Sarà l'anno delle Regioni

Sarà l'anno delle Regioni LETTERA AL DIRETTORE Sarà l'anno delle Regioni Egregio Direttore, il passaggio della gestione delle cure ospedaliere dal sistema mutualistico alle Regioni è stato tra l'altro l'occasione per richiamare sulle Regioni da parte della grande stampa di informazione un'attenzione, che — occorre rilevarlo — sin qui era mancata. E' un'attenzione che, quando lascia trasparire uno sforzo di penetrazione e l'ampiezza di prospettiva che si colgono sia nel fondo del 24 dicembre sia nell'articolo di Casalegno del 29 dicembre su La Stampa di Torino, fa sperare non resti occasionale e trovi quella sistematicità che è oramai indispensabile e per portare avanti l'attuazione dell'ordinamento regionale e per la compiutezza di ogni discorso politico. Certo l'impatto delle Regioni con l'ordinamento reale vigente è stato difficile. Cercare la ragione obiettiva delle difficoltà e sollecitare un impegno generale pei' superarle, non significa certo negare che vi siano responsabilità particolari per il ritardo storico con cui le Regioni a statuto ordinario sono state avviate, come non significa negare le responsabilità particolari per i ritardi politici, con cui amministrazioni centrali ed organi di governo vengono prendendo coscienza della novità che le Regioni pongono e dei cambiamenti di procedimenti (centrali) e di strutture (centrali) che corrispettivamente richiedono. "Tentazioni" Tali ritardi però non possono essere misurati sui calendari indicati o dalle stesse disposizioni finali della Costituzione o dai programmi dei partiti o dalle intese di governo, e l'ambito delle responsabilità non può essere circoscritto soltanto ai governi, alle loro maggioranze parlamentari, ai partiti costituzionali. Questi hanno la loro parte di responsabilità e forse anche la maggiore, ma le forze politiche, istituti di mediazione tra la società, la realtà strutturale che la condiziona e le organizzazioni che la esprimono e l'ordinamento hanno sì la responsabilità di proporre sintesi progressive, ma non possono sostituire una realtà che, se pur occorre auspicare e costruire, ancora non esiste. L'Italia, uscita dalla guerra, dal fascismo e dal Risorgimento, era una realtà centralizzata, non solo un ordinamento centralizzato, per cui sarebbe bastato abrogare le leggi fasciste per far riemergere strutture reali e formazioni sociali articolate plurali sticamente. L'Italia era il prodotto di un processo storico di centralizzazione che aveva steso sul Paese — al di là di novità tecnologiche e della voce insopprimibile della libertà, espressa dall'alta cultura e dalla coscienza religiosa del popolo — una crosta di immobilismo economico sociale e civile. La coscienza civile del Paese era stata egemonizzata da una cultura dominante diversa, che era quella centralizzante e mistificante del nazionalismo. Bastino due nomi, i più eminenti, Albertini e Scarfoglio: non a caso due padri fondatori del grande giornalismo italiano. Nel dopoguerra, distrutto lo Stato, per ricostruire il principio primo di una statualità democratica è stato necessario ricondurre pregiudizialmente ogni manifestazione della vita politica, sociale e civile al governo ed al Parlamento, ad una sintesi cioè in ogni caso centrale. Spettava allo sviluppo ed ai processi della vita democratica rompere la crosta dell'immobilismo e la mistificazione della coscienza civile del Paese, liberare una vita veramente nuova per poterle dare la forma dei modelli costituzionali. Ed è qui, a questo punto, che si può cogliere il tempo storico e politico per avviare un processo di decentramento e per riconoscere — il verbo usato dalla Costituzione con una eccezionale proprietà — le autonomie di una società pluralistica e darvi i corrispondenti ordinamenti che le consolidino e ne garantiscano l'indefinita espansione. Questo tempo storico viene però oggi a scontrarsi con una difficoltà nuova, con le difficoltà di una situazione economica, sociale e politica, di cui, occupati sempre a ricercare le responsabilità o ad indicare terapie immediate, non si coglie tutta la gravità. Occorrono politiche economiche efficaci, misure per l'ordine pubblico e la sicurezza individuale, le riforme civili; ma occorre contestualmente affrontare la crisi dello Stato ed occorre per questo far premio sull'unica grande risorsa che abbiamo accumulato in questi anni e che è una vasta, solida e matura coscienza democratica. Ed è questo il respiro che percorre il fondo del 24 dicembre de La Stampa ed è esatta l'indicazione che esso dà di offrire come punto di attacco, per la messa in circolo di tutta la potenzialità democratica del Paese, gli istituti della vita locale, la Regione. Mi consentirà però, egregio Direttore, di rilevare come tale esatta indicazione appaia in quello scritto pervasa da una tentazione. Quella cioè di considerare il richiamo alla vita locale ed alla Regione come cosa diversa e dialettica rispetto alla politica nazionale: una tentazione che è presente sempre nel movimento per le autonomie e, più di recente, nello stesso movimento regionalista. E' una tentazione che, proprio perché tale, non declassa anzi dimostra la compiutezza storica e politica del nostro movimento regionalista, ma come tutte le tentazioni va continuamente combattuta, perché dispersiva e distorcente. Portare avanti l'attuazione dell'ordinamento regionale ed assicurare l'espansione delle altre autonomie locali e non solo di quelle locali è l'essenza stessa di una risposta nazionale alla crisi dello Stato. Le difficoltà della situazione e i rimedi tecnicamente più efficaci di per sé, oggettivamente, spingono alla centralizzazione, spingono a quello che comunemente si intende quando si chiede il «governo forte». Ma la nostra risposta democratica è e deve essere diversa. Di fronte alle esigenze di efficienza dei pubblici poteri, di sintesi comprensive, di immediatezza di decisioni, di esecuzioni coerenti e pur di più ampia e reale partecipazione civile, che oggi si pongono con maggiore urgenza, dobbiamo dire con chiarezza che soluzioni più o meno ingegnose valgono poco, perché per far fronte veramente a quelle esigenze si tratta di attuare ed applicare, con autenticità e con una rinnovata animazione politica, la Costituzione repubblicana ed è questo l'impegno politico fondamentale dei democratici del nostro tempo. Non è un caso quindi che nella presentazione del governo alle Camere, l'onorevole Moro abbia collocato l'impegno per l'espansione delle au tonomie locali e per l'attua zione dell'ordinamento regio naie come raccordo tra la parte dedicata al quadro politico e la parte più propriamente programmatica del suo discorso. Per ciò questo governo è la risposta democratica valida alla situazione del Paese. Per ciò, fare le elezioni regionali, e non quelle politi che, è una scelta decisiva. Per ciò il 1975 è l'anno delle Regioni. Si tratta di portare avanti in questi mesi nel modo più accelerato tutti gli impegni arretrati perché le Regioni siano poste effettivamente in grado di esprimere tutte le loro potenzialità di governo e di amministrazione; ma si tratta — questo è il dato politicamente più importante — di chiamare subito le Regioni ad una corresponsabilità per risolvere, in un dialogo costruttivo con i poteri centrali, insieme il problema del governo e della governabilità del Paese. Senso civico Questa linea non è velleitaria perché non è esatto oggettivamente (come dice Casalegno) che le Regioni abbiano deluso. Non hanno deluso non solo in Piemonte e in Lombardia, ma neanche in Puglia e in Basilicata e nelle altre regioni più facili o più difficili. Vi è certo della malinconia nelle Regioni ed intorno alle Regioni, ma non è la stessa che accompagnò una operazione politica, come quella della Destra storica, così stupendamente richiamata nelle prime pagine della Storia d'Italia di Croce? Non si può dire che questi politici regionali siano degli improvvisati o impreparati, perché questo non è vero sociologicamente e statisticamente, basta conoscere le loro biografìe individuali e di gruppo. Quando lo scorso anno al ministero del Bilancio abbiamo avuto lunghe giornate di confronto serio e sistematico su molti temi, non solo presidenti ed assessori, fra i quali non pochi esprimono personalità politiche di altissimo livello, ma anche i loro collaboratori, hanno suscitato riconoscimenti ed apprezzamenti sinceri da parte degli esponenti delle amministrazioni centrali più qualificate e rigorose. Su questo dato concreto si può contare per sollecitare «sotto la sferza di bisogni urgenti un senso di cooperazione e di responsabile partecipazione)) non solo nella sfera locale, come dice La Stampa, ma anche nella sfera nazionale per suscitare un comune rinnovato senso dello Stato ed una autentica mobilitazione democratica. Cordiali saluti Tommaso Morlìno Ministro per le Regioni

Persone citate: Albertini, Casalegno, Scarfoglio

Luoghi citati: Basilicata, Italia, Lombardia, Piemonte, Puglia, Torino