Reportage della violenza di Stefano Reggiani

Reportage della violenza Reportage della violenza Noi europei Roberto Giardinai « Prima linea uomo », Ed. Sei, pag. 216, L. 3500. L'Europa è slata l'alibi politico più suggestivo e consolatorio del dopoguerra: un'utopia istituzionale che piaceva agli uomini della Resistenza, una necessità fraterna che seduceva le speranze dei giovani. Si sa come è andata, come sta andando. Un giornalista supponente, vecchia maniera, testimonierebbe di questa realtà continentale con visioni prefabbricate e fragili lacci ideologici; un giornalista moderno, cioè vicino al gusto dei nuovi lettori, costruisce il suo documentario europeo dal basso, pezzo su pezzo, dubbio su dubbio, ipotesi dietro ipotesi. Cerca di non prevaricare, anche se è sempre lì, presente, con le sue insofferenze e le sue intuizioni, sulla « prima linea uomo ». Roberto Giardina (corrispondente del Giorno dalla Germania, un'esperienza di cronista alla Gazzetta e di redattore a La Stampa) ha raccolti; nel suo libro un ritratto collettivo, scandito per istantanee o più meditate « pose », rielaborando in modo felice il materiale di lunghi viaggi per il continente. Ha superato il primo intoppo del recupero, il pericolo che tutto faccia groppo senza discriminazione, che i fatti e le figure tengano in ombra i fili del collegamento. Capita invece nel libro di Giardina che la messe di servizi, la sedimentazione degli episodi, la grande ondata di figure obbediscano non semplicemente a un disegno preventivo, quanto a un cruccio personale, a uno scrupolo stretto dell'autore che tiene tutto nell'ottica di un forte risentimento civile. Ma non soltanto. Alla passione dei fatti, alla cura dell'ambientazione, ai referti sociologici, Roberto Giardina unisce anche una tensione traversa e imponderabile, un'ambizione di complicità e di testimonianza più profonda che si può definire letteraria. Ogni cronaca è anche un racconto, e ogni racconto una realtà riletta febbrilmente dall'autore. Qual è l'« ideologia » di questo tipo di giornalismo? E' che dietro le vicende e i personaggi c'è sempre uno spazio di sofferenza personale, di scommessa soggettiva che rende ogni ricerca rischiosa e ogni speranza inafferrabile e crudele. Gli europei di Giardina non sono amabili, non sono incoraggianti, non sono lieti, non sono politici, eppure siamo noi. Il lettore tenga conto che Giardina è un siciliano della stoffa più sensibile e autentica, e tuttavia trapiantato al Nord da anni; e che il libro si svolge e cammina so¬ prattutto fra le due Germanie, nel centro ideale d'Europa. E' un continuo confronto, una provocazione culturale che dà frutto nei capitoli migliori. Sia il ritratto della spia Gunter Guillaume (che provocò le dimissioni di Brandt) o la storia dell'avvocato Ollenburg, rapitore tormentato; sia l'impudenza del giornalista Walraff, primula rossa del sistema, o l'intervista con il premio Nobel Boll: da ogni segno esce una Germania interna e amara, finché la mappa non è completa. Che cosa alla fine unisce l'Europa? Forse la violenza, di una specie nuova e industrializzata, incline ugualmente alla freddezza e alla perfìdia. In Inghilterra, in Francia, in Scandinavia, Giardina ha cercato questo volto violento nei ghetti degli immigrati, nelle case dei razzisti, nello stress delle convivenze impossibili, nelle torture inflitte ai bambini. E' difficile credere ai futurologi positivi, agli scienziati della fiducia. Quando incontra Robert Jungk, il sociologo degli Apprendisti stregoni, Giardina gli confessa di non essere ottimista: « Non credo nel diluvio. Ma non credo nemmeno che l'uomo possa cambiare ». Jungk gli ribatte scherzoso: « Se un giovane non crede come si può essere ottimisti? ». Si sa, non è un problema di generazioni: è ora un problema di storia, di mondo, nel quale l'Europa ha la parte sconfitta. Stefano Reggiani

Luoghi citati: Europa, Francia, Germania, Inghilterra