LE INDUSTRIE ITALIANE CHE "TENGONO» di Mario Salvatorelli

LE INDUSTRIE ITALIANE CHE "TENGONO» LE INDUSTRIE ITALIANE CHE "TENGONO» C'è un'isola tutta di rame La Smì è così solida e tecnologicamente avanzata che può acquistare un'azienda fallimentari e risanarla - Restano tuttavia le incognite della crisi internazionale a partecipazione statale in condizioni e di un discusso "piano" delPEgam (Dal nostro inviato speciale) Firenze, gennaio. Un'industria che può denunciare all'anagrafe un'età media dei suoi funzionari intorno ai trentacinque anni e che ha il coraggio di acquistare un'azienda « a partecipazione statale » in condizioni fallimentari, ristrutturarla e portarla in quattro anni a un livello tecnico ed economico ottimo, è certo un'industria al passo con i tempi. Anzi, d'avanguardia, se si rileggono le dichiarazioni fatte dal presidente Moro al Parlamento, là dove dice che « la vita politica è stanca» (quindi c'è bisogno di giovani) e dove afferma che « l'equilibrio tra pubblico e privato è già stato portato a un punto oltre il quale sarebbe compromessa non solo la dinamica delle strutture produttive, ma quello stesso decentramento nelle decisioni economiche che costituisce la condizione di permanenza di una società pluralistica e democratica ». Alla Smi, Società Metallurgica Italiana, non sono stanchi, ma pieni d'idee e di voglia di attuarle, spinti anche dai risultati dell'ultimo esercizio, che ha registrato un buon andamento economico e nuovi primati di produzione. La Smi è la più grossa delle aziende che lavorano il rame, quindi l'abbiamo scelta per esaminare l'andamento di un settore che a buon diritto può figurare tra quelli che «tengono» in questi momenti, lunghi momenti, di crisi. E' un settore che in vent'anni ha triplicato la sua produzione e oggi, con mezzo milione di tonnellate annue di prodotti, è quasi alla pari, come forza industriale, con i francesi. In uno degli stabilimenti della Smi, quello di Fornaci di Barga (Lucca), c'è un « treno di laminazione rame » in grado di lavorare placche di 13 tonnellate, certo il più lungo e il più grosso d'Europa, e forse del mondo, visto che i due maggiori impianti del genere, americani, si fermano a sette-otto tonnellate. Se ogni prodotto della Smi conservasse il « marchio di fabbrica », lo si potrebbe trovare tanto sotto un piatto di rame sbalzato esposto nella bottega di un artigiano, quanto nel reattore nucleare di Frascati, nelle cartucce e nei bossoli da caccia e da guerra e nel radiatore di un'automobile, nei « cavi scaldanti » che possono scongelare la superficie di un'autostrada o di un campo di calcio e nei cavi telefonici, nei piccoli chiodi e nelle grandi lastre per la copertura dei tetti. Particolare curioso: l'unico reparto in crisi della Smi è quello per la coniazione delle monete, proprio in tempi di un'altra crisi, quella degli spiccioli. E questo perché la coniazione delle « venti lire » è stata affidata, chissà perché, a una ditta tedesca, quella delle nuove monete da 200 lire è stata decisa e aggiudicata, ma è ferma da tempo, anche questo non si sa perché, così come è ferma la coniazione delle monete da 5 e da 10 lire, il cui ultimo appalto era stato vinto dalla Smi. Ma questo è un problema di spiccioli, appunto, di cui non si preoccupa l'amministratore delegato della società, Luigi Orlando, figlio del presidente, Salvatore, e leader di turno della famiglia che da settant'anni esatti, dal 1905, controlla e manda avanti la Smi. I veri problemi sono ben altri e riguardano tutti il futuro. « Saremmo troppo presuntuosi — dice — se pensassimo di essere un'isola che, per qualche potere magico, riesce a splendere di luce propria in questi oscuri momenti di crisi ». Aggiunge: « Se non si fa una politica economica globale e valida, stiamo andando verso una recessione che può essere fatale al Paese, perché è un'ondata che ancora non ci ha coperto, ma sta arrivando e potrebbe coprirci tutti, se non sarà arginata, deviata in tempo ». Torna in mente la grande alluvione di Firenze, le cui tracce si scorgono ancora sui muri esterni dello splendido palazzo rinascimentale dove ci troviamo: costruito cinque secoli fa esatti da Giuliano da Sangallo, decorato da bassorilievi della scuola di Donatello e da affreschi, per tre secoli dimora dei conti della Gherardesca, circondato da un parco all'italiana altrettanto secolare. Non c'è dubbio che la sede della Smi può proprio suggerire l'idea di un'isola felice in un mondo inquieto. E' un'isola, invece, completamente calata nella realtà. Come ci sono computers nei cinque stabilimenti di produzione della Smi che regolano le lavorazioni, analizzano i vari « campioni » e danno il via alle colate incandescenti, così qui, in sede, c'è un computer che elabora le ultime quotazioni delle Borse metalli di Londra e, due ore dopo, impartisce a tutti i centri commerciali della società, in Italia e all'estero, i prezzi della giornata. E' un « cervello » che ama rivestire panni rinascimentali, parlare dell'importanza di una « migliore qualità di vita », come la può offrire Firenze, ma è un cervello che non perde di vista tutto ciò che accade nel mondo. « Quando sono entrato alla Smi nel 1952 — ricorda il suo direttore generale, Giampiero Busi — l'azienda vendeva 25.000 tonnellate di prodotti l'anno; nell'ultimo esercizio ha superato le 136.000, con un incremento in peso, quindi in termini reali, del 450 per cento. Solo nell'ultimo anno l'aumento è stato del 33 per cento, e quest'anno dovremmo arrivare ad oltre 150.000 tonnellate, con una quota di esportazione che si avvicina al 30 per cento in peso, al 35 per cento in fatturato ». Limare i costi Ma c'è in vista l'ondata della crisi, l'alluvione che potrebbe sommergere tutti. Che cosa possono fare le aziende, in questa situazione? « Possono fare, debbono fare — risponde Luigi Orlando — una politica aziendale di stretta lirr.a.ura dei costi, a tutti i i: /elli, per ridurre le spese tecniche e amministrative. Ma in questo momento sono predominanti i fattori esterni, che possono annullare qualunque sforzo venga fatto all'interno dei cancelli ». Siamo di fronte a un duello tra la microeconomia aziendale, di ogni singola unità produttiva, e la macroeconomia nazionale e internazionale, che si traduce nei costi delle materie prime e dei trasporti, del lavoro e del denaro, nella congiuntura mondiale, nelle politiche economiche dei vari governi. Davide e Golia: c'è da sperare che, come nei tempi biblici, il piccolo possa sconfiggere il grosso. Come si presenta la Smi a questo duello? « Francamente riteniamo, dice Orlando, di non avere alcuna deficienza. In tecnologia possiamo competere con chiunque in campo internazionale, siamo anzi all'avanguardia in alcuni settori. Abbiamo una struttura abbastanza agile, un'organizzazione con molti giovani che ci permette di affrontare di slancio i problemi, siamo attrezzati per controllare questi costi. I condizionamenti vengono da fuori: molto dipenderà dai risultati dei colloqui in corso con i sindacati, dalla possibilità di finanziare i nostri programmi prima che invecchino, dall'andamento dei costi di produzione, che non hanno ancora ridotto la loro spinta ascensionale ». Si direbbe, da queste parole, che tutto vada al contrario: si frenano le iniziative, la voglia di fare dei giovani, con il pericolo di uno scoraggiamento generale, di un invecchiamento di questi programmi e di queste energie, mentre non si riesce a frenare l'aumento dei costi. Luigi Orlando precisa che il futuro è incerto, ma non così nero. Per quanto lo riguarda, intanto, c'è il prezzo del rame, che in nove mesi è crollato a meno della metà: era a 1400 sterline la tonnellata (circa 2000 lire al chilo) nell'aprile scorso, alla Borsa di Londra, ieri era sceso a 522 sterline (sulle 780 lire al chilo). Con la caduta del rame, sono diminuiti anche i prodotti di trasformazione del metallo, ovviamente non di altrettanto, perché la materia prima è solo una delle componenti del costo di un prodotto, quindi del suo prezzo, ma sono diminuiti. E questa è certamente una delle cause del buon andamento di questo settore. Il crollo del rame offre lo spunto a Luigi Orlando per un'osservazione sul « piano Egam », l'ente di Stato per la gestione delle attività minerarie, che si propone di assicurare V approvvigionamento del rame al Paese e di « alleggerire » la bilancia commerciale importando il concentrato di rame, che co¬ sta meno, e raffinandolo in casa. Per intenderci, sarebbe come importare quarzo e pirite, per ricavare in casa l'oro puro. Orlando rileva che se il « piano » fosse già stato operante un anno fa (« per fortuna non lo era — aggiunge — e spero che non lo sarà mai »), avrebbe provocato una perdita secca di molti miliardi nel valore degli approvvigionamenti e delle previste scorte strategiche. Con il sistema attuale, invece, il prezzo può variare ogni giorno senza perdite, né c'è alcun rìschio per gli approvvigionamenti che sono molto diversificati, anche geograficamente, e chiunque può acquistare rame, alle Borse e ai prezzi internazionali. Fatto in casa « Non si sente il bisogno — dice Orlando — di un ente che garantisca., ciò che è già garantito, che progetti d'investire qualcosa come sei o settecento miliardi (500 per partecipazioni in miniere di rame all'estero, 160 per costruire la raffineria) quando siamo così carenti di denaro per iniziative più valide economicamente e più utili socialmente, perché una raffineria può dar lavoro al massimo a un centinaio di persone. Abbiamo avuto in questi ultimi anni l'esempio dei giapponesi, che hanno fatto qualcosa di simile, con il risultato che il rame " fatto in casa " gli costa di più ». Fa osservare che esiste anche un problema di costi di trasporto (non è un buon affare trasportare cento chili di materiale, di cui solo 2324 sono di rame, perché questa è la percentuale di metallo nel concentrato) e c'è il problema dell'inquinamento, perché una raffineria di rame è tra gl'impianti ecologicamente più dannosi. Ma Orlando scorge soprattutto un pericolo futuro. Quando ci si accorgerà che l'iniziativa non è valida, ed egli è certo che non lo sarà, allora si vorrà tentare, come sempre in Italia, di giustificarla con altre iniziative a valle, « verticalizzandola » — dall'importazione e dalla raffinazione alla trasformazione — e chiudendo il ciclo del rame. Ovviamente, il ciclo lascerebbe le imprese private fuori da tutte le forniture agli enti di Stato — Enel, Sip, Ferrovie eccetera — che sono tra i clienti maggiori. Alla Smi calcolano che in questo modo all'industria privata del rame verrebbe tolto qualcosa come cento-centoventimila tonnellate di produzione. Il piano dell'Egam, secondo Orlando, andrebbe contro i tempi anche sul piano politico, interno e mondiale. Interno, perché si è ormai diffusa in tutti i settori, comunisti compresi, l'impressione che l'intervento pubblico, sebbene sia stato in alcuni casi giustificato, non abbia dato i risultati attesi, quindi oggi occorra andare cauti, non commettere errori che potrebbero costar molto cari al Paese. E' un piano che va contro i tempi anche a livello internazionale, perché i Paesi produttori di materie prime non solo hanno la tendenza ad agire direttamente, « in prima persona », con gli acquirenti, ma anche a compiere la raffinazione « a bocca di miniera », il sistema più semplice ed economicamente valido per aumentare il valore delle loro esportazioni. Orlando conclude: « Noi, invece, vogliamo raffinare in Sicilia il rame che importiamo dallo Zaire, dallo Zambia, dal Cile, dal Perù, dal Nord America: sono cose inspiegabili ». Alle preoccupazioni per il futuro che, in diversa misura, hanno tutti i settori produttivi del Paese, si aggiungono così, per l'industria tras formatrice del rame, quelle derivanti dal piano Egam. Ma preoccupazione non vuol dire sfiducia, e si ha l'impressione che Luigi Orlando non solo non faccia questa confusione di termini, ma che di fiducia ne abbia da vendere. Già il caso di un'azienda privata che vola al soccorso di una pubblica, che invece di farsi « ospedalizzare » diventa una clinica per imprese malate, è un caso molto suggestivo. (Per sciogliere l'enigma, si tratta della « Delta » di Serravalle Scrivia, già del gruppo Finmeccanica, rilevata dalla Smi al 50 per cento nel 1969 e interamente al 100 per cento, nel 1973). Non ci sarebbe poi tanto da stupirsi se queste « isole » più o meno felici riuscissero veramente a far fronte alla crisi, ad arginare l'alluvione. Mario Salvatorelli

Persone citate: Giampiero Busi, Golia, Luigi Orlando