quella che arma la mano dell'assassino di Empoli, di Bologna, di Brescia) si sradicano insieme, senza astuzie tattiche. E prima che le città italiane diventino una giungla. Andrea Barbato A PAGINA 9 Catanzaro Oggi si decide sul rinvio del processo Pietro Garis, il bimbo rapito a Torino, ha trascorso la giornata giocando. La drammatica vicenda ha però lasciato tracce di angoscia, il piccolo ha spesso momenti di smarrimento. Il giudice aspetta per interrogarlo (Servizio a p. 4)