Presidente nel '76? di Furio Colombo
Presidente nel '76? RITRATTI AMERICANI: BENTSEN Presidente nel '76? (Dal nostro invialo speciale) Washington, gcnnoio. A Lloyd Bcntscn, cinquantatrcenne, texano, senatore, per diventare Presidente degli Stati Uniti non manca niente. Può elencare la sua esperienza politica. E' senatore da appena due anni, ma è stato tre volte alla Camera. Può vantare il suo successo negli affari. Si è fatto una azienda nel ramo assicurazioni e ha avuto fortuna. Mentre parla, quasi giocando, spinge avanti il ritratto della famiglia in cornice d'argento. Si vedono due ragazzi grandi come un armadio e due figlie che sono una spuma dorata di capelli e di abbronzatura. La moglie dimostra la giovinezza immobile delle americane benestanti. Sul fondo c'è una barca che farebbe la sua figura anche a Porto Rotondo. Come se non bastasse Lloyd Bentsen è texano e questo gli consente di presentarsi come « un uomo nuovo che viene dal cuore del Paese ». Solo a dire « texano » la gente pensa alla forza, a quella violenza cordiale che non fa mai male in un capo. Ma Bentsen mette accortamente l'accento sulla parola « nuovo ». E' alto come John Lindsay, abbronzato come Kennedy, vestito come Cabot Lodge e assomiglia un po' a Humphrey Bogart e un po' a Jason Robbards. La sua pronuncia è paragonabile a quella di certi intellettuali napoletani: una lieve civetteria, tanto per marcare l'origine, in una perfetta dizione. Infatti ha una bella voce e la usa sui toni bassi, delicati, pensosi. Oppure verso le vibrazioni che esprimono foneticamente il concetto di leadership. Sulla sua intenzione non ci sono dubbi e lo dice: « Voglio diventare Presidente degli Stati Uniti nel 1976 ». Ha già un suo comitato, un piano finanziario, un documento con le indicazioni programmatiche, le frasi chiave, gii slogan. E soprattutto la cautela di uno che si prepara a piazzarsi nel centro. Non una parola né un giudizio arrischiato, qualunque sia l'argomento. Per ogni situazione c'è un lato ma anche l'altro della medaglia, una frase vibrata e un tocco soffice sul pedale. Se proprio non può evitare un giudizio usa accortamente gli strumenti della buona conversazione. Esempio: — Che cosa pensa del senatore Jackson, come avversario? Appartiene al partito democratico come lei, ha una posizione centrista come lei, dice molte cose che assomigliano al suo programma ed è molto più conosciuto. Non è un pericolo? Lloyd Bentsen sorride e le rughe di yachtsman nel suo viso si aprono come un ventaglio. « Oh, andiamo, non si aspetterà davvero che risponda a questa domanda ». Punta il dito e ammicca in modo da rendere la frase indiscutibilmente cordiale. E non si è sbilanciato. — Ma Wallace? Il nostro uomo si fa serio, pensoso. « Wallace? Uomo di polso. Uomo da prendere sul serio. Un po' fuori tempo, le pare? ». Si rischiara come se fosse passata una nuvola. Gli occhi si concentrano ma la bocca sana sorride. « Mi spiego. Il partito democratico, al quale mi onoro di appartenere, è un partito che quando trova la testa perde la coda. Bob Kennedy, diciamo, era la testa. In dimensioni più piccole anche Me Govern. Wallace è, diciamo, la coda. Il solo modo per non perdere né la testa né la coda è di sistemarsi nel centro, nella parte più ampia del corpo di questo partito. Me Govern è stato condannato perché si era spostato troppo a sinistra. Humphrey, a suo tempo, a causa del Vietnam, è stato considerato un uomo di destra! Pensi un po' a Wallace ». Con la mano abbronzata indica un punto lontano, molto fuori dalla carta del successo politico che lui ha in mente. Viene il momento di parlare di Nixon. E a Nixon, Bentsen riserva le rimostranze indignate di qualunque buon politico americano ai nostri giorni. Eppure evocare il nome di Nixon è un po' rischioso per lui. Perché Nixon ricorda la passione per la pura manovra: credere soprattutto in un gioco di tattica e strategia, secondo i tempi, gli avversari e i momenti. Ora, nessuno potrebbe dire male di Bentsen. Ma tutti i suoi gesti, in preparazione di una nomina eventuale, hanno questo tratto, mosse ben regolate e un po' artificiali. Molti anni fa, alla domanda: « Ma perché lei è in politica? », il senatore Ribicoff, allora governatore del Connecticut, aveva risposto: « E' molto semplice. Mi piace vedere la gente scattare. Mi pia¬ ce decidere ». Era una battuta, naturalmente. Ma rivelava qualcosa sui nervi e sul temperamento di un uomo che vuole il potere. Lloyd Bentsen colpisce la fantasia del visitatore perché sembra cominciare da un'altra parte. Non dalla sostanza, ma dalla maschera del potere. Come John Lindsay. Lindsay è stato forse l'uomo più bello e più fotogenico della politica americana, il sorriso più affascinante, il portamento più prestigioso, gesti ed eleganza assolutamente perfetti. E' stato rieletto sindaco di New York solo una volta. Poi è uscito dalla vita politica senza lasciare traccia, come un attore che non è più di moda. Ma è proprio il modello « attore » che Bentsen intende adottare per « impressionare » la gente. La sua idea è che siamo tutti una Polaroid, e che le immagini restano. C'è il racconto di uno scrittore americano, Kurt Vonnegut, in cui un personaggio riesce a essere solo altre persone, mai se stesso. Ogni volta che qualcuno vuole stabilire un rapporto, lui chiede: « Chi sono adesso? ». E appena ha avuto la risposta diventa la persona che gli è stata descritta. Adesso nella vita di Bentsen, come in quella di una dozzina di senatori, democratici e repubblicani, è entrata questa ossessione: « Io sarò il prossimo Presidente degli Stati Uniti ». Bentsen ha scelto di vincere la gara concentrandosi sull'immagine, pronto a fabbricare il modello e poi a interpretarlo. Parlano per lui, nell'ufficio senatoriale a cui è stato aggiunto un tappeto costoso e alcuni oggetti selezionati con gusto, le fotografie della sua vita politica. Bentsen, essendo stato per un po' di anni sia alla Camera che al Senato, ha visto tutti e con tutti è stato fotografato. Con Truman, con Eisenhower, con Agnew, con Nixon, con Stevenson e con Kennedy. Bentsen ha scelto di non togliere nulla dal muro del suo ufficio e dai ricordi del suo passato. Sorride accanto a ciascuno. Il visitatore ha la scelta. La stessa cosa accade con le parole. Dice che la strada politica di ogni soluzione è collettiva e individuale, è in un forte governo centrale e in un decentramento sui governi locali. Ci vuole una pianificazione molto stretta ma anche spazio per la libera iniziativa. L'America non può rinunciare alla sua presenza internazionale, ma per prima cosa deve pensare a se stessa. Il budget militare è troppo alto a confronto con le spese sociali, ma la presenza Usa nel mondo va rafforzata. Bisogna incidere sull'inflazione tenendo d'occhio la recessione, restringere la domanda ma sostenere la produzione e gli affari. Poiché l'uomo è intelligente e il suo discorrere ben costruito, solo alla fine uno si accorge delle contraddizioni. Ma al senatore importa di contrapporre Bentsen a Bentsen, mostrando che non è necessario scegliere fuori della sua area. Nomina i celebri texani del passato. « Io non sono né Lyndon Johnson né John Connally ». Non dice che cosa pensi dell'uno o dell'altro. Accavalla le gambe lunghe nella poltroncina in mezzo al salotto, alla Giscard d'Estaing. « Lei certo sa dei miei eccellenti rapporti con Kennedy ». Ma teme di essersi sbilanciato. « Intendo dire John Kennedy ». E qui blocca la frase. Come per dire che quello che conta è la storia. Nella vita di tutti i giorni bisogna andare più cauti. Parlando delle elezioni primarie che ci saranno entro un anno e mezzo, Bentsen dice con comprensione che « la corsa è aperta e c'è posto per tutti ». Sorride. « Anche per Wallace ». Di lui Joseph Kraft ha scritto che non è né abbastanza in (cioè una immagine celebre, come Humphrey o Kennedy) né abbastanza otti (il tipo nuovo e innocente che la gente vorrebbe dopo l'intrico di Watergate). Ma Bentsen ha stanziato i suoi fondi, ha messo su la sua organizzazione, il governatore del Texas lavora per lui e un esperto sindacalista è incaricato di tenere i rapporti fra il finanziere di successo e gli operai benestanti ma spaventati del Nord. Non lo conosce nessuno, o ben pochi, secondo le inchieste Gallup. Ma il New York Times ha pubblicato la sua fotografia fra i « quattro grandi » del partito democratico, con Jackson, Wallace e Morris Udall. Bentsen sa benissimo che i «quattro grandi» saranno molti di più fra un anno, quando comincerà davvero il confronto. Per allora il senatore del Texas conta di presentarsi «con una immagine». Dice serenamente: « Chi era John Kennedy prima del 1960? Nessuno. Eppure ha battuto Nixon con la forza della sua immagine. Il resto è venuto dopo ». Sarà importante seguire questo Bentsen nelle prossime elezioni presidenziali per capire un po' meglio l'America. Furio Colombo
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