LETTERA AL DIRETTORE: MOSE IN TV di Lietta Tornabuoni

LETTERA AL DIRETTORE: MOSE IN TV LETTERA AL DIRETTORE: MOSE IN TV Gli amici del Faraone Caro Direttore, mi si consenta di commentare l'acuta annotazione fatta da Lietta Tornabuoni circa le reazioni degli spettatori alla vicenda biblica del Mose trasmesso in tv: reazioni che anch'io ho constatato nella cerchia di parenti e conoscenti. E' un fatto che molti sembrano avere identificato quella parte che nei western viene definita « i nostri » negli egiziani e nel loro Faraone, tanto da prendersela col Padreterno, che Lietta definisce « dio della vendetta », per i castighi a loro inflitti al fine di facilitare al « popolo prediletto » la fuga verso la Terra Promessa. Ciò non era certamente nelle intenzioni degli estensori del racconto biblico e nemmeno, io credo, in quelle del regista televisivo. Sarebbe interessante conoscere su questo strano capovolgimento di valori l'opinione di uno psicanalista, ferrato più di me nell'esplorazione dell'animo umano. Perché, in un'epoca in cui si fa tanto parlare di popoli oppressi e del loro diritto alla libertà e all'autogoverno, la gente non prende le parti di quel misero popolo di schiavi, oggetto di una feroce oppressione che la regìa televisiva ha bene illustrato, il quale affronta inenarrabili peripezie pur di ritrovare un'autonoma dignità in una lontana terra che la sua fede nella giustizia divina gli fa apparire come sicura promessa? Forse, nelle oscure pieghe dell'animo umano, sopravvive ancora una simpatia, una nostalgia, per i governi forti e spietati, con annessa subconscia identificazione di ciascuno nel Faraone, e di coloro che ci sono antipatici — magari il capoufficio o il vicino di casa — negli « altri », gli schiavi, da prendere a scudisciate con il benevolo appoggio dell'Onnipotente? Spero di sbagliarmi, ma se è così c'è da essere sconfortati... duemila anni dalla fine dell'impero egiziano, che coincidono con duemila anni di cristianesimo, sarebbero proprio trascorsi invano. Mi sorprende pure che la storia di Mose e del suo popolo, che attraverso tante sofferenze raggiunge la Terra Promessa, venga accolta e giudicata anche dalle persone colte solo nel suo senso letterale (sono noti i tentativi da parte di studiosi per spiegare «scientificamente» il passaggio del Mar Rosso o l'acqua che sgorga a scroscio in pieno deserto al tocco della bacchetta di Mose), con conseguenti facili ironie su quella che così appare una favola per genti primitive e sottosviluppate. E non sia invece considerata nel suo valore simbolico e profondo, come rappresentazione della sempiterna storia dell'uomo il quale, a prezzo di fatica e sacrifici, conquista la « terra promessa » della libertà: libertà dall'altrui oppressione, ma anche dalla rassegnazione e dalle altre istanze puramente vegetative che lo rendono schiavo, prima che degli altri, di se stesso. Mose, come gli eroi di tante saghe e di tanti miti, raffigura — mi sembra — l'uomo che, avendo già conquistato la propria individuale libertà, sente, impellente come un ordine, il bisogno di usarne non a fini egoistici ma al servizio di coloro che sono ancora oppressi. Tutti i popoli di tutti i tempi hanno senti¬ to, e rappresentato nei loro miti, l'evoluzione umana in termini di faticoso e sofferto riscatto. Che questa forza evolutiva insita nell'uomo (Huxley la definiva « spinta verso il meglio », gli antichi « voce di Dio »), che lo induce a superare tutte le prove per raggiungere una meta ideale, sia davvero irrefrenabile e travolgente lo dimostra il successo dell'impresa di Mose e del suo misero popolo straccione, la cui epopea nel deserto non si può negare abbia determinato una svolta nella storia umana. Grazie, cordialmente tua Laura Bergagna

Persone citate: Faraone, Huxley, Laura Bergagna, Lietta