Daniel difende chi lascia l'Urss

Daniel difende chi lascia l'Urss Dramma della intelligencija russa Daniel difende chi lascia l'Urss (Dal nostro corrispondente) Mosca, 29 gennaio. L'intellettuale dissidente che, senza essere caricato con la forza su un aereo come è successo ad Aleksandr Solzenicyn, decide di emigrare in Occidente alla ricerca della libertà di pensiero, va considerato un traditore della causa della cultura russa o, piuttosto, un coraggioso, che accetta il distacco doloroso dalla patria pur di poter esprimere quelle idee che, altrimenti, sarebbero bocciate dalla censura? Il dilemma ha tormentato e continua a tormentare molti esponenti dell'« intelligencija n russa non conformista da quando, un paio d'anni fa, le autorità sovietiche hanno deciso di sbarazzarsi di questi cittadini indesiderabili, offrendo loro la possibilità di un esilio volontario senza ritorno. Alcuni — come Andrej Sinjavskij, Viktor Nekrasov, Mstilav Rostropovic, Vladimir Marksimov — hanno accettato l'«offerta» delle autorità. Altri hanno resistito (come Aleksandr Solzenicyn) o resistono (come Andrej Sacharov) fino al limite delle forze a quella che considerano una sorta di tentazione del demonio. Il dibattito apertosi attorno a questo dilemma, ma confinato finora nell'ambito ristretto di conversazioni tra amici o di discussioni salottiere, è esploso di colpo in una violenta polemica tra due esponenti dell'« intelligencija » dissidente, che continuano a vivere nell'Unione Sovietica. Il matematico Igor Shafarevic, profondo amico di Solzenicyn, del quale si è fatto in questa occasione portavoce, ha dichiarato che coloro che hanno lasciato «volontariamente» il paese «non sono stati capaci di sopportare le pressioni», dunque «non possedevano una ricchezza spirituale sufficiente per superare questa prova... E la gente priva di tale ricchezza spirituale non può dare alcun contributo alla cultura, da qualunque parte della frontiera essa si trovi». Questo impietoso verdetto di condanna (espresso da Shafarevic in un'intervista a Russkaja Mysl, il giornale degli emigrati rus- hanno deciso di emigrare e, soprattutto, al grande amico di Daniel, Andrej Sinjavskij (attualmente docente alla Sorbona). «Shafarevic — afferma Daniel — scrive che Andrej Sinjavskij ha lasciato la Russia perché non voleva sopportarne le "scomodità". Che eufemismo scandaloso! Come se si trattasse di lasciare un appartamento senza gabinetto per un alloggio con tutti i comforts. Lo stesso Shafarevic conosce bene queste scomodità: esse sono minuziosamente elencate nell'intervista concessa a Russkaja Mysl. E si può leggerle per esteso nelle opere di Solzenicyn, che si è dimostrato un uomo dalla volontà di ferro, che è sopravvissuto ed è diventato uno scrittore in condizioni che hanno fatto impazzire Mandelstam, prima di farlo morire. Chi oserebbe pretendere che è stato meglio per Mandelstam non partire a tempo?». A conclusione della sua replica, destinata probabilmente ad aprire un dibattito lacerante tra gli intellettuali russi (si sa che Solzenicyn, ad esempio, condivide l'opinione di Shafarevic fino a giudicare con un certo disprezzo coloro che hanno subito, per scelta «volontaria», la sua stessa sorte), Daniel scrive: «Noi che restiamo non possiamo dividerci da coloro che sono partiti da casa loro. Noi li abbiamo benedetti quando si sono caricati della loro croce: l'amicizia, la compassione e l'unità di pensiero ci lega a loro. Cancellarli freddamente dalla lista dei viventi sarebbe un suicidio. Noi siamo stati nutriti con la stessa cultura. Coloro che hanno lasciato il loro Paese vivranno Là e noi vivremo Qui per loro. Il problema dell'emigrazione della cultura esiste realmente. Da parte mia, penso che il vero artista, anche se è separato fisicamente dalla sua terra natale, è sempre unito ad essa da un legame spirituale indissolubile. Certo, possono esservi altri punti di vista. Ma questo problema è meglio discuterlo tranquillamente, rispettando gli uomini e i fatti, senza schiamazzi polizieschi». Paolo Garimberti Lo scrittore Daniel si, che si pubblica a Parigi) ha provocato un'indignata reazione da parte di Jueij Daniel, lo scrittore che nel 1966 subì, insieme con Andrej Sinjavskij, un processo che viene generalmente considerato l'orazione funebre del pallido «disgelo» krusceviano. Daniel, che da quando è stato liberato dal carcere, nel settembre del 1970, conduce una vita estremamente ritirata e discreta nel domicilio coatto di Kaluga, ha rotto un silenzio dì cinque anni, per replicare alle «mostruose affermazioni» di Shafarevic con una lunga dichiarazione fatta pervenire a Le Monde. Risponde Jueij Daniel: «Supporre, come fa Shafarevic, che il creatore che lavora fuori dal suo paese non dà alcun contributo alla cultura del proprio paese natale — e alla cultura mondiale — è far prova di ignoranza. Significa dimenticare l'immensa esperienza storica dell'emigrazione culturale, non fosse altro che quella del XX secolo. Vuol dire spogliare d'umanità le opere di Thomas Mann, di Slavomir Mrozek, di Marc Chagall». Ma ciò che indigna maggiormente Daniel è l'accusa di vigliaccheria rivolta da Shafarevic a coloro che

Luoghi citati: Mosca, Parigi, Russia, Unione Sovietica, Urss