Divertimenti cinesi e altri di Lorenzo Mondo
Divertimenti cinesi e altri Divertimenti cinesi e altri Luigi Malerba: « Le rose imperiali », Ed. Bompiani, pag. 126, lire 2.000. Alberto Arbasino: « Specchio delle mie brame », Ed. Einaudi, pag. 137, lire 2.600. Le rose imperiali sono quelle che crescono nei giardini di un leggendario imperatore cinese, innaffiate dal sangue dei sudditi, e la loro immagine, che compare una volta sola, viene richiamata idealmente al termine di ogni capitolo in cui vediamo prillare la testa mozza del protagonista. Ci avviamo, con questo, a definire, più che il messaggio del libro, la sua struttura relativamente nuova rispetto ai precedenti di Malerba, il procedere in ordine chiuso, a tasselli, che compongono un solo disegno in forza delle ripetute allusioni: prima di tutte quella che riguarda antiche cronache apocrife da cui le varie storie sarebbero ritagliate. Anche il linguaggio è più sorvegliato e composto, la vena stralunata di Malerba si esprime soprattutto nelle situazioni, tant'è che le sottolineature ironiche o giocose dell'autore si trovano racchiuse fra parentesi, a mo' di glossa: « Venne alloggiato nella Casa del Tempo, che aveva forma quadrata (come quella della Terra) ». E certo Le rose imperiali s'impongono specialmente come saggio di stile, per l'eleganza e la grazia che nulla concedono o debbono alla parola ornata; per altro verso immuni, queste « rose », dalle confidenze compagnone o goliardiche che aduggiarono appena taluna delle opere più impegnative di Malerba. Lasciando intendere il significato che queste pagine rivestono per lo scrittore, non intendiamo scoraggiare, rendere esitante l'approccio del lettore, il quale anzi avrà di che divertirsi, con pieno agio, senza soggiacere a terrorismi intellettuali, senza abdicare all'intelligenza. Ricordo, tra tutte, la storia della nobile arte delle Bolle di Sapone, dal suo apogeo al tramonto, o quella, sadicamente inquisitoria, dello studioso cui non La regina di « Biancaneve » valse, ad evitare la repressione, l'aver dedicato un'intera vita allo studio degli scarafaggi. Come si sarà inteso, le parabole di Malerba sono trasparenti; anche in rapporto al remoto impero di Che Huang-ti, la Cina è vicina. Al confronto della concentrazione di Malerba, possiamo dire che il libro di Arbasino, Specchio delle mie brame, deflagra. Siamo sulla linea del Principe Costante, alla ripresa di un testo o di una situazione canonica, codificata, dentro la quale tutto viene dislocato, contaminato e travolto dalla capricciosa iconoclastia dell'autore. Oggi a farne le spese non è più Calderón, ma Verga. D'Annunzio, Capuana, Michetti, Lampedusa, e aggiungeteci chi volete. C'è una baronessa siciliana « letteralmente uscita dalle voluttuose pagine del Verga più frivolo e mondano » che passa il giorno a escogitare giochi erotici da compartir, di notte, col villano precettore dei figli. C'è un Don Cecilio che brucia amori, profumi e motori, anche lui con una Capponcina disertata in odio ai creditori. C'è una seducente istitutrice gallese, l'inglesina in Italia, un po' brumosa, vitalista e anche igienista, che vale come reagente a un mondo pieno di tabù, polvere e tendaggi, salvo poi a lasciarsene infatuare. Per dirla con Arbasino, « questo imbarazzante romanzetto pseudolibertino altro non è se non un diligente trattatello sul più rinomato e trionfale Kitsch all'italiana — letterario, teatrale, cinematografico, meridionalistico, tra il secondo Ottocento e il primo Novecento — in forma non già saggistica ma narrativa... ». Il romanzo nasce dall'aggregazione di materiali preesistenti, letterari e non, di frasi fatte, di objets trouvés « secondo il modo di Marcel Duchamp », si piega alle riflessioni dell'autore sui possibili sviluppi dei personaggi e della trama, si esalta nell'eco ipotetica di « rocambolesche risate »: di Roussel, Landolfi, Karl Kraus e Vladimir Propp. Troppi nomi, per questo convito: dove il divertimento nei modi consueti ad Arbasino (la chiacchiera che di se stessa si esalta fino all'onirico e al surreale, il fantasioso e stridente trovarobato, lo sfrontato rovesciamento critico) non va molto al di là della paginetta. Basta una parola (pecoreccio, tormentone. I i porcona, sporcaccionesco, fu stone, ecc.) a darci un brivido di resipiscenza, a interrompere l'ascolto. Amici come prima, ma tutto questo gran discorrere sul Kitsch rischia d'essere troppo coinvolgente e contagioso, di produrre altro Kitsch: decodificabile per giunta con scarso profitto, irredimibile. Lorenzo Mondo
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