Restituita ai magistrati l'inchiesta sui "fondi neri" della Montedison di Fabrizio Carbone

Restituita ai magistrati l'inchiesta sui "fondi neri" della Montedison La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale Restituita ai magistrati l'inchiesta sui "fondi neri" della Montedison Roma, 21 gennaio. L'istruttoria sui «fondi neri» della Montedison torna in tribunale. La Corte Costituzionale, dopo quattro ore di camera di consiglio, ha deciso oggi che indagare sugli illeciti della società, durante la presidenza Valerio, è compito del giudice Renato Squillante e non della commissione parlamentare d'inchiesta. Questo vuol dire che si escludono ipotesi di reato a carico di ministri o ex ministri allo stato attuale degli atti. La tesi di Squillante, difesa da precise argomentazioni, ha vinto e ora il giudice tornerà in possesso delle diecimila pagine, frutto di due anni di lavoro, che raccontano la storia di uno scandalo. E' stata una decisione — motivata in ventisette pagine — storica: per la prima volta in Italia i giudici di Palazzo della Consulta hanno risolto un conflitto tra due poteri dello Stato (quello politico e quello giudiziario). L'indagine, tornata a Palazzo di Giustizia, non sarà più la stessa: sono passati tanti anni che una parte dei reati è caduta in prescrizione e qualcuno degli imputati è morto. E' una sconfìtta della commissione parlamentare, accusata a suo tempo di aver chiesto gli atti del processo per una « lunga insabbiatura ». Sono passati quattro anni da quando l'inchiesta sui «fondi neri» della Montedison è in mano a magistrati. Nell'aprile '70 il senatore Cesare Merzagora, nominato presidente della società, trovò nel suo ufficio — come eredità della gestione dell'ingegner Giorgio Valerio — una microspia da intercettazioni e un fascio di assegni per 17 miliardi, intestati a personaggi di fantasia («il cavallo», «il fagiano» eccetera). Merzagora ordinò un'inchiesta interna e otto mesi dopo si dimise. I «fondi neri» esistevano. Una grossa partita di miliardi che Valerio aveva deciso di stornare dal bilancio dell'azienda, senza dire niente al consiglio d'amministrazione, al comitato esecutivo, ai sindaci e agli azionisti. «Abbiamo dato denaro a tutti — dirà più tardi Valerio — ad eccezione dei comunisti». Dicembre 1970: due denunce di illeciti arrivarono al tribunale di Milano da parte di azionisti della società. L'istruttoria venne aperta dal giudice Giovanni Caizzi. A Roma la magistratura indagava su uno scandalo in cui erano coinvolti Giorgio Valerio e Aldo Scialotti, morto pochi mesi fa in Brasile e che da ex barelliere d'ospedale era diventato proprietario di una società elettronica. Lui e Valerio avevano venduto all'esercito italiano 1200 ricetrasmittenti residuate della guerra in Corea, spacciandole per buone. Il processo ebbe una prima frenata: venne sollevato il conflitto di competenza tra Milano e Roma: bisognava stabilire quale tribunale avrebbe dovuto giudicare. Il 24 ottobre '72 la corte di Cassazione stabilì che erano i giudici romani competenti per territorio. Ottobre '73: sotto al divano di pelle nera del suo studio a Piazzale Clodio il giudice istruttore trovò, con l'aiuto del tecnico Francesco Greco, un «microfono d'ambiente». Sulla rampa di Monte Mario era parcheggiato un pulmino del Sid (Servizio informazioni difesa). Proprio pochi giorni fa una perizia tecnica ha stabilito che le apparecchiature all'interno della centrale d'ascolto potevano sintonizzarsi sulla radiospia. Scoppiò uno scandalo: l'inizio di una serie di «misteri» che sommersero il Palazzo di Giustizia di Roma. Chi stava spiando il giudice Squillante e perché? La risposta sì ebbe all'inizio del '74 quando cominciarono a trapelare dal segreto istruttorio indiscrezioni su presunte responsabilità di politici ad alto livello, accusati di aver ricevuto finanziamenti dalla Montedison. Furono resi di dominio pubblico stralci integrali degli interrogatori di Valerio: cifre versate, pseudonimi e nomi degli intermediari pagatori. Vi furono smentite e controsmentite. Poi si cominciò a parlare di presunte responsabilità di ministri (o ex ministri). Fu Merzagora a parlare di « voci correnti » a proposito di un decreto del '66 con cui il governo favorì la fusione tra Montecatini e Edison, facendo risparmiare alla nuova società diversi miliardi di tasse. La mattinata di giovedì 28 marzo '74 l'inchiesta approdò al quarto piano di Montecito¬ rio: l'aveva chiesta «in visione» l'allora presidente della commissione parlamentare inquirente, Cattanei (de). I giudici di Roma rimasero sbigottiti. «L'appiglio tecnicogiuridico per l'avocazione, dissero, è l'ipotesi di reato per i ministri o ex ministri. Lo avremmo dovuto dire noi. Ma è un'eventualità che finora non risulta». Si parlò di «scippo di Stato». Era arrivata da poco in Parlamento l'inchiesta sullo scandalo petrolifero e i commissari di governo alternarono sedute su sedute. Ci fu un rinvio di ogni decisione per la pausa del referendum sul divorzio. Dopo il 12 maggio la commissione (tra le proteste dei comunisti) votò per l'avocazione. Arrivò e passò l'estate: il materiale era vasto e doveva essere «approfondito». Poi il tribunale di Roma sollevò il conflitto giurisdizionale in Corte Costituzionale. Fabrizio Carbone

Persone citate: Aldo Scialotti, Cesare Merzagora, Francesco Greco, Giorgio Valerio, Giovanni Caizzi, Merzagora, Renato Squillante