Capire Mosè di Guido Ceronetti

Capire Mosè IL SACRO E L'UMANO Capire Mosè « Guardale sulla pietra » dice il Faraone alle levatrici, perché se il nato e maschio l'uccidano. In Egitto si partoriva su un sedile formato da tre pietre quadrangolari, disposte orizzontalmente, a forma di U, coperte da cuscini; la puerpera era seduta sui talloni, sotto e di fronte a lei c'era spazio sufficiente per le manovre ostetriche. Il parto poteva avvenire anche senza sedile, come si vede nel bassorilievo dove Cleopatra si sgrava di Cesarione. In copto, la stessa parola ebraica usata dal Faraone, abenìm, indica la sedia ostetrica, che in Egitto si è sempre chiamata con questo nome. Al principio del secolo {'abatini c'era ancora, dalla Turchia al Marocco: era ormai una poltrona adulta, di legno dipinto e ornato, con una apertura a semicerchio nel centro. La posizione della puerpera non era cambiata. Le levatrici dell'Esodo raccontano al Faraone, di cui è taciuta la perplessità, che le donne ebree riuscivano a sgravarsi senza manovre ostetriche, grazie alla loro vitalità. SulVabenìm la cosa non sembra molto facile, e senza levatrice il povero neonato sarebbe finito per terra. Resta l'antico mistero astrologico, di una nascita fatale al suo regno nelle tribù ebree, predetta dagli indovini al re egiziano, che per fare in modo che l'evento infallibilmente si compia fa uccidere tutti i maschi che mai gli avrebbero dato ombra ma si alleva in casa, salvandolo dal Nilo, proprio l'unico che lo distruggerà. Mohyiddin ibn Arabi esplica in questo modo l'uccisione dei maschi ebrei: lo spirito vitale di ogni bambino ucciso « come fosse Mose », non ancora sporcato dall'esistenza, doveva affluire a Mose quando fosse nato, concentrarsi in lui e dargli una forza di segno eccezionale. Mose sarà perciò tutte le vite di quelli che, col fine di annientarlo prima che esistesse, erano stati uccisi. L'Esodo affida Mose alla figlia del re d'Egitto, la tradizione islamica alla moglie. L'Esodo dice soltanto: « Fu per lei un figlio, lo chiamò col no me Mose ». Subito dopo è già cresciuto, nel fiore della forza, e uccide un uomo. Quinzio dice che si è nutrito attraverso le tenebre, fino al giorno della vendetta. Il sacro e l'umano hanno misure diverse: umanamente parlando, Mose è stato allevato nello splendore, e sulla sua vendetta pesa l'ingratitudine. Nella ventottesima sura coranica c'è un passo d'indicibile fatalità sacra Mose è accolto nella famiglia reale perché sia per loro « un nemico e una tristezza ». Intanto la regina diceva: «Questo bambino sarà la frescura dei tuoi occhi e dei miei. Non ucciderlo, perché potrebbe esserci prezioso, e noi potremmo adottarlo ». Il versetto termina: «Non presentivano ». La consolazione, commenta ibn Arabi, fu per la moglie del Faraone di essere chiamata perfetta, insieme a Maria madre di Gesù, e per il re di morire, al passaggio del Mar Ros so, in stato di sottomissione i Dio. Perché sul punto di essere inghiottito dalle acque il re si sottomette a Dio (si fa, let feralmente, mussulmano), prò clamando l'unicità del Dio d'Israele. Il suo corpo è buttato sulla riva perché gli ebrei, che lo credevano immortale, ne ve dano il cadavere come segno. Nelle raccolte midrasciche ebraiche un angelo salva il re dalla morte perché racconti prodigi che ha visto, e morto come re d'Egitto diventa re di Ninive, dove racconterà quei prodigi per quattrocento anni (Forse non è una salvezza) L'Esodo grida con vertiginosa allegria la vittoria in terra, il cielo conosce la pausa del lut to. In un altro midràsh, Dio interrompe i cori trionfali de gli angeli, per imporre il lutto degli egiziani morti, sue creature. (Nel rituale della Pa squa ebraica, questo lutto è ri cordato). Si ristabilisce silen ziosamente l'equilibrio, nel forte sbilanciarsi di Dio in favore di una parte di sé contro un'altra. Ma ibn Arabi pensa che una forma vana di re ricopris se, sul trono d'Egitto, lo stes so Signore supremo: così Dio stesso, ambiguo contrario, di rige Mose al fine voluto, e nei Mar Rosso non cade che uno straccio dorato. Machiavelli scriveva a Ricciardo Bechi, 8 marzo 1497, di una predica di quaresima del frate Savonarola in San Marco di Firenze, dov'era questa interpretazione dell'uccisione dell'egiziano da parte di Mose: « L'altra mattina poi, esponendo pure lo Esodo e venendo a quella parte, dove dice che Moyses ammazzò uno Egizio, disse che lo Egizio erano gli uomini cattivi, e Moyses el predicatore che gli ammaz¬ zava, scoprendo i vizi loro. E disse "O Egizio, io li vo dare una coltellata". E qui cominciò a squadernare i libri vostri, o preti, e trattarvi in modo che non n'arebbono mangiato e' cani ». Mose, chiamato alla profezia, era afflitto da un'incorreggibile balbuzie. Parlare davanti a qualcuno lo intimidiva. Allora è innalzato al di sopra della profezia, diventa un Elohim che ha come interprete, suo profeta, Aronne. Il ritrovamento dei fratelli, da parte di un figlio esposto, adottivo della corte, senza più legami tribali, è razionalmente inspiegabile. Ma perché Mose parli bisogna che nasca questa coppia strana, un profeta con la lingua legata che tiene per sé la potenza psichica, la capacità di produrre segni, abbandonando le potenze vocali, la trasmissione della sua saliva oracolare a un medium. Il significato del suo sdoppiamento è forse questo: la parola di Mose è così grave e tremenda, che un io subordinato deve aiutarlo a portarla, ed è un'energia autonoma che può essere vista come un corpo che cammina. Mose è un incerto, impaurito dall'eccesso delle sue visioni, dalle voci che sente; la sua parola, che lo precede come un doppio visibile, lo dichiara invece deciso. Quando Aronne con un mucchio di orecchini fabbrica il famoso idolo bovino, mentre Mose è occupato a ricevere le tavole della legge, Mose, suo diretto ispiratore, non è certamente estraneo a questo fatto. Uno solo è il fabbricatore dell'idolo, l'uomo che riceve le tavole, l'uomo diviso tra la potenza significativa dell'idolo e l'intollerabile spiritualità del Dio che gli parla, tra la sapienza egiziana che non può rinnegare del tutto e il deserto. Voltaire gli rimprovera di non aver fatto uccidere dai suoi leviti Aronne, fonditore dell'oro, ma Aronne non è che l'interprete di Mose, e nella fusione dell'oro eseguiva una volontà mosaica muta. Il profeta distrugge le tavole perché travolto dalla propria ambiguità. Aronne scampa alla strage levita perché è della stessa tribù, e anche perché è lo stesso Mose. Il bagno di sangue, la strage di tremila devoti di un altro culto, sembra una purificazione mediante una vittima espiatoria, scelta per la sua innocenza, per raschiare via dai veri colpevoli la colpa. Più tardi, Mose in persona fabbriche¬ rà un idolo apotropaico, un serpente di rame, che riceverà incenso nel tempio di Gerusalemme fino al tempo dei re di Giuda. Secondo i cabbalisti, Mose, più che un uomo, è l'intero popolo agli occhi di Dio, e così come alla sedia ostetrica della sua nascita sono affluiti gli spiriti vitali dei maschi uccisi dal re, la sua esistenza lacerata, nera e bianca, è una rissa di anime innumerevoli senza riposo. Il popolo potrebbe non esserci, perché la scena è riempita da quel popolouomo solo, che tormenta e castiga senza fine se stesso. Anzi la scomparsa dell'intero popolo, è scritto nei Numeri, non significherebbe niente, perché Mose, lui solo vivo, sarebbe l'intero popolo. Dietro di lui le tribù non sono che il fodero della sua spada oracolare. Se Mose fosse un eroe storico si potrebbe studiarlo come un grande nervoso, un incastro di abbattimenti e di tensioni insolubili; è invece un segno, un profondo mito sacro (cosa che non contrasta con la sua realtà temporale) e raccoglie da punti infiniti le facce della propria figura. Franz Kafka parla di lui con la suprema dolcezza chiarificatrice che gli è propria. C'è traccia di un suo discorso su Mose nei ricordi di Janouch e nel frammento di Berlino sulla morte apparente: « Dal morto apparente che torna come da Mose che torna (dall'incontro con Dio) si può imparare mollo, ma non la cosa decisiva, perché non ci sono arrivali nemmeno loro ». Nei diari del 1921 dice l'impossibilità per Mose di arrivare a Canaan « non perché la sua vita fosse troppo breve, ma perchè era una vita umana ». Mose è il legislatore che non può conoscere la legge. Se anche la sua vita fosse stata di tre volte centoventi anni, non sarebbe mai arrivato a Canaan. Ripetendo cento volte il suo viaggio, sarebbe sempre arrivato a vedere Canaan, il luogo indicibile, soltanto dalla frontiera di Moab. E se Mose, che è le dodici tribù, che è tutto il popolo, i vivi e i morti, non è arrivato a Canaan, anche il popolo è fermo con lui, in una visione immobile, in una tomba sconosciuta, sulla frontiera di Moab e non può entrare in Canaan. Nessuno di noi arriverà mai dove non ha potuto Mose arrivare. Guido Ceronetti

Persone citate: Canaan, Faraone, Franz Kafka, Janouch, Machiavelli, Quinzio