La Coldiretti, "fendo" della de vuole uscire dall'immobilismo

La Coldiretti, "fendo" della de vuole uscire dall'immobilismo Domani s'apre a Montecatini la conferenza nazionale La Coldiretti, "fendo" della de vuole uscire dall'immobilismo La Confederazione coltivatori diretti negli ultimi tempi è stata duramente contestata dalla base - La presidenza di Bonomi insidiata dai giovani, anche se non viene messa in discussione la colleganza con la democrazia cristiana - Dal dibattito di Montecatini s'attendono caute innovazioni, non scelte di fondo Trent'anni di vita, centinaia di migliaia di iscritti, pozzo di voti per la de, feudo di Bonomi fin dalla sua fondazione: questa è la Coldiretti, che apre domani a Montecatini la prima conferenza nazionale della sua storia. E' un avvenimento importante non solo per il mondo agricolo, perché il dibattito, cui parteciperanno un migliaio di delegati, avrà sicuramente conseguenze politiche. Come la de ha avuto lo scorso anno delle sconfìtte con il referendum e le elezioni in Sardegna e in Alto Adige, così la Coldiretti ha dovuto subire dalla base una contestazione sempre più incalzante, quando addirittura non ci sono state defezioni di suoi quadri dirigenti. Di fronte a questa situazione nuova, e al pericolo che « altri possano approfittare della debolezza organizzativa della Coldiretti per inserirsi alla guida del movimento contadino » (sono parole d'un quotidiano di stretta osservanza democristiana), la Confederazione dei coltivatori diretti, come ha scritto il suo presidente Paolo Bonomi sul Popolo, « si interroga, per poter corrispondere sempre meglio, con aggiornati strumenti sindacali, all'esigenza di rappresentare e difendere i lavoratori autonomi dell'agricoltura ». Senza « porre in discussione la colleganza ideale e politica con la de », la Coldiretti cerca dunque nuove vie, nuovi richiami per mantenere la sua egemonia sul mondo agricolo italiano, come ha fatto negli ultimi trent'anni. Il bilancio di questo lungo periodo non è dei più positivi. Per meglio condizionarla, la Coldiretti ha sempre mirato a mantenere isolata la piccola famiglia coltivatrice, della quale si dichiara strenuo difensore. E' indubbio che abbia ottenuto dei risultati, ma soprattutto di politica assistenziale; ben altro avrebbe potuto fare per il mondo agricolo, con la forza della de dietro le spalle e con il peso della sua sessantina di deputati. Ma la Coldiretti ha difeso l'azienda familiare principalmente per motivi di ordine ideologico ed elettorale, mantenendo questa politica anche quando i tempi erano mutati e anche quando tutti hanno compreso che la libertà economica e il progresso non dipendono più dalla proprietà in se stessa, ma dalla dimensione dell'azienda, dai mezzi meccanici a disposizione, dalla formazione e dal dinamismo dell'imprenditore, dall'intensità dei legami che egli stabilisce con altre aziende e con le associazioni di vendita. Lo strettissimo abbraccio che ha sempre legato la de alla Coldiretti ha rallentato ogni trasformazione progressista nelle campagne. Oggi entrambe sentono l'imbarazzo di questo legame troppo stretto. Malgrado Bonomi scriva che a Montecatini « non si pone in discussione la colleganza ideale con la de » (e noi gli crediamo), c'è adesso fra i due organismi una certa tendenza a scaricarsi vicendevolmente le colpe. La politica agraria degli ultimi trent'anni non è stata certo un successo per l'Italia. Ne è più responsabile la Coldiretti o la de? La prima sussurra che è stata condizionata e non ha avuto sufficienti appoggi; la seconda replica che, tutto sommato, nel dopoguerra i ministri dell'agricoltura sono sempre stati dei bonomiani (ad ec¬ cezione di quello in carica, il «basista» Marcora). Forse queste divergenze, questo fermento, questo travaglio emergeranno durante i tre giorni di lavori della conferenza nazionale. Però crediamo che non ci si debbano attendere risultati clamorosi: «Avanti sì, ma senza scosse». Non è escluso che venga scalfita la monoliticità della Confederazione, che, seguendo l'esempio del suo partito protettore, potrebbe dividersi in correnti. Già si delineano gli schieramenti. I bonomiani ortodossi, vicini ai dorotei, sono ancora abbastanza forti. Contano su notabili influenti come Prearo, Bucciarelli Ducei (ci dicono anche Graziosi, ma ne dubitiamo). Il presidente Bonomi potrebbe forse rimanere al suo posto (cosa che tenterà di fare con tutte le sue forze: pare non intenda accettare nemmeno la carica di presidente onorario), malgrado la grave infermità ne abbia ridotto il mordente. Un gruppo di contestatori interni è capeggiato da uno dei tre vicepresidenti, Truzzi, che si era posto quale principale candidato alla sostituzione di Bonomi, alleandosi ai più vivaci esponenti regionali. Ma pare che molte delle sue ambizioni siano rientrate, specie dopo il « ridimensionamento » subito nel Mantovano. Un altro gruppo consistente è quello che fa capo alle giovani leve che si sono messe in rilievo in campo nazionale, come il sottosegretario all'agricoltura Lo Bianco. Altre forze di disturbo sono i contestatori isolati, come il presidente della Coldiretti di Padova, De Marzi, che di recente si è dimesso dalla carica. Infine l'incognita più grossa, rappresentata dall'attuale segretario generale, Dall'Oglio. Egli è stato il primo fautore dell'incontro con l'Alleanza contadini (estrema sinistra), una specie di « compromesso storico » verde. Quel masso monolitico che è stata per trent'anni la Coldiretti potrà forse uscire scalfito dalla conferenza di Montecatini ma riteniamo improbabili mutamenti profondi. Lo stesso Bonomi, che fino a qualche tempo fa era ritenuto finito (si parlava di Ferrari Aggradi o Natali come possibili sostituti), ha ancora parecchie carte da giocare. Una soluzione di compromesso potrebbe consistere nella sostituzione degli attuali tre vicepresidenti (Truzzi, Bucciarelli Ducei, Vetrone) con elementi più giovani che si sono messi in evidenza a Roma, anche con incarichi di governo, o che hanno guidato con prepotenza la contestazione regionale. Livio Burato

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