Carne pagata a "prezzo d'oro" ma gli allevatori ci rimettono

Carne pagata a "prezzo d'oro" ma gli allevatori ci rimettono Mentre i macellai sciopereranno perché vendono poco Carne pagata a "prezzo d'oro" ma gli allevatori ci rimettono Lo sciopero proclamato dai macellai di tutta l'Italia per lunedì 27 gennaio solleva, per l'ennesima volta, un problema che da anni viene dibattuto, e al quale non si trova soluzione: il prezzo elevato della carne al dettaglio, rispetto alle basse quotazioni pagate agli allevatori. I macellai lamentano che la carne all'ingrosso continui ad aumentare, costringendoli a vendere i tagli più pregiati a 5000-6000 lire il chilo, con la logica conseguenza che la massaia ne acquista sempre di meno: il calo sarebbe del 40-45 per cento rispetto a un anno fa. Ma essi non distinguono il prezzo all'ingrosso dal prezzo pagato al produttore. Infatti il primo è molto alto perché oberato dai molti passaggi di mano (ci devono guadagnare l'intermediatore, il grossista, il macellatore), mentre il prezzo pagato all'allevatore resta sempre alquanto modesto, spesso al di sotto dei costi di produzione. I macellai incolpano anche il meccanismo comunitario che prevede un «prezzo d'intervento» (oggi un milione e 416 mila lire la tonnellata), al quale la carne viene ritirata, per conto della Cee, da organismi nazionali (per l'Italia c'è l'Aima), quando il prezzo di mercato scende al disotto di un livello minimo. Questa carne, non può, come viene chiesto da più parti, essere rimessa in vendita sui mercati comunitari, perché altrimenti cesserebbe lo scopo principale dell'intervento, che è quello di tonificare il mercato. Questa carne, congelata, viene venduta a Paesi extracomunitari, naturalmente a prezzi bassi, perché si tratta di merce conservata per mesi e mesi. Anche la Confagricoltura è intervenuta nella polemica precisando, a proposito dei presenti forti aumenti di prezzo delle carni bovine all'ingrosso o al dettaglio, «che la produzione agricola è praticamente estranea a fenomeni che, pur colpendo essenzialmente i consumatori, denunciano chiare responsabilità tanto nel settore delle importazioni quanto in quello del commercio». I prezzi alla produzione dei bovini nazionali non hanno mai raggiunto in tutto il '74, e fino ad oggi, il livello stabilito dalla Cee per l'intervento, che pure dovrebbe unicamente servire, secondo la filosofia di Bruxelles, a coprire le spese dei produttori. In un Paese come l'Italia, che sino all'anno scorso importava oltre la metà della carne bovina necessaria al suo fabbisogno, non dovrebbero esserci problemi di collocamento per la merce nazionale, come invece esistono. E' evidente che qualcosa non funziona a valle della produzione, se è vero che gli allevatori continuano a macellare le vacche, anche quando il mercato è depresso, solo perché non riescono a far fronte agli aumentati costi di produzione (soprattutto mangimi). Anche lo stoccaggio della carne nei magazzini dell'Arnia a prezzo garantito ha i suoi difetti: infatti non se ne giovano tanto i piccoli allevatori, quanto le grosse aziende, o un certo tipo di nuovi specu¬ latori. Spieghiamo come. Le norme in vigore stabiliscono che possono essere conferiti ai centri di stoccaggio Aima quantitativi minimi di 20 quintali. Ma non sono molti gli allevatori in grado di conferire insieme vitelloni maturi. Ecco quindi che spunta una nuova figura di speculatore: colui che acquista dagli agricoltori i vitelli a prezzi inferiori a quelli di sostegno, macella gli animali e conferisce le carni ai magazzini di stoccaggio, lucrando la differenza di prezzo. Tra le richieste dei macellai vi sono anche quelle di ridurre l'Iva sulla carne dal 18 all'I per cento, di riaprire le importazioni dai Paesi extracomunitari e di vendere ai consumatori meno abbienti (pensionati, famiglie numerose, ecc.) quella «bistecca sociale» che è stata ideata dalla Cee. Delle tre misure solo la terza ci appare logica: ma è necessario che il governo dia le opportune disposizioni. Le altre due misure — riduzione dell'Iva e riapertura delle importazioni — sarebbero nettamente contrarie allo spirito dei provvedimenti governativi. La considerazione più amara è che i danni si riversano sempre e soltanto su due categorie: i consumatori e gli allevatori. I macellai protestano perché la gente compera poca carne: ma chi ha aumentato i prezzi fino a far pagare il filetto a seimila lire il chilo? Del resto, se in Italia le macellerie sono troppo numerose e di conseguenza hanno un giro di affari scarso, è un problema di cattiva organizzazione commerciale, che non dovrebbe ricadere sui consumatori. I produttori sono l'altra categoria, perché si trovano in balia dei grossisti, i quali fanno il bello e il cattivo tempo. A meno che si tratti di allevatori intelligenti e intraprendenti, come quelli che si riuniscono in cooperative, per macellare e vendere direttamente al consumo la loro carne: ci guadagnano loro e ci guadagna la massaia. Livio Burato

Persone citate: Livio Burato

Luoghi citati: Bruxelles, Italia