Jackson capro espiatorio? di Vittorio Zucconi

Jackson capro espiatorio? Jackson capro espiatorio? (Dal nostro corrispondente) Washington, 16 gennaio. Un evidente sforzo per mantenere la calma caratterizza ancora, come già ieri, le reazioni di Washington di fronte al primo, serio rovescio nella giovane storia della distensione russo-americana. Pcrd ha blandamente rimproverato il Congresso Usa, per quanto accaduto, ma si è ben guardato dal rivolgere parole di biasimo all'Unione Sovietica; il Congresso, cioè il senatore Jackson autore e promotore dell'emendamento alla legge commerciale che ha indotto l'Urss al rifiuto, si volge all'Unione Sovietica che egli ritiene responsabile; Kissinger, in mezzo ai tre poli della crisi, la Casa Bianca, il Cremlino e il Parlamento predica il «compromesso», perché se la battaglia scoppiasse ben difficilmente egli uscirebbe illeso da un fuoco incrociato. A ben guardare, infatti, il nodo sul quale si è — per la prima volta — incagliato il p-ocesso distensivo Usa-Urss (non il principio coesistenziale, la distinzione è importantissima) sta non tanto nei rapporti fra le due superpotenze, quanto nel rapporto fra la distensione stessa e la politica interna. Non vi è dubbio che la crisi non nasce tanto da ragioni intrinseche di attrito fra Mosca e Washington, quanto da problemi di potere interni alle due superpotenze. E' una constatazione che può essere guardata da due ottiche opposte: l'una ottimista, valutando cioè l'èsiraneità dell'incidente «commerciale» rispetto al processo coesistenziale, l'altra invece pessimista, osservando che a lungo termine l'equilibrio fra le due superpotenze non può non risentire dei riflessi delle lette di potere al Cremlino così come a Washington. Mancano meno di due anni alle elezioni presidenziali americane e, come sempre, l'Urss giocherà un ruolo indiretto ma preciso nella lotta. A Washington si sa che, nella scelta di un candidato, un partito deve tenere conto dei connotati «esteri» del proprio uomo, dunque in primo luogo di come egli condurrà la politica verso l'Urss. Con il gesto d' ieri, Mosca ha detto oltre ogni dubbio che una presidenza Jackson dal '77 potrebbe avere le peggiori conseguenze sulle relazioni fra i due Stati. Per questo il «colpo» sembra piuttosto di avvertimento che non diretto al cuore della distensione. Ed era a ben vedere un gesto abbastanza a buon mercato per i sovietici, visto che la legge commerciale fissava un limite ai crediti di 300 milioni di dollari. Una cifra irrisoria rispetto a quantr l'Urss, senza legge commerciale, aveva già ottenuto dagli Usa, ((noccioline» secondo una definizione dello stesso Kissinger. Ma se la coesistenza sembra in grado di sopravvivere alla sua prima, importante «strozzatura» (e prima o poi doveva arrivare) qualcuno dovrà pagare per l'incidente. Da Mosca sapremo soltanto quello che i labili e coraggiosi giochi d'ombra della cremlinologia ci diranno; da Washington possiamo aspettarci ben altre bordate. Fra Kissinger e Jackson la partita difficilmente potrà chiudersi con un risultato nullo. O il senatore sarà tenuto responsabile, per aver spinto troppo la sua ambizione, il suo desiderio di cavalcar la tigre della politica estera per conquistare voti presidenziali, e allora la sua candidatura tramonterà. O il giudicatezza che gli e nota lo «scaricabarile» su Kissinger, riuscendo a collocare il segretario di Stato nel ruolo di capro espiatorio per questa battuta d'arresto diplomatica. Insomma la chiave di volta della situazione è Jackson. V'è chi dice che egli non cadrebbe senza trascinare con sé la testa del suo rivale Kissinger. Ma al di là delle lotte personali e del problema specifico dei rapporti Usa-Urss, il rifiuto dell'accordo commerciale da parte russa ha proposto con la maggior violenza immaginabile un tema fondamentale della politica americana: l'equilibrio fra il Congresso e la Casa Bianca, fra il legislativo e l'esecutivo, questo rapporto ormai ferocemente dialettico che nel '74 ci ha dato le dimissioni di Nixon, nel '75 è arrivato alla politica estera con l'incidente di ieri. Qualcuno sospetta addirittura che Kissinger abbia lasciato che la legge commerciale viaggiasse diretta nella sua rotta di collisione con l'Urss, considerando l'inevitabile (e da tempo previsto) rifiuto sovietico un prezzo ragionevole da pagare per «tagliare le unghie» al Congresso e convincere il Parlamento che la politica estera deve essere condotta dall'esecutivo, pur nell'ambito della Costituzione. Operazione non senza rischi: presuppone una dose di complicità dello stesso Kissinger: da lui partirono infatti le assicurazioni a Jackson che l'Urss era pronta a cedere qualche migliaio di ebrei in cambio di qualche milione di dollari, pur sapendo egli benissimo che Mosca non avreb¬ '■ be mai potuto accettare un atto formale di ingerenza nei propri affari interni, senza creare un precedente di incalcolabile portata. Ora il segretario di Stato dice che l'enorme pubblicità data da Jackson al cenno d'intesa sovietico ha di fatto costretto Mosca al rifiuto, mentre Jackson replica accusando Kissinger (ma non ancora in pubblico) di aver fatto credere quel che non era. Di avere, cioè, bluffato. Vittorio Zucconi

Persone citate: Kissinger, Nixon