Da 13 anni nel polmone d'acciaio Affetti e studio l'aiutano a vivere

Da 13 anni nel polmone d'acciaio Affetti e studio l'aiutano a vivere Incontro a Genova con la ragazza poliomielitica Da 13 anni nel polmone d'acciaio Affetti e studio l'aiutano a vivere La giovane è della provincia d'Alessandria - Quattordicenne fu colpita dalla poliomielite - Con gli amici ha scritto un libro-denuncia sui problemi degli handicappati "Non vogliamo la pietà di nessuno — afferma — chiediamo solo di essere compresi" (Dal nostro inviato speciale) Genova, 10 gennaio. «Anche lei è venuto per vedere la ragazza del polmone d'acciaio». Non è una domanda, ma una constatazione. Con queste parole, infatti, mi ha accolto Rosanna Benzi, la ragazza che da tredici anni vive in un polmone d'acciaio, in una stanzetta al piano terra dell'ospedale San Martino di Genova. Il «polmone» emette un ansimo continuo, penoso, giorno e notte, ma la giovane che mi parla, riflessa in uno specchio, non ha il volto di chi soffre e i suoi occhi sono pieni di vita. La voce, che deve uniformarsi alla cadenza delle inspirazioni obbligate, non è triste, ma è venata da un leggero tono di canzonatura: «Posso capire, posso capire che una situazione come la mia susciti curiosità». Dal suo involucro, Rosanna non vede direttamente la stanza e la finestra che si apre su un cortile. Stesa in questo cilindro d'acciaio e vetro guarda chi entra da uno specchio fissato sopra di lei. Nella stanza c'è la madre Rosalia, il fratello Franco, studente del professionale, un'altra ragazza; poi arriva Sergio, un amico. E' così dal marzo 1962, quando Rosanna fu colpita da poliomielite, la malattia , che allora, prima della vaccinazione, mieteva tante vittime. Aveva appena 14 anni. La sua famiglia viveva a Morbello, un paese sulle alture dell'Alessandrino dove il papà, Angelo, aveva un bar. In 72 ore, dal 19 marzo, giorno di San Giuseppe in cui si era recata a trovare una cugina colpita dalla polio, alla sera del 21, si decise il destino di Rosanna: «Bisogna portarla a Genova — dissero i medici di Acqui — qui non si può far niente. Morirà soffocata». A Genova, Rosanna trovò non soltanto il polmone d'acciaio in cui ha continuato a vivere, ma anche amicizia. Ed è a Genova, a contatto con i giovani che la vengono a trovare, con i medici del «S. Martino» («che sono tutti miei cari amici») che Rosanna si è formata, è diventata una donna che si occupa dei problemi del prossimo, che sa imporsi per una spiccata ed indefinibile personalità, che ha vissuto, come dice lei stessa, «anni che meritavano d'essere vissuti». Lo scafandro nel quale è costretta è stato, si deve dire, uno strumento di crescita. «Penso che non mi crederà— dice — ma se rinascessi rifarei questi anni di "polmone", poiché in questa condizione, che per me è normale, sono una ragazza che pensa. Sto bene. Sono curata, coccolata, protetta. Dispongo di medici adorabili. Qui ho avuto modo di studiare, di capire, di intuire tante cose che sfuggono ad una ragazza qualsiasi». Rosanna Benzi non recita, dicendo queste cose. Si ha piuttosto l'impressione che ogni suo atteggiamento sia conseguente ad una meditata scelta. «Non faccio politica — afferma — voglio sentirmi libera di agire e dire quello che voglio. Anche i medici non mi considerano un'ammalata, mi fanno sentire partecipe di una lotta che combatto continuamente per il recupero degli handicappati». Con un gruppo di amici "ha scritto un libro: «Handicappati non solo si nasce, ma si diventa». Una denuncia che a molti non è piaciuta. «Da noi — afferma Rosanna — chiedono soltanto la rassegnazione, quella che impedisce il recupero, che spinge ai margini della società: i miei amici ed io lottiamo contro tutto que sto, contro le strutture politi che e sociali che fanno dì due milioni di minorati degli esseri destinati soltanto a patire, a ricevere con il sorriso sulle labbra la beneficenza. Non vogliamo la beneficenza». La serenità di Rosanna mentre dice queste cose, non è turbata, soltanto gli occhi s'infervorano: «Gli handicap¬ ppnusotalimcsgtlenr—aptacgrtcsuohhrntutstdssspgi pati — esclama — sono sempre stati "gestiti" da qualcuno. Su noi si appunta semmai un senso di pietà che in una società civile è ormai inaccettabile». Il suo caso è l'unico in Italia, oggi. Rosanna aveva un'amica, che non aveva mai incontrato. Maria Peti-ini, la sposa di 34 anni, morta l'altro giorno a Perugia, dopo quattordici anni trascorsi, come lei, in uno scafandro. «Era venuto più volte da me suo marito, Mario Falchi — racconta — gli avevo dato consigli, avevamo parlato dei nostri problemi. Maria però era stata meno fortunata di me perché non poteva uscire. Io, grazie ai medici, posso andare alla partita del Genoa, a teatro (le applicano uno speciale busto che consente la respirazione e per lei si muove un'ambulanza, sempre, per ogni evenienza). Quest'anno ho visto anche Dapporto e hanno scritto che ho detto: "irplcgtppdarGqcssncdt "Grazie Dappo. to, ora so cos'è il teatro": non facciamo ridere,' si smetta di fare un falso pietismo su di noi! ». Così Rosanna Benzi vive lottando contro una realtà che spesso l'addolora. («flingrazio Dio soltanto perché ho trovato due medici come i professori Balestra ed Henriquet, che capiscono i miei problemi e quelli dei miei simili»). Intanto sta preparando, sempre con l'aiuto degli amici che la vengono a trovare, un giornale. Sì chiamerà Gli altri. «Parlerà di chiunque sia emarginato dalla società: vecchi, malati, infermi, sottoproletariato», spiega Rosanna. E' felice? «Non voglio sconvolgere nessuno, ma mi creda se le dico che lo sono». La «ragazza del polmone d'acciaio» non è una curiosità, è una denuncia per noi tutti. Omero Marraccinì Genova. Rosanna Bezzi nel polmone d'acciaio; le è accanto la madre, Rosalia (Leoni)

Persone citate: Dapporto, Henriquet, Leoni, Mario Falchi, Omero Marraccinì Genova, Rosanna Benzi, Rosanna Bezzi