L'opera di Shakespeare al Teatro Alfieri

L'opera di Shakespeare al Teatro Alfieri L'opera di Shakespeare al Teatro Alfieri Tra "Antonio e Cleopatra,, poco amore tanta politica Le sorti di Roma e dell'Oriente, di Marco Antonio e della regina d'Egitto, si giocano in un grande spazio bianco, di una fissità quasi ossessiva. La scena di Paolo Tommasi punta all'essenziale, nell'allestimento dell'«Antonio e Cleopatra» che il Teatro Stabile dell'Aquila presenta all'Alfieri, con la regìa di Giancarlo Cobelli. Al centro, una lunga pedana sospesa, e spoglia: può diventare nave o promontorio, palazzo e mausoleo: e risolve la maggior parte degli ambienti che, in altre edizioni della tragedia shakespeariana, richiedevano la macchina del palcoscenico girevole. I soli movimenti scenici sono i neri della grande vela triangolare, che si alza dalla nave di Sesto Pompeo, e delle due tende da campo, di Antonio e di Ottaviano, quasi a sottolineare con più evidenza la scelta di fondo compiuta dalla regìa. Nell'opera di Shakespeare la parabola storica è strettamente intrecciata con il dramma personale dei due personaggi; la vicenda di un amore che guarda tristemente verso il proprio passato e sta bruciando le ultime scorie dell'antico fuoco. Nello spettacolo di Cobelli il tema politico ha decisamente il sopravvento su quello umano. II «naso di Cleopatra» del celebre paradosso di Pascal non ha alcuna possibilità, qui, di modificare il corso della storia. Altre sono le forze che spingono i grandi della terra a intrecciare alleanze o a darsi battaglia l'uno contro l'altro. Non a caso gli episodi che coinvolgono Cesare e Antonio, con i loro amici o rivali, si svolgono sul piano «nobile» della scena, in alto, con i personaggi in piedi; mentre le scene riservate agli amori e alle disperazioni di Cleopatra sono in basso, rappresentate attraverso forme umane addirittura striscianti sul pavimento. Lo spettacolo, così unitario nella sua concezione, ne deriva una dicotomia continua nei risultati. Le scene di azione politica hanno una resa stilistica sicura, con momenti di notevole presa sul pubblico; il convito sulla nave di Sesto Pompeo (come non ricordare la riunione delle SA nella «Caduta degli dèi»?) o, più ancora, le due battaglie, condotte attraverso sciabolate di luce, in un gioco astratto, ma aderentissimo allo scopo, dei movimenti. La storia personale di Cleopatra si trascina spesso in una zona spenta, fatta di mosse ripetitive; con qualche efficace eccezione, come nella scena del messaggero frustato. La stessa recitazione imposta agli attori e da tutti mantenuta con distaccata, in alcuni tratti scostante coerenza, quanto bene risponde agli effetti politici del dramma, tanto diventa ostica, e quasi controproducente, nelle scene d'amore. Tino Schirinzi disegna un Antonio angoloso, protervo, e, per quanto possibile, sottile nella schermaglia di¬ plomatica; ma riesce poi difficile spiegarsi perché questo personaggio, che sa indossare con tanta fierezza l'armatura, inventi all'improvviso una disperazione sentimentale, fino a uccidersi, di fronte alla falsa notizia che Cleopatra sia morta. Piera Degli Esposti affronta con discreto coraggio l'ingrato ruolo della regina, piange e si sdegna sapendo di non dover essere creduta. Ma è più difficile ancora cercar di capire perché, sconfitta, ella preferisca il morso dell'aspide a un ormai disponibile Ottaviano, dichiarando di voler seguire nella tomba quell'Antonio che era stato per lei un amante così distratto. Forse anche questo effetto era stato calcolato, forse è un invito a cercare, per contrasto, la vera chiave di lettura della tragedia: suggerita, fin dall'inizio, da quel fascio romano del messaggero, che indica a quali vie il potere conduce, quando diventa fine a se stesso. La storia di Antonio e Cleopatra diventa, in negativo, la storia di Ottaviano Cesare, l'uomo forte, il solo che arriverà a impadronirsi dell'impero. L'attore Emilio Bonucci lo rende assai bene, nei suoi tic di superficie, nella sua lucida follia di fondo: nervoso, introverso, disposto a compiere il sacrificio degli affetti più cari per realizzare il mostruoso progetto, di un ordine universale costruito sulla morte dell'uomo. Anche senza quegli stivaloni neri, senza quella pettinatura anni '30, il personaggio sarebbe ugualmente ben identificabile, g. c.

Luoghi citati: Egitto, Ottaviano, Roma