CRONACHE DEI LIBRI di Giuseppe Prezzolini

CRONACHE DEI LIBRI Una Voce spezzata Giuseppe Prezzolini: «La Voce 1908-1913», Cronaca, antologia e fortuna di una rivista, Ed. Rusconi; pag. 1030; lire 20.000. Il valore di questa nuova antologia de La Voce (dopo quelle curate da Giansiro Ferrata c Angelo Romano) sta nel fatto che è compilata dal direttore della rivista Giuseppe Prezzolini, l'uomo che per le capacità organizzative e mediatrici, per il gusto stesso del nomadismo intellettuale, riusci per cinque anni nell'impresa di offrire un punto d'incontro anche alle discordie e alle lacerazioni. Si tratta qui de La Voce settimanale, quella che uscì tra il 1908 e il 1913, e il limite, naturalmente legittimo, finisce con l'essere significativo: escludendo i fascicoli quindicinali del 1914, usciti quasi a sfida in una situazione profondamente mutata, nell'imminenza di una guerra cui la rivista aderisce passionalmente, si accentua la compattezza di un'esperienza, si rallenta la sua parabola sulla china precipitosa. Due sono i criteri dell'antologia: «tenendo conto die la rivista ju un vivaio di idee piuttosto che una raccolta di esercizi di bella letteratura», talora i testi sono riportati soltanto nelle loro parti essenziali; data la « sostanziale unità di indirizzi », la disposizione avviene per argomenti anziché per ordine cronologico. E' una sistemazione discutibile che ubbidisce a esigenze di chiarezza addirittura didascalica e corrisponde a un ordine che Prezzolini, dopo tanti anni, cerca di rintracciare in se stesso, se è vero che alla Voce egli intende consegnare il suo più duraturo ritratto: « La Voce è una copia, se non esatta, almeno approssimativa dei gusti, dello stile, delle aspirazioni del giovane Prezzolini. Se qualche cosa La Voce portò nella vita italiana fu l'antipatia per la retorica, il disprezzo per la pedanteria, la stima della semplicità, la prevalenza del sostantivo sull'aggettivo e del verbo attivo sull'esclamativo estatico, ir gusto per la parola esatta, per lo stile magro e spedito. Così la preferenza per i fatti anziché per le fantasie, la precedenza del pensiero sopra la letteratura, il desiderio del concreto contro l'astratto, dell'essenziale sull'ornamentale...»». Viene in sostanza privilegiato, per blocchi, il momento della sintesi su quello dell'antitesi, viene in parte mortificata la storia interna di una rivista sulla quale avrebbero infine trionfato le forze centrifughe. Per il resto, la scelta è ricca ed equilibrata, resa più chiara e piena dalle numerose citazioni, sui larghi margini, di lettere e testimonianze spesso inedite, di un prezioso materiale illustrativo. A scorrere pagine e temi, certo si rinnova la sorpresa e il consenso. C'è, oltre le sortite becere di un Papini e le condiscendenze mondane di un Ambrosini, un tono pensoso, severo, una confidente disposizione alla sincerità, un fastidio per lo spreco della parola che ancora oggi fanno sicura presa. Circola un'attenzione ai problemi effettivi della vita culturale e associata, espressione di una Italia « politecnica », minoritaria e in qualche modo eretica, che incide a fondo: la questione meridionale, l'analfabetismo, la riforma della scuola media, la crisi modernista, il sindacalismo, il suffragio universale. Piace la rilettura « prosaica » del Risorgimento, la cautela dinanzi all'irredentismo adriatico, l'avversione al nazionalismo e anche l'antigiolittismo d'impronta salveminiana, così come la polemica contro lo Stato accentratole e la corruzione di Roma burocratica e bizantina, la corrispondenza dalle regioni d'Italia. Incanta la curiosità per quel che viene di fuori, l'apertura di Soffici all'Impressionismo e al Cubismo, la scoperta di Medardo Rosso e Rimbaud e Apollinaire, a svecchiare, al di là dell'egotistica avventura dannunziana, la provincia culturale italiana. Compare intanto, su quelle pagine, la nuova poesia, nasce la nuova prosa, soprattutto a opera dei periferici, i nordici e moralisti: Boine e Jahier e Slataper, Rebora e Sbarbaro. 11 dissidio dello stile riflette il dissidio interiore, una disposizione all'analisi, agli stati mutevoli della coscienza che sono un contributo rilevante alla letteratura del Novecento, tra passione civile e angoscia esistenziale, alle soglie di uno scacco di generazione. E' il momento della autobiografia, del frammento: Un uomo finito, Il mio Carso, Ragazzo, II giornale di bordo, Frammenti lirici. Davvero, fu, secondo l'intuizione di Contini, la nostra stagione espressionista. Certo, numerosi sono gli stri- dori, le confusioni, e più matureranno, tra pensatori e letterati, tra crociani e gentiliani, tra razionalisti e mistici, tra politici e pensatori puri, tra «campagnoli» e «cittadini»: sono le molte anime di una rivista, di un movimento che, nato da una comune insoddisfazione e da una generica volontà di rinnovamento, finirà col cedere alla pressione degli avvenimenti csteriori e all'insidiosa attesa di restaurazione. La prima crisi avviene nel 1911, quando il realismo di Giolitti mette doppiamente in crisi La Voce, liberandone le correnti più torbide: la concessione del suffragio universale, privandoli di un formidabile strumento polemico, scolorisce l'identità dei vociani, mentre la guerra di Libia, a lungo esecrata, finisce col dividerli e comprometterli nell'avventura nazionalista. La politica, che Prezzolini pensava di poter esorcizzare e dominare con fiducia illuministica, si prende la rivincita. Inutile insistere su quel che La Voce avrebbe potuto essere, le sue contraddizioni e tensioni compongono unitariamente, com'ebbe a dire Ferrata, una « lunga testimonianza sull'Italia contemporanea ». Ci si può rammaricare delle sconfitte e insufficienze di una generazione, discriminare quanto di positivo e negativo ne scaturì, ma non si può fare a meno di essere avvinti da un'esperienza che non ha precedenti dalla formazione dell'Italia unita, da quello « Sturm und Drang » che avrebbe segnato di sé, via via, tutte le più importanti iniziative del Novecento: da Energie Nuove di Gobetti, al gramsciano Ordine Nuovo, giù giù, probabilmente, fino al Politecnico di Vittorini. Lorenzo Mondo Caricatura di Giolitti

Luoghi citati: Carso, Italia, Libia, Roma