Sud Vietnam, riso e petrolio di Ennio Caretto

Sud Vietnam, riso e petrolio LA GUERRA D'INDOCINA E ANCHE UN IMMENSO SPRECO Sud Vietnam, riso e petrolio (Dal nostro inviato speciale) Saigon, gennaio. Armi alla mano, oggi in Indocina ci si spartisce la miseria. In due anni, la falsa pace di Parigi ha portato non il principio del benessere, ma le avvisaglie della bancarotta. Secondo la Fao, il Sud Vietnam non è tra i Paesi più poveri del mondo, in media la disponibilità di alimentazione supera del 10 per cento il necessario per la sopravvivenza. Ma i) suo tenore di vita diminuisce e la disoccupazione aumenta: già indebolito dalla guerra, esso rischia di morire di stagflation. Quanto al Cambogia, dipende dalla carità altrui: a Phnom Penh si mangia solo se arrivano i rifornimenti americani dal Mekong. Neppure il Laos, che ha trovato una fragile stabilità nel governo di coalizione nazionale, s'è ripreso. Mentre a Phnom Penh la miseria è manifesta, Saigon non sembra ancora in piena recessione. Nelle sue strade ronzano gli scooters giapponesi, abbondano di beni i negozi, soprattutto la domenica la gente si diverte. Nonostante la psicosi dell'assedio, c'è un enorme sperpero, vette d'opulenza emergono su abissi di penuria, in un contrasto spietato e offensivo. Sia pure a fatica, la maggioranza della popolazione s'arrangia, e in mancanza d'altro persino il furto e il meretricio servono a ridistribuire la ricchezza. Ma come nel Cambogia, così nel Sud Vietnam la spietata logica dei dati distrugge ogni illusione. «Da noi il tasso inflazionistico è stato del '70 per cento nel '73 e del 50 per cento nel '74 », mi ha detto un economista di Saigon. «In due anni, la piastra ha subito ben diciatto svalutazioni. Nonostante gli aumenti di stipendio, il reddito prò capite è sceso del 20% in termini reali ». Le prospettive per il '75 sono ancora più allarmanti. Il Laos ha ottenuto prestiti internazionali che gli consentiranno, se non il rilancio, almeno il superamento della crisi. Ma nel Sud Vietnam le fabbriche tessili riducono sempre più gli orari, quelle del legno incominciano i licenziamenti, l'attività nel settore dei servizi si dimezza, chiudono i negozi, bar, persino gli alberghi. E nel Cambogia non esiste più un'industria, languono i commerci, le risaie del Nord-Ovest si trovano sotto il controllo dei guerriglieri del « Khmer Rouge ». Mi ha dichiarato un insegnante di Phnom Penh: «Eccettuata la Thailandia, dallo scoppio della guerra l'Indocina è divenuta un serbatoio di miseria per l'Estremo Oriente. Un tempo, era il suo granaio ». La corruzione del governo e il terrorismo comunista sono i binari su cui il Sud Vietnam e il Cambogia corrono verso il baratro economico. L'ora della fame A Saigon ho parlato con un leader dell'opposizione neutralista, il senatore Vu Van Mau. « E' difficile lavorare i campi », ha sostenuto, « quando s'è taglieggiati da due parti. Qui un chilo di riso costa 1500 piastre. Una famiglia media ha bisogno di quattro chili di riso quotidiani. Ma il salario minimo è di 400 piastre. Le assicuro che un terzo degli abitanti di Saigon mangia una sola volta al giorno ». S'è fermato un momento: « A Phnom Penh ormai danno la caccia ai cani e ai topi. La percentuale della gente con un impiego è minima». Sempre a Saigon, il governatore della Banca Centrale sudvietnamita. Le Quang Yuen, mi ha così spiegato le ragioni del crollo indocinese quando dal conflitto intensi¬ vo s'è passati a quello mascherato dalla pace. « L'economia dell'Indocina ha attraversato un "boom" artificiale con l'invasione americana, e 10 paga oggi. L'esercito Usa riversava sul solo Vietnam del Sud almeno mezzo miliardo di dollari ogni anno, e gli aiuti di Washington ammontavano al doppio degli attuali. Dopo la sua partenza, sono emerse le deficienze di struttura, in pratica abbiamo smesso d'importare e di produrre ». Si potrebbero applicare dei rimedi se le forze armate non ingoiassero oltre la metà del bilancio dello Stato, « ma significherebbe perdere subito la guerra». Anche negli ultimi due anni, nonostante la cessazione dei bombardamenti americani, le perdite di vite umane e di risorse naturali sono state impressionanti. Nel SudEst asiatico sono morte quasi mezzo milione di persone, e sono rimasti distrutti boschi e inquinati laghi e fiumi. Popolazioni denutrite lottano con un ambiente prossimo al crollo ecologico, mentre la manodopera specializzatasi con gli Usa resta inattiva e impotente. La situazione militare favorisce la fuga dei capitali all'estero e impedisce gli investimenti stranieri. E' la tragica ironia del conflitto indocinese. Al ritmo dei motori delle superfortezze volanti B 52, sono sorti grattacieli nelle retrovie, da Taipei a Seul e da Bangkok a Singapore. Quasi ogni Paese, dalle Filippine all'Indonesia, ha accelerato il suo sviluppo, compiuto un suo miracolo economico. Il F'id Vietnam, 11 Cambogia e lt. 3he il Laos hanno invece conosciuto i rigori della prima linea. La loro realtà è stata — ed è — esclusivamente quella dell'incertezza e dell'orrore. Assillato dall'inflazione o dalla recessione, dalla crisi del petrolio e dal timore di un conflitto in Medio Oriente, il mondo occidentale ha quasi ] abbandonato l'Indocina a se j stessa. E' uno spreco inescu-1 sabile. Se aiutata, sia nell'in- ! dustria sia nell'agricoltura questa regione potrebbe non soltanto essere autosufficiente, ma altresì utile a quelle confinanti. Mi ha detto a Phnom Penh il generale Sosthene Pernandez: « Oltre che il granaio, saremmo la fabbrica di manufatti d'Asia. E con la ripresa dell'economia, diverrebbero più facili anche gli accordi politici. Io sono certo che la soluzione dei nostri problemi dipende dal benessere, dalla collaborazione comune. Veda, ad esempio, come, nel loro nome, la Thailandia e la Cina sì stanno riavvicinando ». Per una ripresa Tutti coloro con cui ne ho discusso, hanno sostenuto che il rilancio economico indocinese andrebbe impostato sul Vietnam del Sud. Questo grande malato dispone delle terre del riso più fertili del mondo; di enormi giacimenti minerari e soprattutto di petrolio; di una forza di lavoro sofisticata, più di un milione di soldati e tecnici; di una nuova generazione di managers e tecnocrati, ansiosi di attirare capitali e know how dall'estero. I giapponesi, veri corsari dei finanziamenti e dei commerci in Asia, mi hanno dato un giudizio perentorio: « Se si realizzasse il trattato di pace di Parigi, il Sud Vietnam inizierebbe un'espansione più rapida e più solida di quelle di Formosa e della Corea. Hanoi lo sa, e pensa di appoggiarsi al Laos per controbilanciarla ». Il petrolio è la speranza più recente di Saigon, e di Phnom Penh, che è legata alla sua sorte. I primi pozzi vengono già sfruttati: si trovano in mare, a circa 100 chilometri della stazione balnea- re di Vung Tau. Altri sono in corso di trivellazione, e le « Sette sorelle », le maggiori compagnie petrolifere inter nazionali, se ne disputano le concessioni a colpi di miliardi. In tre anni, nel Sud Vietnam il prezzo della benzina s'è decuplicato, ma oggi l'autonomia energetica non sembra più un miraggio. V'è però una grave incognita. L'«oro nero » e gli impianti fanno gola ai Vietcong, che li hanno già rivendicati, denunciando gli accordi firmati dal presidente Thieu. Alla guerra del riso, in corso periodicamente sul Mekong, potrebbe affiancarsi quella del petrolio. Non mancano in Indocina né gli uomini né la determinazione per sfruttare le risorse. Ma le condizioni in cui circa 30 milioni di abitanti si dibattono sono disastrose. E' una corsa contro il tempo. Se giungessero gli aiuti previsti dal trattato di Parigi, la penisola si salverebbe. Ma dopo trent'anni di conflitto essa non può più aspettare. Il suo avvenire è una questione economica, oltre che politica. Lo ha capito anche il presidente sudvietnamita Thieu, che pure rischia di passare alla storia come ini altro Ciang Khai Shek, un despota e un signore della guerra. Egli ha affidato il controllo dell'industria, dell'agricoltura e del commercio a un tecnocrate non ancora quarantenne, Le Quang Yen, educato in Francia e in Svizzera. Vestito di un pigiama nero, negli anni dell'adolescenza Le Quang Yen predicava l'uguaglianza sociale all'università. Non era amato dal regime, verso cui mantiene tuttora un atteggiamento critico. Ma è stato scelto perché applichi piani quinquennali e propizi « il rinascimento indocinese ». Ennio Caretto

Persone citate: Ciang, Quang, Sosthene Pernandez, Thieu, Vu Van Mau, Yuen