Il "mal sottile" di Tokyo

Il "mal sottile" di Tokyo Il "mal sottile" di Tokyo (Dal nostro inviato speciale) Tokyo, gennaio. Per gli impiegati della Summitomo, il terzo colosso industriale giapponese, la giornata di lavoro incomincia con la ricerca delle bombe negli uffici e nelle fabbriche. Da quando 8 persone sono state uccise e 350 ferite negli attentati alla Mitsubishi e alla Mitsui, le principali ditte hanno adottato rigidi dispositivi di sicurezza. Poliziotti coi mitra stazionano agli ingressi, telecamere controllano segretamente i corridoi. I dipendenti portano la foto-tessera all'occhiello, e i visitatori vengono scortati dagli uscieri. Di notte, la mobile, la kido-tai, pattuglia le vicinanze con i cani. Insieme con la crisi dell'economia e del petrolio, un'ondata di terrorismo s'è abbattuta sul Giappone. Nel "74, vi sono stati una cinquantina d'attentati, tre volte tanti che nel '73, lo stesso numero dei sequestri di persona in Italia. Bersaglio abituale, le grandi imprese o zaibatsu con interessi all'estero, soprattutto in Asia. Si sono attribuiti la paternità delle esplosioni vari gruppi, dal « Pronte asiatico antinipponico », che potrebbe nascondere l'estrema destra, all'» Armata rossa », l'organizzazione extraparlamentare di sinistra, responsabile del massacro del 1972 all'aeroporto di Tel Aviv. Finora, il Paese ha evitato il panico. Esso non è nuovo alla violenza politica, il profondo antimilitarismo e l'innato senso civico rendono remoto il pericolo di un « golpe ». Nella « società verticale » giapponese, l'abnegazione quasi religiosa del singolo per la comunità, sia essa l'azienda o il villaggio, è una garanzia d'equilibrio. Mentre in Italia il disordine fomenta l'eversione, qui diviene motivo di un maggior impegno democratico. Dall'età semifeudale, antecedente all'imperatore Meiji, e da quella della ragione e delle macchine a lui successiva, j hanno sempre dominato i principi evolutivi. Anche in Giappone, oggi, i pubblici poteri denunciano la strategia della tensione e le trame rosse o nere delle misteriose frange sovversive o rivoluzionarie. Esasperando le contraddizioni, l'incerta congiuntura ha infatti aumentato l'inquietudine sociale. Agli entusiasmi sono subentrati i dubbi e ai consensi le proteste. Sta cambiando la testa della gente e il disorientamento è più facile della riforma. Rivoluzione culturale A Kyoto e Osaka ho avvicinato gli esponenti dei gruppuscoli universitari e delVestablishment conservatore. Mi hanno detto tutti che le circostanze non sono mai sembrate cosi favorevoli a un « radicale mutamento » dello Stato e del governo. « Non conosco gli attentatori », ha dichiarato Hisao Jajima, un giovane di 25 anni, laureato in filosofìa. « Ma penso che rappresentino l'avanguardia di un vasto movimento di rivolta. Non disapprovo i loro metodi: non esistono altre possibilità di lotta contro lo sfruttamento capitalista e la repressione poliziesca ». Kyoto è la città dei ciliegi, dei giardini, dei templi, e della pace buddista, ma la facoltà di Jajima è chiamata « la rossa », e da essa partono i terroristi che, nei nome della Palestina, compiono eccidi in tutto il mondo. La vecchia guardia di Osaka, invece, vede nelle bombe una ribellione al consumismo e un monito ai « modernisti ». La città è insieme il cuore e l'inferno industriali del Giappone, conosce splendide ricchezze e infime ingiustizie. Certi suoi leaders condannano « il caos della democrazia » e auspicano il rij torno delle virtù tradizionali « come l'obbedienza » Indicano la salvezza del Paese in una « santa alleanza » tra il big business, la casta militare e l'ala reazionaria in Dopo un quarto di secolo d'espansione industriale, l'impero nipponico si trova di fronte a urgenti problemi sociali e e e s e a n Parlamento. « V'è una residua corrente fascista, ha sostenuto Hisao Jajima, che crede nella missione imperiale del Sol levante e nell'oltranzismo di casta ». E' tuttavia improbabile che gli opposti estremismi trovino fertile terreno nella popolazione. Sebbene la civiltà nipponica sia a una svolta, lo scontento non si trasforma in rivolta politica. Non vengono messi sotto accusa le istituzioni né i modelli, ma gli uomini e la prassi. A difI ferenza dell'Italia, qui la cri| si è sostanzialmente di crescenza. La nazione s'è trovata alle soglie dell'età postindustriale senza essere pronta. Mentre dal punto di vista produttivo e tecnologico s'affaccia già sul Duemila, da quello di classe e della previdenza è ancora ferma all'anteguerra. « / mali del Giappone scaturiscono dal divario prolungato tra il "miracolo" e la società », mi ha detto il sociologo Jedashi Hidano, dell'università di Tokyo. «Sino al 72, sono stati nascosti con la disciplina e l'efficienza: il Paese era come un alveare, o un laboratorio, in cui ciascuno dei 108 milioni di abitanti rivestiva uno speciale ruolo. Ma più volte, negli ultimi due anni, la macchina dell'economia ha girato a vuoto: qua e là sono saltati gli ingranaggi. E' incominciata cosi una revisione che investe tanto la vita degli individui quanto f valori nazionali », e ha aggiunto: « Si tratta di un processo democratico. Questa è la vera terra della maggioranza silenziosa: secondo i sondaggi d'opinione, il 90 per cento di noi si identifica col ceto medio ». Ha proseguito Hidano: «A mio parere, viviamo uno shokku o rivoluzione culturale simile a quella generata dagli americani alla fine del conflitto del '40-'45. Con una grossa differenza: che è endogena, non coopta più le forme occidentali — i partiti, i sindacati — ma dà vita a fenomeni dì base, quali i movi¬ menti civili per la difesa del- l'ambiente e dei consumato- ri ». Il sociologo ritiene che, in prosieguo di tempo, essa cambierà l'anima e il volto del Giappone. « Riuscirà dove è fallita la ribellione studentesca, nonostante la sua rabbia: perché scuoterà Testablishment politico e del lavoro, e lo costringerà ad assumere l'iniziativa ». Invero, partiti e sindacati danno i primi segni di disagio per questa presa di coscienza popolare: essi devono muoversi per non perire. Ma di che soffre « il terzo grande »? Nel primo capitolo del suo libro. Rimodellare l'arcipelago, l'ex premier Kakuei Tanaka ha tracciato una diagnosi eloquente, anche se parziale, del « mal sottile » di questo Paese dove, più che in altri, alla sovrindustrializzazione s'è accompagnato il deterioramento della qualità della vita. I « pendolari » viaggiano su treni puntualissimi, ma pieni al 280 per cento della loro capacità. Nella capitale, gli alloggi traboccano di elettrodomestici, ma i canoni d'affitto sono i più alti del monde, fino a 50 mila lire ogni 10 metri quadrati. Il vitto è sano e leggero, ma s'importa il 50 per cinto del fabbisogno alimentare, e in 20 anni il numero dei contadini è sceso da 30 a 8 milioni di persone. L'inquinamento uccide C'è poi la piaga dell'inqui namento, il kogai (letteralmente: rischio pubblico) che nella stagione delle piogge causa « il pianto acido » degli occhi. Scoppiata nel '70, quando migliaia di vecchi e di bambini furono ricoverati in ospedale per intossicazioni e infiammazioni, essa fa decine di vittime ogni anno. Accade talvolta che chi non muore perda la vista, l'udito o la favella, o subi! sca lesioni irreparabili al cervello, agli arti. Le ditte inquinatrici pagano le cure, ma non possono restituire padri o mariti alle famiglie. Ma la più grave malattia j del Giappone è la disugua- glianza sociale, « fino a ieri ben accetta, ha scritto Le Monde, in base a un princì- pio d'armonia imposto dalla tradizione ». Essa ha agito da trampolino di lancio del « miracolo economico », a scapito dell'istruzione, di oltre la metà della manodopera, e dei vecchi. Le infrastrutture della scuola, dell'impiego continuato, delle pensioni sono state sacrificate all'idolo della produzione nazionale lorda: il singolo deve cavarsela da solo. Nel Giappone affluente, una crisi può provocare maggiore miseria per i meno abbienti che non nella sfiduciata Europa. Allorché si dice che il tenore di vita degli operai nipponici non è inferiore a quelj lo degli operai americani, si limita il discorso al 40 per cento col posto permanente, integrati cioè nell'azienda dall'adolescenza, come i monaci nel tempio. S'ignorano gli stagionali, i giornalieri, i marginali, e cioè la maggioranza senza tutela sindacale, poiché i sindacati in Giappone sono d'impresa, corporativi. Tra i primi e i secondi, il boom ha scavato un profondo solco, essi appartengono a mondi diversi e la Confindustria si sforza di mantenerlo con la complicità del liberal-democratici. Una rettifica di mira da parte del Giappone è inevitabile. Dopo un quarto di secolo d'espansione industriale, esso deve dare la precedenza alle questioni sociali. La stagflation e il petrolio l'hanno messo davanti allo specchio: per la prima volta, s'è visto quale è. Il gigante economico ha i piedi d'argilla. Una magnifica testa, quella dei lodai, i dirigenti preparati dall'università di Tokyo, domina un corpo possente, paludato nelle vesti cerimoniali. Ma ormai la terra trema. Per sua fortuna, molte volte nella storia il Paese ha dimostrato d'essere capace di grandi, improvvisi cambiamenti. Ennio Carette IL GIAPPONE STA PREPARANDO UN SECONDO "MIRACOLO,,

Persone citate: Ennio Carette, Hisao Jajima, Kakuei Tanaka