Chrysler passa all'offensiva e riduce nettamente i prezzi di Vittorio Zucconi

Chrysler passa all'offensiva e riduce nettamente i prezzi Iniziativa per sbloccare la crisi dell'auto negli Stati Uniti Chrysler passa all'offensiva e riduce nettamente i prezzi tDal nostro corrispondente) Washington. 8 gennaio. L'industria automobilistica americana reagisce alla crisi passando all'offensiva, dopo mesi di manovre puramente difensive (licenziamenti, riduzione della produzione, richieste di soccorso governativo). La Chrysler, la più colpita delle tre «sorelle maggiori» di Detroit (con General Motors e Ford) annuncerà domenica di-astiche riduzioni di prezzo, per tentare si smaltire i suoi stock di vetture invendute, misurabili ormai — ha detto un portavoce della società — «ad ettari». I listini saranno ridotti da 200 a 400 dollari per modello (da 130 a 260 mila lire circa), attraverso una eccezionale forma non di sconto, ma di rimborso: gli acquirenti riceveranno cioè a casa un assegno dalla Chrysler, corrispondente all'entità della riduzione sul modello da loro scelto. Questo offre, ritiene la Chrysler, due vantaggi importanti: 1) uno psicologico, dando concretamente al compratore la sensazione del risparmio realizzato: 2) uno commerciale, poiché i concessionari non pagheranno il conto delle riduzioni (essi hanno già acquistato le auto al prezzo precedente) che resteranno interamente a carico della casa madre e potranno offrire così a loro volta sconti supplementari, rendendo l'acquisto un vero affare. Con altri favorevoli effetti, si può aggiungere, sull'indice generale di inflazione e sul potere d'acquisto, dunque sulla domanda interna. E' questo il primo segno di una strategia attiva del mondo economico per reagire allo sgretolamento progressivo della situazione. Manovra della disperazione, forse, e non priva di gravi rischi per il suo elevato costo, visto che viene da una società come la Chrysler che ha registrato tali perdite nel 74 da far nascere sospetti di fallimento (essa parla di 8 milioni di dollari, circa 5 miliardi di lire), ma pur sempre meglio dell'inazione e della passività che hanno caratterizzato finora il comportamento dei responsabili privati e pubblici dell'economia. Anche Ford sembra contagiato da questa improvvisa ansia di «far qualcosa» e corre voce che egli potrebbe anticipare l'annuncio del programma di governo e non attendere sino al 20 gennaio (data del discorso alle Camere sullo «slato dell'Unione»). 11 programma conterrà, ormai è certo, almeno due misure importanti: un alleggerimento fiscale (risparmio globale per i contribuenti dai 7 ai 14 mila miliardi di lire) e un aumento delle tariffe sul petrolio importato, per ridurle il consumo di energia. L'America sembra dunque mostrare sintomi della sua capacità di reazione, svegliata dal dormiveglia economico che ha permesso l'aggravarsi della crisi nel 74. Si direbbe che ora, al contrario, si faccia a gara fra governo e studiosi privati nel drammatizzare la situazione: Alan Greenspan, principale consigliere economico di Ford, ha detto che «ben difficilmente il '75 sarà l'anno della ripresa»: prevede piuttosto un nuovo aggravarsi della crisi. Occorre ricordare che fino a novembre la Casa Bianca negava addirittura l'esistenza di una recessione. Lo slesso Greenspan aggiunge che la percentuale dei disoccupati è certamente oltre P8 per cento, poiché la cifra ufficiale (7,1 per cento) fu presa all'inizio di dicembre ed è superata. Queste di Greenspan sono fra le più categoriche previsioni formulate oggi. Al contrario, i grandi cervelli economici indipendenti sono cautissimi nelle loro dichiarazioni: su di essi pesa ancora il clamoroso fallimento della fine 73, quando nessuno riusci a capire quanto grave fosse il futuro. Il Premio Nobel Samuelson, ad esempio, ha ammesso apertamente il fiasco delle profezie economiche e quest'anno, anziché uscire con sue idee, si è fatto portavoce di studi collettivi. Da essi risulta che il 1975 sarà ancora negativo perché la recessione sarà una recessione a «U» e non a «V». In gergo econometrico questo vuol raffigurare l'andamento della linea di tendenza dell'economia: a «U» significa che, dopo aver raggiunto il fondo (fine 75?) la linea dell'economia stagnerà un poco prima di risalire. A «V» rappresenta invece un rimbalzo pronto e secco dell'economia, dopo aver completato la caduta. Bernstein, altro autorevole economista, si nasconde invece dietro una barriera di percentuali, formulando varie ipotesi e attribuendovi diversi gradi di probabilità: ad esempio, «panico e bancarotta» probabilità 5 per cento, «interventi governativi e lunga stagnazione» 25 per cento, «iper inflazione» 5 per cento, «raggiungimento del fon- \ do» alla fine del 75, seguito da 4 anni di ripresa. 55 per cento. E così via, attraverso altre ipotesi, in un gioco elegante che tradisce l'incapacità (o forse l'impossibilità) del pensiero economico di disegnare un futuro così carico di incognite e variabili. Come ha detto McCracfcen (altro «saggio» economico famoso) «per la prima volta noi economisti dobbiamo tener conto non solo di come vanno la domanda interna o i saggi di interesse, ma di come va il negoziato di pace nel Sinai o di che vorrà fare re Frisai. E questo è troppo, per noi». La decisione della Chrysler (che può costare alla società, con una pesante campagna pubblicitaria, oltre 5 miliardi di lire) sembra dimostrare che l'industria non intende aspettare che gli economisti risolvano i loro problemi esistenziali o le diatribe scolastiche. Un altro anno così e alla Chrysler, come a molte altre società, non resterebbero che tre alternative: il fallimento, la vendita a capitali stranieri, una sorta di «irizzazionc» con un massiccio intervento di danaro pubblico. Per ora, la Chrysler (con la Ford e la General Motors attentissime spettatrici) ha scelto la via di una perdita contenuta, allo scopo di liberarsi dei surplus e cominciare una nuova politica produttiva. Nessun progetto è fattibile, si dice a Detroit, se prima le case non riusciranno a vuotare le Iore «zavorre» di auto invendute: con gli stock attuali, e se la produzione si arrestasse interamente. Ford, GM e Chrysler avrebbero ancora vetture da vendere per almeno 4 o 5 mesi, senza rifiutare un solo cliente. Vittorio Zucconi

Persone citate: Alan Greenspan, Bernstein, Greenspan, Iore, Samuelson

Luoghi citati: America, Detroit, Sinai, Stati Uniti, Washington