La Ginzburg senza se e ma di Natalia GinzburgGiovanni Bogliolo

La Ginzburg senza se e ma La Ginzburg senza se e ma Natalia Ginzburg: « Vita immaginaria », Ed. Mondadori, pag. 228, L. 3500. Per promuovere alla dignità del libro pagine originariamente destinate alla vita effimera del giornale si è soliti dotarle di un fragile pretesto di unitarietà, e può sembrare strano che Natalia Ginzburg intitoli proprio alla « Vita immaginaria » la sua ultima raccolta di scritti d'occasione, elzeviri e brevi interventi saggistici che, pur non trascurando gli abituali richiami della sua stupefatta memoria, illustrano soprattutto il suo atteggiamento militante verso la realtà quotidiana. Ma nelle uniche pagine inedite del volume, dedicate appunto alla vita immaginaria, alla libera e segreta fantasticheria individuale che, vittima anch'essa delle tristi leggi del divenire biologico, accompagna in fedele contrappunto i mutamenti della nostra esistenza reale, sta forse la soluzione del piccolo mistero, se è vero che dalla fervida consuetudine della rèverie la scrittrice ha sviluppato quella « attenzione di una qualità speciale », quella « maniera insieme imperiosa e devota di muovere dentro di noi i latti reali », di cui il libro presenta un esercizio quasi virtuosistico. La rivelazione di questa origine insospettata potrà forse aiutare a chiarire il meccanismo di un'attività saggistica che si muove su schemi del tutto insoliti e sortisce quasi sempre effetti provocatori. In genere, l'impatto con la realtà provoca nella Ginzburg una prudenziale presa di distanze: a volte si tratta di una candida professione d'incompetenza o di una rivendicazione di soggettiva arbitrarietà, altre volte di un attacco incongruo, volutamente modesto o scandalosamente riduttivo, che è facile scambiare tanto per una manifestazione di pudore intellettuale quanto per un'accattivante e veniale civetteria, anche se ha tutte le caratteristiche della Verneinung, dell'ambigua e liberatoria negazione freudiana. E a spiegarla basta forse soltanto il rifiuto sentimentale del proprio immodificabile ruolo intellettuale, l'illusione di evitare con un piccolo stratagemma la trappola degli stucchevoli riti dell'intelligenza: « La parola "intellettuale" è una parola che mi è odiosa, non mi è mai piaciuto di pensare di esserlo, ma forse una particolarità degli intellettuali è di non amare di esserlo ». Sia come sia, questo distacco preventivo — esplicito o larvato — agisce come un formidabile espediente retorico: subito dopo averlo concepito si può davvero scrivere, come dice Garboli nella sua affettuosa e penetrante presentazione, « senza se e ma », si può sostenere impavidamente che a riscattare le brutture del nostro tempo detestabile bastino i film di Bergman, le poesie di Penna e i libri della Morante, si può soprattutto riscoprire il piacere di pronunciare parole pericolose e desuete come bellissimo, bruttissimo... Ma anche l'estrema nudità dello stile, quella scrittura dimessa e sorniona che si concede soltanto il lusso di una aggettivazione superbamente analogica, prolunga l'effetto di sprovveduta saggezza e consente il libero e convincente sviluppo di un pensiero perentorio ma straordinariamente penetrante: il frequente ricorso all'iperbole e al paradosso non minano infatti la ragionevolezza e la coerenza delle opinioni, solo le qualificano immediatamente come tali, senza mascherarle da verità, lasciando così ampio spazio al dissenso ma chiudendo ogni possibilità di polemica. I lettori di questo giornale che ha ospitato molte delle pagine ora raccolte nel volume sanno che gli interventi della Ginzburg hanno sempre, dietro la loro intrepida pacatezza, una forte carica dirompente: rimuovono la crosta dei luoghi comuni e delle opinioni ricevute, mettono a nudo quelle poche verità elementari con le quali di solito si evita di fare i conti, dicono, con la stessa svagata sincerità, le cose più sgradevoli e le più sublimi. II pretesto non ha importanza: un film, un libro, una passeggiata, il ricordo di un amico possono ugualmente mettere in moto un'appassionata meditazione o un'analisi tagliente, una visione disincantata della realtà o un affettuoso recupero di lontane memorie familiari. Ma i due poli — costantemente presenti e diversamente operanti — rimangono sempre rigorosamente separati e mai la struggente vena elegiaca si insinua, non fosse che per offrire una consolante e dilatoria evasione, tra le pieghe delle risentite risposte alle amare o tragiche sollecitazioni del presente. Ed è forse qui, nell'assiduo rifiuto della tentazione elegiaca, il segno più sicuro della passione civile e dell'onestà intellettuale della scrittrice. Giovanni Bogliolo ì

Persone citate: Bergman, Garboli, Ginzburg, Morante, Natalia Ginzburg