Olandesite acuta e tifo di Giovanni Arpino

Olandesite acuta e tifo I CONTI DEL MERCOLEDÌ' Olandesite acuta e tifo I due mali che contagiano il gioco e il pubblico - Vade retro Kovacs - Scudetto sulla strada Torino-Roma « Aliò, Giova, se dici ancora una parola contro 'sto povero Fulvio nostro, me tocca de siidatte a duello! », m'ha ruminato contro, all'Olimpico, la magnifica faccia da Koclss che corrisponde al nome di Alberto Marchesi, collega romano, principe dei « non mi sta bene •, vecchio amico di Bernardini, personaggio che tutti hanno incontrato in mille Olimpiadi o « mondiali ». Un duello? A boccette? A scopone scientifico? SI è persa completamente la misura del dialogo sportivo. Le gazzette imperversano con toni polemici da dilettanti, pochi scrivono ciò che pensano, troppi sposano posizioni assurde solo per non allinearsi a ciò che dice la « concorrenza ». GII addetti ai lavori, cioè giocatori e responsabili, scendono sul terreno già corrosi nella resistenza nervosa dalle distrata delle vigilia. I tifosi impazzano, insultano, contestano, assediano, menano. E' ancora possibile versare una parola sensata, un consiglio civile? Siamo al limite d'una rottura gravissima non solo per la « paralisi » pronosticata dal « granduca » Artemio Franchi, ma per l'insofferenza passionale, esacerbata, che protagonisti e spettatori gettano nel fuoco, dall'Olimpico romano a Bologna, dal Comunale torinese a Genova. Solo la gran Milano, pur digiuna e vedova, subisce tacendo, per ora. A qualcuno viene in mente la bella i penzata » di Kovacs, che fu artefice dell'Ajax, padre putativo di Cruyff e che oggi distribuisce lezioni di pedate in Francia. Eccoci arrivati al ludibrio, al neurodeliri critico. Se l'ottimo Kovacs approdasse in Italia, che potrebbe fare? Per come ci conosce, chiamerebbe in azzurro Rivera, nulla sapendo di Antognonl o Graziani. Benché sia bravo, gli ci vorrebbe una stagione o forse due per prendere la misura del football nostrano. E arriveremmo circa al 77, cioè alla vigilia del « mondiale ». Ma i sostenitori di queste teorie da fantacalclo mica sanno fare i conti, gli basta il suono magico della parola Kovacs. Mi accadde di difendere Zio Ferruccio quando fu criticato da Pelè, difendo oggi Bernardini Doktor davanti agli spauracchi dei qualunquisti neo-kovacsiani, che interpretano il calcio come un baraccone di fenomeni alla fiera del paese. Per fortuna il ■ granduca », che tanto sostenne — nel suo empirismo immobile, ma con probanti ragioni — la chiusura delle frontiere, non può certo darsi la zappa sui piedi oggi con la « penzata » d'un tecnico straniero. Il quale cadrebbe come carbone ardente in un pollaio, e umillerebbe una categoria che certo non demerita, nel gran bellamme casalingo nostrano. Vogliamo dunque ragionare di cose più serie, amici di biro, taccuini e pallonate? Il campionato vive, vivrà. Non perché la Juventus è caduta malamente a Roma, ma in quanto ha ancora succhi e misteri da spremere. Dipende dai tifosi la sua legittima continuazione. Non vorremmo mai parlare dei seguaci del football. Tengono diritto di urlo, fischio, applauso, lesione coronarica e dileggio. Pagano, quindi sono. Senza II tifoso, non esisterebbe il centravanti. D'accordo. Però questi stessi tifosi, che scaricano bile e rabbia sui loro beniamini o sui loro « nemici », dopo aver massacrato moralmente giocatori, arbitri, allenatori, presidenti, cosa potranno fare: divorarsi a vicenda? Conviene a tutti, ma in primo luogo agli spettatori, che la ra¬ gione sociale dei loro interessi, cioè lo spettacolo-calcio, possa procedere in modi lineari. Fischiando e schernendo Chinaglia o Agroppi non otterrai un Chinaglia o un Agroppi migliori. Resterai senza, a pane asciutto, a discorsi da bar e alle memorie di come era bello quel famoso derby di cento anni io. Sono proprio i tifosi a doversi difendere da se stessi, o almeno dalle frange più pericolose ed estremistiche dei loro confratelli. Bernardini e Fabbri, variamente contestati, potrebbero risultare il primo esempio di tecnici che abbandonano il ring per la pressione popolare. Ogni abbandono, invece, va motivato da questioni tecniche o di competenza o di logorio personale, non è possibile né lecito farlo passare per la via d'un «crucilige: Chi ha sbagliato, nello sport, paga e subito, come già ci capitò di dire, ma chi guarda, sia godendo sia struggendosi, rimanga fermo nel suo ruolo. O la confusione sarà tale da distruggere le strutture portanti del nostro massimo sport. Torniamo un attimo alla Juventus « made in Rome ». Si è « infurinata » ben bene, con tutto il rispetto e l'amicizia che proviamo per capitan Beppe, studente serissimo ma scatenato « jolly » sull'erba capitolina. Diceva un grande maestro, Marcel Duchamp: «Se un'opera altrui traduce il mio sogno, quell'opera è mia ». Quindi la Juve a Roma non era febbricitante di neozelandese ma di un'olandesite deteriore. Corse a non finire, a scapito dell'intelligenza tattica. E lo ripeteremo a oltranza, pur con tutta l'ammirazione per una Lazio che sapeva di dover scucire subito, lì, lo scudetto, in caso di pareggio o sconfitta. L'impeto della Juve va razionalizzato, come già esaminava esplicitamente Bruno Perucca. ieri su queste colonne. E l'« escalation - del Torino non deve produrre tifo contagioso e pernicioso sulle gradinate. In una domenica stentatissima, il Toro va a rete con tre gol e raccatta fischi. Ma allora ha ragione Glgirriva, che non vuol muoversi dalla Sardegna. Può giocarvi con una gamba sola, ferita, malconcia, può smettere dopo sessantaquattro minuti, e tutti continuano a rispettarlo, evitandogli martiri! morali e nervosi. Volete riflettere un istante, o « granatieri » seduti? Mentre i vostri «barbareschi» confessano d'aver paura più di voi che degli avversari? Sulla strada degli scudetti possibili bastano già gli ostacoli dei concorrenti, le spine inventate in famiglia non sono affatto stimolanti. Anche lui dice: 'Ma qua vonno tarme mori: E' Fuffo che parla. Prima che a Roma ci incontrassimo come due Corsari Neri, prima che all'Olimpico rischiasse i connotati. Un ineffabile pennino ha scritto: la colpa è dei giornalisti. Come se certi giudizi in televisione li avessimo detti noi, truccati da Bernardini. Si può star sicuri che la teppaglia aggressiva all'Olimpico non legge certi giornali, semmai si nutre di fogli bellicosi che poco hanno da spartire con la miglior stampa critica, quella che preferisce l'ironia al dramma. Mi invitano a scommettere sul « se e quando » Artemio Franchi farà la famosa telefonata d'addio a Bogliasco; se Bernardini si dimetterà, cosa ovviamente (e valcareggescamente) impossibile, visto il suo tardivo amore con la fidanzata azzurra, che Fata Turchina non è. Rispondo: non scommetto mai su cose serie. Scommetto solo con il collega della « Stampa » Felice Froio, cui dò ampio margine per vincere e perché certa scaramanzia funzioni (infatti gli devo due cene). Però Artemio Franchi sta studiando. Lo si intuisce. La Federcalcio non può sopravvivere alle sfortune della Nazionale, che è sua unica pupilla. Talvolta è costretta, come Saturno, a mangiarsi i figli. Vedremo. Ponzeremo. La nostra proposta o suggerimento l'abbiamo dato. La Polonia non è lontana, e se non si vince i guai saliranno a uragano. Il campionato può aiutarci sull'autostrada Torino-Roma. I bianconeri non si sono sgretolati come grissini torinesi all'Olimpico, ma il meditativo Parola deve ritrovare le « ricette » del gioco. Non dica Causio, autocommentandosl: « lo non c'ero ». Ci sia invece. Domenica ventura Maestrelli e Chinaglia saliranno a Firenze, un terreno che li fustiga e li arroventa da sempre. Il Torino giocherà sabato, lontano dai veleni casalinghi. Qualcuno dice: è una fortuna per lui. Sta per arrivare la ■ tredicesima » del campionato: chi dimezzerà, con i suoi dannati conguagli? Giovanni Arpino Parola studia nuove soluzioni, occhieggiano Maestrelli, Fabbri e Liedholm (Dis. di F. Bruna)