La Cassazione dice: Miceli dovrà rimanere in carcere

La Cassazione dice: Miceli dovrà rimanere in carcere Valida l'accusa di cospirazione contro lo Stato La Cassazione dice: Miceli dovrà rimanere in carcere Emesso dal giudice Tamburino, il primo ordine di cattura provocò l'arresto dell'ex capo del Sid - Il secondo mandato di cattura era dei giudici romani per favoreggiamento aggravato Roma, 8 gennaio. Il mandato di cattura con il quale il giudice di Padova Giovanni Tamburino fece arrestare il generale Vito Miceli è pienamente valido. La Cassazione, smentendo tutte le previsioni, ha respinto il ricorso del difensore dell'ex capo del Sid, che pure aveva trovato un illustre avallo da parte della procura generale. Miceli resta dunque in carcere (per ora è piantonato all'ospedale militare Celio) con due mandati di cattura: quello pesantissimo di Tamburino, con l'accusa di cospirazione contro lo Stato, e quello dei magistrati romani per favoreggiamento aggravato. La decisione è stata presa dai giudici della prima sezione della Cassazione. Presiedeva Giovanni Rosso, 68 anni, di Asti, proprio come dieci giorni fa, quando la stessa sezione aveva deciso di concentrare a Roma le inchieste di Padova e Torino. I giudici dovevano scegliere fra due documenti: le otto fitte cartelle in cui Giovanni Tamburino aveva esposto l'accusa contro l'ex capo del Sid, le dieci pagine scritte dall'avvocato generale per sostenere che le ragioni del giudice di Padova erano «illogiche» e che il suo provvedimento doveva essere dichiarato «illegittimo» e quindi reso nullo. Sulla scelta della Cassazione può avere influito la decisione presa ieri dai giudici di Roma: un nuovo mandato di cattura, per evitare il rischio di un ritorno in libertà, del generale; Miceli non era più in carcere per iniziativa del solo Tamburino, ma perché così ritenevano che fosse giusto il procuratore della Repubblica di Roma e il consigliere istruttore con cinque collaboratori, tutti magistrati che pure avevano direttamente o indirettamente polemizzato con il loro collega di Padova. Alla Cassazione dev'essere giunta anche l'eco di contrasti nella procura generale. E' vero che l'avvocato generale, Di Majo, vice del nuovo capo dell'ufficio, Giovanni Colli, aveva dato ragione a Franco Coppi, il difensore di Miceli che sosteneva la nullità del mandato di cattura di Tamburino. Ma l'esame del ricorso era stato affidato in un primo tempo a un altro sostituto, il dott. Antonio Corrias. Perché Corrias non aveva presentato conclusioni? Perché era stato rimpiazzato da Di Majo? La decisione dell'azione ha però un chiaro significato: per i giudici, il mandato di cattura di Tamburino non è quello straccio di documento che molti dicevano. Miceli ha avuto la notizia mentre i giudici stavano interrogandolo per la seconda volta in pochi giorni. Pare non abbia avuto particolari reazioni: nella sostanza, una decisione favorevole della Cassazione non avrebbe cambiato molto. L'ex capo del Sid sembra rassegnato a una detenzione non brevissima. E si pone i problemi di tutti i carcerati. Lo infastidiscono i cinque carabinieri che stazionano in permanenza nella sua camera al reparto chirurgia dell'ospedale militare. Minaccia rapporti per l'ora d'aria cu' avrebbe diritto, ma che gli viene negata perché al Celio non esistono spazi per le passeggiate dei detenuti. L'ex capo del Sid ha affrontato oggi un confronto con il generale Enzo Marchesi, ora ili pensione, ex capo di Stato Maggiore dell'esercito e poi della Difesa. La notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970, mentre Valerio Borghese tentava il golpe. Miceli fu avvertito. Ora è accusato di non aver messo in moto con sufficiente tempestività e nella giusta direzione polizia e carabinieri, favorendo in questo modo il tranquillo ritorno a casa dei cospiratori, che intanto avevano rinunciato ai loro piani, avendo mancato l'occupazione del ministero della Difesa. Enzo Marchesi è stato sempre convinto dell'innocenza, o almeno della buona fede, di Vito Miceli. Interrogato dai giudici, si è lasciato andare a elogi per l'ex capo del Sid. E, forse proprio per difenderlo, ha rivelato un episodio sconosciuto. Quella notte, sia pure dopo la rinuncia di Borghese al golpe, ricevette una telefonata da Miceli, che gli confidò subito una lunga serie di particolari. La rivelazione ha finito con il mettere Miceli in guai ancora maggiori: con Marchesi, a botta calda, era stato troppo loquace. Miceli aveva minacciato una denuncia contro Marchesi per falsa testimonianza. Pa¬ re che abbia avuto un ripensamento. L'ex capo di stato maggiore, in caso di denuncia, sarebbe stato subito indiziato di reato. Invece, è stato interrogato come teste e sempre come teste è stato messo a confronto con Miceli. Il generale detenuto ha poi affrontato un ulteriore interrogatorio nel pomeriggio. Sono passate 24 ore dal secondo mandato di cattura per l'ex capo del Sid e non sono arrivati i previsti nuovi provvedimenti per altre persone (nomi di un certo peso). I giudici, specie dopo la decisione della Cassazione, sembrano intenzionati ad approfondire il più possibile la posizione di Miceli. Il generale ha un mandato di cattura per favoreggiamento (golpe di Borghese) e uno per cospirazione («Rosa dei venti»). E' difficile sostenere che un capo del Sid possa essere nello stesso tempo un protettore dei golpisti e un loro complice. A meno di non credere a una sua involuzione: favoreggiatore nel '70, complice, addirittura ispiratore nel 1973'74. Per la scelta dovrebbe essere questione di ore. Molto dipenderà dall'esame, già cominciato, dei documenti arrivati da Padova e dagli altri che Tamburino ha promesso di mandare a brevissima scadenza. Andrea Barberi