Una militante di Giovanni Arpino

Una militante Le memorie di Teresa Noce Una militante E' difiicilc immaginare con pquale disposizione, o curiosità ro rispetti umani, un giovane d'oggi, più o meno contestante, possa leggere le quattrocento pagine a cui Teresa Noce affida le sue memorie di settantacinquenne Rivoluzionaria professionale (Edizioni La Pietra, lire 5800). La realtà che ci invischia s'incarica di spegnere accuratamente ogni illusione d'esistenza eroica. I facili slogan, orali o murali, pretendono di risolvere con cabarettistica agilità problemi che hanno radici ben più profonde d'uno spessore di calcina o dello sgorbiato mattone. Quindi le « istorie ». sovente avventurosissime, che la Noce racconta, potrebbero anche provocare scrollate d'indifferenza, contraccuse ipocrite, giudizi estremistici nati con quei « vogliamo tutto » che abbaiano da ganasce senza veri denti. La memorialistica italiana non è ricca. Per un Goldoni o un Alfieri, per un Cellini o un D'Azeglio, di fronte a un Pellico e a un Garibaldi, che diversamente incisero nei loro tempi ritagliandone schegge poderose, v'è un oceano di testimonianze perdute. Il letterato e l'uomo politico, lo storico e il condottiero assai di rado gustarono il solitario piacere di atteggiarsi davanti allo specchio dell'esperienza e lì tenere un bilancio. Mille diari possibili, che avrebbero contribuito a chiarire la nostra storia, sono rimasti nei nebulosi regni delle ipotesi e dei rimpianti. Perché « loro ». i testimoni, più che ad un filtro scritto, pensavano all'ovvio monumento oppure all'oblio, figli com'erano d'una società che teme il cantar delle carte. Teresa Noce che « dice la sua » è importante. La sua autobiografia viene certo da lontano, si dispone pianamente, non cerca gli effetti e i risvolti clamorosi, si fa leggere come un Dumas, è insieme grande e piccina. Grande perché attraversa sessant'anni di storia italiana ed europea, muovendosi da Torino a Mosca, da Guadalajara a Parigi a Marsiglia a Roma. Piccina perché senza preamboli o pretese di « cornice » e di « sfondi », restituisce l'ottica di una militante comunista che fu sartina, operaia, segretaria di sezione, esiliata in Urss, partecipe della guerra civile spagnola, della Resistenza e dei problemi dell'Italia liberata e da rifare: ma sempre con una visione personale, con uno sguardo dal basso che onora l'autrice, con un carico di aneddoti che ammiccano, significativi e pungenti. «Brutta, povera e comunista», «Tra casa e rivoluzione», «Resistente e partigiana», «Dirigente politica», ecco le quattro sezioni in cui è diviso il libro. S'intravede subito come Teresa Noce ami spicciarsi con le parole, come pretenda che ogni parola sia un fatto. Ella rifiuta un linguaggio ritorto, semmai si impossessa di alcuni termini della pubblicistica di sinistra, per correggerli poi con un'osservazione, una nota, un accenno caratteriale indispensabile come grano di pepe nell'intingolo. La bambina torinese che a sei anni scopre se stessa, alle « Ca' Ncirc ». e guadagna un soldo al giorno per portare il pane del fornaio ai clienti, diventa presto una ragazzina che si fa apprendista in sartoria e poi trova ambiente umano e terreno formidabile d'esperienza ai torni della Fiat Brevetti. Sono gli anni terribili e fascinosi dell'avvento industriale, dell'Alleanza Cooperativa, degli scioperi contro la guerra e durante la guerra, del riformismo e del bordighismo. dei socialisti che non sanno chi sia Lenin o due menscevichi arrivati a Torino per una presa di contatto e applauditi tra vari sospetti. La città operaia ignora il resto d'Italia. Ciò che brucia e si rivoltola nelle sue viscere, dalle fabbriche e dalle soffitte, non arriva a Milano e a Roma. La vocazione torinese di « guida » trova un risvolto quasi patetico (o tremendo) nella stessa ansia operaia, che sa di dover fare, ma scopre poi come il resto del Paese sia indifferente e astratto. Solo un sottile legame di corrispondenze con le province emiliane fa dire agli anziani: ciò che tentiamo qui, domani si ripeterà in tutta Italia. Teresa Noce impara, lavora, sgobba. Legge Carolina Invernizio e Mastriani, ma sta per scoprire, sempre sulle bancarelle dell'usato, Tolstoj e la letteratura russa. Conosce il « bell'avvocato », che è Terracini, e Luigi Longo, che poi sposerà, assiste alle stragi fasciste comandate da Brandimarte nel dicembre del '22. E' una ragazza che ha deciso di affidarsi alla milizia politica, ma ignora l'avvenire, un destino randagio in agguato, i tumultuosi anni dell'esilio, della guerriglia, dei campi di concentramento tedeschi. E' ancora, completamente, un'ap-gggsepe prcndista della lotta, del sapc- re, della speranza operaia, Lo sarà sempre. Di qui la forza persuasiva del personag- gio e quindi della sua autobiografia, accanita nel cercar la polpa e nel restringere il brodo. La « brutta e povera » ragazzina, prima ancora di diventare comunista, supera in se stessa gli ostacoli di educazione e cultura mancanti, si fa tempra di eccezionale robustezza. E' quasi subito fibra che urta e non cede alle ragnatele altrui, pur accettando i dogmi e i canoni del partito Le « figurine » che si stagliano tra le pagine del volume sono quasi sempre indimenticabili. Quel Togliatti giovane che dorme in tram, per sfuggire ai fascisti, o passeggia con la fidanzata seguilo borghesemente dal corteo dei familiari che lo controllano; quel Longo sùbito concettoso (non solo quale marito esce, da questo libro, trattato al cianuro); le sorelle di Yves j Montand che in Francia, durati- i le il maquis, tingono e depila- i no la ragazza Noce per renderla J rriconoscibilc; la « Pasionaria » | Ibarruri, che si nutre di solo pane ed arance; un La Pira, sottosegretario nel dopoguerra, imbarazzato, piangente, con i cioccolatini da offrire ai visitalori. Sono sequenze dettate da una schiettezza antica, crude come i graffi che mordono le lastre d'una incisione. Molta « ufficialità » di partito è ripagata con memorabili lividi. Convinta d'aver contribuito a « cambiare il mondo ». ancor più convinta che questo stesso mondo non e ancora dissodato secondo le idee che la maturarono, Teresa Noce si e concessa con partecipazione, ironia, ingenuità. E' assai arduo concepire come giudichi, oggi, nella sua casa di Milano, dove vive tra i ricordi d'un'csislenza raminga: ricordi che sono poi umilissimi doni, un tappetino bulgaro, fotografie, forse il Racine su cui dovette imparare in venti giorni, a Mosca, pena l'allontanamento, il francese, per essere accettata alla scuola leninista. Il libro che ci offre e di sicuro peso, anche se gravido (ritengo) di bernoccoli ideologici. Ma soprattutto nella sua dimensione di testimonianza europea ha valore di raro documento. In quegli anni intorno al Tren ta. che a qualcuno parvero «bel li e dannati», che altri vedeva no destinati sì alla lotta ma an che ad una sicura sconfitta (Malraux). l'umile catena d'atti umani che la Noce allinea costituiscono un fardello di nobiltà. I falsi rivoluzionari del nostro tempo dovrebbero accettare la lezione, se ancora sanno leggere. Giovanni Arpino