Londra si chiede cosa celi il tacito armistizio dell'Ira di Mario Ciriello
Londra si chiede cosa celi il tacito armistizio dell'Ira Tra fragili speranze e timori di nuovi attentati Londra si chiede cosa celi il tacito armistizio dell'Ira (Dal nostro corrispondente) Londra, 11 gennaio. Dalla vigilia di Natale non si spara nell'Irlanda del Nord e non scoppiano bombe in Inghilterra. Giovedì sera scadrà la tregua unilaterale proclamata dai Provisionals dell'Ira, ma i guerriglieri cattolici non sembrano avere fretta di riprendere gli attacchi. Il tacito armistizio sarà forse prolungato fino alla fine di gennaio. Siamo allora alla vigilia di quella pace attesa da sei anni? E' troppo presto per rispondere sì. Tutto è così fragile che la stessa speranza può essere un atteggiamento avventato. Gli animi sarebbero più sereni se si conoscesse la risposta a una vitale domanda. Perché l'Ira ha voluto questa tregua? Le teorie sono molte, con tutta una serie di machiavelliche ramificazioni: ma due sono le possibilità. O i Provisionals dell'Ira hanno capito che non possono vincere questa guerra, e in tal caso sono veramente disposti a discutere. O hanno sospeso la lotta per riprendere fiato, per riorganizzarsi e, soprattutto, per preparare una brutale campagna terroristica, all'ultimo sangue. Questa seconda ipotesi non ha bisogno di commenti: è sulla prima che occorre soffermarsi. Ed è guanto sta facendo, con straordinaria abilità, il governo britannico. Non c'è dubbio che l'Ira ha subito dolorose perdite: che il recente massacro a Birmingham ha inorridito gli stessi cattolici, qui e nell'Ulster; e che le sue aspirazioni politiche — il ritiro degli inglesi dall'Ulster e la riunificazione delle due Irlande — si presentano più che mai di ardua e remota realizzazione. In realtà la trattativa è già cominciata. Non c'è dialogo ufficiale, ma i due avversari, l'Ira e Downing Street, si sondano a vicenda. I provos non uccidono e il governo trattiene i suoi reparti da «azioni offensive»; i provos non attaccano Londra e il governo si accinge a liberare, a Belfast, un secondo gruppo di internati. A prima vista, il premier Wilson sembra l'unico a fare concessioni, ma è una strategia ispirata da un calcolo ben preciso. Wilson spera di «intrappolare» l'Ira nella sua stessa tregua, d. indurla a prolungare l'armistizio fino a un point of no return, fino a quando non potrà più cambiare rotta. E' una partita rischiosa, piena di incognite, ma che vale la pena d'essere giocata. Pare che l'Ira non insista più affinché il governo ritiri dall'Ulster le sue forze armate, pare che si accontenti del ritiro in caserme nord-irlandesi delle unità più combattive: e pare che Londra sia disposta a considerare l'idea, ma soltanto dopo una «duratura e convincente cessazione delle ostilità». Dietro a queste proposte dei guerriglieri vi sarebbe però qualcosa di più concreto. L'Ira vuole entrare nella lotta elettorale e potrebbe farlo mediante il suo «braccio politico», il Sinn Fein, non più illegale nell'Ulster. Vorrebbe conquistare quei voti cattolici che da tempo confluiscono quasi tutti al partito socialdemocratico nord-irlandese. Non sarebbe uno sviluppo del tutto negativo. Ma qui sorgono altri angosciosi interrogativi. Che avverrà se i protestanti continueranno a rafforzare le loro posizioni e rifiuteranno di spartire il potere con i cattolici? h'Economìst ha già dato la sua risposta. La furia cattolica esploderà allora con più violenza di prima: e vedremo « Londra in fiamme ». Mario Ciriello
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