Vittime e furbi nel Lager assurdo

Vittime e furbi nel Lager assurdo Chi sta nei manicomi criminali? Vittime e furbi nel Lager assurdo Generalmente si pensa che nei manicomi giudiziari sì trovino dei criminali pazzi. In realtà, la stragrande maggioranza dei ricoverati o non sono pazzi o non sono criminali, almeno nel senso più comune del termine. Alcuni, soprattutto tra le donne, cercano di ottenere la seminfermità o l'infermità di mente per sfuggire a una lunghissima pena detentiva in carcere: ad esempio, la famosa contessa Bellentani, che uccise con un colpo di pistola il suo amante a Villa d'Este, dopo otto anni trascorsi nel manicomio giudiziario di Aversa è tornata in libertà, e chi la conosce sa che non è stata mai pazza, né prima né dopo il suo tragico gesto. Secondo un noto giurista, la giustizia italiana è propensa a riconoscere la follia nelle donne cosiddette « devianti », soprattutto se esse stesse si industriano a dimostrarlo, consigliate dalla famiglia e da costosi avvocati. Però si tratta di un'arma a doppio taglio, perché in questo « carcere peggiore del carcere » si può rimanere anche tutta la vita, in quanto la durata dell'internamento non è prefissata e basta la minima trasgressione per prolungarlo all'infinito. Inoltre, come scrive l'autrice d'un diario da uno di questi « asili », « rinchiudere in manicomio persone sane di mente è un affare sporco, che mette a repentaglio la reputazione degli psichiatri e discredita la psichiatria ». Comunque la maggior parte degli internati non si trovano lì perché l'hanno voluto, ma perché ce li hanno mandati. Spesso vi sono stati trasferiti dal carcere per punizione, perché « davano in escandescenze », come è accaduto ad Antonia Bernardini, arsa viva sul letto di contenzione, o perché avevano frequenti crisi di pianto, o in qualche modo erano delle detenute scomode, « di difficile governo » come si dice in gergo burocratico. Possiamo citare dei casi concreti, incontrati nel corso d'una lunga indagine sul carcere femminile italiano. Nella prigione di Poggioreale, a Napoli, su una media di 120130 detenute, non meno di due al mese vengono trasferite « in osservazione a Pozzuoli ». Una di loro è una giovane donna che soffre di claustrofobia e ogni volta che deve rientrare in cella piange e dà in smanie. Per questa ragione fa la spola tra il carcere e il manicomio, restandovi tre o quattro mesi ogni volta: e così andrà avanti finché non avrà scontato tutta la pena, cioè ancora per 17 anni. Un altro caso è quello di una ballerina negro-americana, finita in carcere a Roma per uso di droga. Trasferita a Napoli, era stata messa insieme alle prostitute e veniva continuamente «sfottuta» per il colore della sua pelle. Un giorno si era ribellata e aveva dato uno schiaffo a una suora, poi aveva iniziato lo sciopero della fame perché voleva essere processata. Allora è stata dichiarata pericolosa a sé e agli altri, e, avvolta nel lenzuolo come in un sudario, è stata trasferita al manicomio giudiziario. Quattro anni vi ha trascorso una donna di Messina, Ma¬ ria Vinci, per essere stata violentata dal padre. Proprio così. Non aveva commesso alcun reato, solo si rifiutava di stare rinchiusa nei vari istituti di correzione nei quali si pretendeva di rieducarla: perciò, quando le proposero di andaTe in una « casa di cura », le sembrò una liberazione. « Cosi mi sono ritrovata ad Aversa, al manicomio criminale, racconta. Non avevo neanche sedici anni. Appena entrata ho cominciato a mettermi in pensiero perché ho visto tutta la gente legata con la camicia di forza. Ma la vicesuperiora ha cercato di prendermi con le buone, dicendo: " Se sarai brava uscirai fuori, ma ricordati che qui se fai una cosa aumenta la pena, invece di sei mesi sarà un anno, poi ogni cosa viene scritta, perciò potresti restare qui per sempre ". Lì ho conosciuto diverse detenute famose, c'era la Cianciulli che aveva ucciso delle persone e poi ci aveva fatto il sapone, c'era un'altra che aveva ucciso il fidanzato... ». « Un giorno, continua la Vinci, mi feci dare da una guardia una sigaretta e i cerini e me ne andai a fumare di sopra. Naturalmente è una cosa proibita, perché uno potrebbe provocare un incendio. Perciò, quando l'infermiera ha sentito odore di fumo, voleva sapere chi mi aveva dato la sigaretta, ma io non ce l'ho detto, sennò quella guardia perdeva il posto. Allora mi ha portato dalla superiora. E' chiaro che la superiora, per poter essere lì dentro da tanti anni, doveva essere più delinquente dei delinquenti sennò non resisteva. Dato che io non volevo parlare, "senti, disse, ti faccio legare come un salame " ». « E infatti, dice ancora, mantenne la promessa: mi legarono tutta con la camicia di forza e mi fecero trascorrere così dodici giorni, roba che si erano anche dimenticati che ero a letto di forza. Neanche per farmi fare i miei bisogni mi scioglievano, io chiamavo e mi mettevano la pala. Alla fine la guardiana s'è presa pena ed è andata a parlare con la superiora. "Io non sapevo, la volevo castigare ma non così tanti giorni ", ha detto. Allora mi hanno sciolta e io ho fatto un bel bagno e ho ricominciato a muovermi ». Da Aversa il manicomio femminile è stato trasferito a Pozzuoli, ma le cose non sono cambiate. Quindi, non c'è da meravigliarsi che una ricoverata si dia fuoco per richiamare l'attenzione su di sé. Né si deve pensare che l'uso del letto di contenzione rappresenti un'eccezione. Poiché vige ancora il codice Rocco, stralciamo un brano dalla sua relazione sul regime delle punizioni. « Qui, diversamente che nel carcere, le punizioni sono regolate dalla direzione secondo le esigenze tecnico-sanitarie, perché non può escludersi che necessità di cura possano giustificare l'uso di mezzi di rigore anche più duri di quelli consentiti nell'esecuzione delle pene. Così è a dire per l'isolamento diurno e per la cintura di sicurezza (letto di contenzione) che costituiscono un'eccezione nell'esecuzione delle pene, e che per converso possono essere senza limiti applicati nei manicomi giudiziari per necessità tecnico-sanitarie ». Siamo in pieno medioevo, come ha scritto Franco Basaglia. E non meno di duemila persone, tra uomini e donne, subiscono questo trattamento. Gabriella Parca

Persone citate: Antonia Bernardini, Bellentani, Franco Basaglia, Gabriella Parca

Luoghi citati: Aversa, Este, Messina, Napoli, Pozzuoli, Roma