Bancarotta dei Comuni di Ferruccio Borio

Bancarotta dei Comuni Bancarotta dei Comuni I debiti dei Comuni e delle Province italiane erano 15.784 miliardi all'inizio del 1974 - Oggi sono circa 20 mila e alla fine del '77 dovrebbero essere 36 mila miliardi, secondo una valutazione del ministero Finanze - Dichiarazioni dei sindaci / debiti dei Comuni e delle Province d'Italia erano 15.7S4 miliardi all'inizio del '74. Oggi sono circa 20 mila miliardi e alla fine del 1977 — secondo una valutazione del ministero delle Finanze — dovrebbero oscillare sui 36 mila miliardi. Questa somma corrisponde quasi all'intero debito consolidato dello Stato italiano. Ma la situazione è più allarmante se si considera che gli stessi bilanci registrano un massiccio spostamento dei debiti verso le spese correliti, cioè quelle per stipendi e ordinaria amministrazione, a danno delle spese per investimenti (opere pubbliche) o servizi di importanza sociale (scuole, assistenza, igiene). «Se continuiamo così ■— dice il sindaco di Milano, Aldo Aniasi — non solo non costruiremo più linee metropolitane, ma non saremo neppure in grado di seppellire i morti». Clelio Darìda, sindaco di Roma, aggiunge: «La situazione è a un punto di rottura. Ai Comuni sono accollati tutti i compiti di trincea, ma non si può scaricare a getto continuo nuovi servizi sugli enti locali senza assicurare i corrispondenti mezzi finanziari». Il sindaco di Torino, Giovanni Picco, precisa: «O si rida almeno in parte l'autonomia finanziaria ai Comuni, con una revisione della riforma tributaria, o gli stessi saranno avviati fatalmente alla morte per inedia». Il medesimo discorso fanno i sindaci di Bologna, Firenze, Genova, Venezia e Napoli. Autonomi o no? Per tutti Renato Zangheri di Bologna cita la Costituzione: «La Repubblica promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Zangheri commenta: «Ma questo, francamente, non avviene. Le Province e i Comuni sono retti ancora dalle leggi di Carlo Alberto. Si è riconosciuta la necessità di risanare le fi- e nanze locali. Ma il fondo di risanamento è rimasto una "posta per memoria" nel bilancio dello Stato. Cioè, un'irrisione. Mentre tutto cresce, le entrate dei Comuni sono ferme al 1973 in forza della famigerata legge tributaria». Zangheri si riferisce alla riforma che due anni fa ha abolito le imposte comunali di maggior gettito, come quella di famiglia e sui consumi, unificandole in una imposizione globale incassata dallo Stato. Questi provvede a ridistribuire di anno in anno la quota spettante a ogni Comune in base agli introiti del '72-73, aumentati in media del 4-7 per cento. Con tale sistema i Comuni sono stati privati di ogni autonomia impositiva, chiusi in un meccanismo rigido di entrate e senza possibilità di accrescerle neppure per seguire il ritmo della svalutazione della lira, 20 per cento annuo nell'ultimo biennio. Esaminiamo il caso di Milano, la metropoli, più ricca e dinamica d'Italia. A fine '74 l'indebitamento totale del Comune era di 771 miliardi, a cui si dovranno aggiungere i prestiti che riuscirà ad avere per il '75: si prevedono altri 259 miliardi, in parte compensati dall'estinzione di mutui precedenti. Soltanto per coprire i deficit delle aziende municipalizzate Milano avrà bisogno di fondi per 89 miliardi. Il puro costo del personale (22 mila dipendenti) richiede in stipendi e oneri la spesa di 120 miliardi. In totale il preventivo per l'anno '75 indica le uscite così: 425 miliardi di spese correnti, 42 miliardi per rimborsi dì prestiti, circa 200 miliardi di investimenti. Le entrate: compartecipazioni ai tributi concesse dallo Stato 171 miliardi (ba1 stano appena a pagare i salari); introiti tributari diretti, 63 miliardi (costituiti in gran parte da arretrati di imposte abolite); proventi extratributari, come 17 miliardi per acqua potabile, e 9 miliardi di ammende. Il bilancio di Milano viene presentato in pareggio per evitare i più pesanti controlli della commissione centrale, ma è evidente che si tratta di un pareggio ambiguo, perché i deficit delle muraci palizzate (89 miliardi) vengono inclusi nella parte «straordinaria» dedicata agli investimenti e coperta da prestiti ancora ipotetici. Per vere opere pubbliche sono previsti soltanto 60 miliardi. Dalla relazione dell'assessore Bonatti (psdi) risulta che questi 60 miliardi serviranno appena per lavori che erano già in programma negli scorsi anni. Bonatti dice: «Se non riusciremo a sbloccare la situazione finanziaria, saremo condannati alla paralisi. Avremmo bisogno di altri 100 miliardi per lavori di primaria importanza, che ora sono rinviati: scuole, fogne, opere idriche». Forse già nella prossima estate il problema della sete di acqua batterà alle porte di Milano. Questa è la condizione del Comune più florido. Figuriamoci quella delle altre città. Roma ha debiti per 3 mila miliardi e ne prevede 320 in più per il '75. Torino ha un deficit «consolidato» di 350 miliardi, a cui si aggiungono j 51 miliardi di quest'anno; e c'è il grosso problema delle municipalizzate che inghiottiranno oltre 75 miliardi in dodici mesi. Firenze ha debiti per 335 miliardi (727 mila lire per cittadino) e ne prenota altri 100 per il solo '75; di questi, 41 miliardi sono destinati ai salari di 7200 dipendenti. Idem per Genova. Il sindaco Piombino ha presentato un preventivo con un deficit di 41 miliardi sulle spese correnti che sale a 96 con i disavanzi delle aziende municipalizzate e la copertura dei rincari per le opere in corso. Potremmo continuare. Sono in crisi i grandi Comuni metropolitani (non parliamo di Napoli, Palermo, Catania) e lo sono i Comuni medi e piccoli. Nella cintura di Torino bastano due esempi: Rivoli e Grugliasco avranno nel '75 deficit di 2 miliardi ciascuno, cioè sulle 50 mila lire a testa per abitante. Momento grave Di chi la colpa? Risponde Aniasi: «Le città sono sull'orlo del disastro e si sta arrivando al collasso dei mezzi pubblici, perché agli enti locali lo Stato assegna compiti indispensabili per la vita civile, ma nessuno si preoccupa di fornire gli strumenti per svolgerli. Le esigenze sociali aumentano, ed è giusto; la domanda d'intervento cresce; ma le nostre possibilità diminuiscono. A questa minaccia per la stessa convivenza civile del Paese corrisponde un'incredibile indifferenza dello Stato che è anche incapacità di comprendere la gravità del momento». Che cosa si può fare? Ancora Aniasi: «Non palliativi o provvedimenti parziali. Urge una politica radicalmente diversa per le autonomie locali». Il presidente della Regione toscana Lelio Lagorio: «I poteri locali chiedono non una contrapposizione, ma una politica di raccordo fra i tre livelli istituzionali della Repubblica (Stato, Regioni, enti locali)». Misure urgenti Picco di Torino dice: «Misure da prendere ce ne sono, ma devono essere tempestive. Con la riforma tributaria lo Stato si è fossilizzato sui cespiti del '73. I grandi Comuni dispongono di un apparato che potrebbe intervenire subito; basterebbe riconoscere ai Comuni il 40 per cento dei cespiti per i maggiori accertamenti fiscali compiuti in loco. Il vantaggio sarebbe immediato». Per dibattere questi problemi l'Anci (Associazione nazionale dei Comuni d'Italia) ha promosso il 12 novembre scorso la «Giornata delle autonomie». Tutti i consigli di 8059 Comuni, 92 Province e 20 Regioni sono stati mobilitati in sedute pubbliche per sollecitare una «rigorosa azione di riforma autonomista dello Stato e del costume politico». In quell'occasione l'avvocato Guglielmo Boazzelli, presidente dell'Anci, disse: «Noi non intendiamo essere una controparte decisa a sostenere chissà quali interessi corporativi contro il governo. Chi pensa così, sbaglia, perché c'è una verità sola: anche noi — Comuni, Province e Regioni ■— siamo lo Stato. Non facciamo torto alla Costituzione». Boazzelli sostiene: «Molte difficoltà sociali, politiche ed economiche si possono superare soltanto rilanciando le iniziative autonome degli enti locali. Ma bisogna fare in fretta, il dramma si volge in tragedia. L'Anci ha già proposto una legge per la riforma delle norme sui compiti, funzioni e strutture degli enti locali. Si devono sviluppare i consumi sociali e indicare le priorità, ma è indispensabile dare ai Comuni i mezzi per soddisfarli. L'obiettivo è la revisione della legge comunale e provinciale che si basa per molti punti su concetti anacronistici». / Cornimi giocano ancora una carta. L'Anci ha convocato per il 28 gennaio il suo consiglio nazionale per «esaminare la situazione delle finanze degli enti locali». Boazzelli dice: «Speriamo che sia la volta buona». Ferruccio Borio