Mongolia e Cina di Paolo Garimberti

Mongolia e Cina LA PERIFERIA DELL'IMPERO RUSSO Mongolia e Cina ! (Dal nostro inviato speciale) Ulan-Bator, gennaio. Dal '64, rottura fra Mosca e Pechino, le relazioni tra la Cina e la Mongolia hanno seguito un corso parallelo a quello dei rapporti tra la Cina e l'Unione Sovietica. Nel 1967, durante la rivoluzione culturale, l'ambasciata mongola a Pechino, come quella sovietica, fu oggetto di manifestazioni ostili e venne anche attaccata dalla folla. Seguendo l'esempio di Mosca, il governo di Ulan-Bator ritirò il proprio ambasciatore, affidando l'ambasciata ad un incaricato d'affari e ad un ridottissimo numero di impiegati. Ma nel 1971, pochi mesi dopo che la Cina e l'Urss si erano nuovamente scambiate ambasciatori, anche la Mongolia inviò a Pechino un diplomatico con rango d'ambasciatore e concesse le credenziali ad un ambasciatore cinese. E costui — mi hanno riferito i diplomatici occidentali di Ulan-Bator — abbandona regolarmente la sala del « Gran Hural » ( il parlamento) ogni volta che, durante qualche celebrazione, i dirigenti mongoli attaccano il suo Paese, esattamente come l'ambasciatore cinese a Mosca abbandona l'auditorium del Palazzo dei congressi al Cremlino quando gli oratori del pcus criticano il corso « anti-marxista e anti-lenini- sta » della « leadership » cinese. Sebbene l'argomento Cina venga affrontato con molta riluttanza dai Mongoli, alle insistenze del visitatore straniero essi rispondono invariabilmente, quasi citassero a memoria un manuale, che Mao ha fatto proprie le ambizioni espansionistiche dei feudatari Manciù e ricordano che, già nel 1936, l'attuale presidente cinese disse: « Quando la rivoluzione del popolo vincerà in Cina, la Mongolia esterna diventerà automaticamente una parte della federazione cinese, come è suo desiderio». Nella disputa tra Russia e Cina, la Mongolia ricorda il vaso di coccio tra i due vasi di ferro di manzoniana memoria. Le ragioni che hanno indotto i mongoli a mettersi al riparo del vaso di ferro sovietico possono essere individuate nella storia più o meno recente della Mongolia. Per oltre due secoli i mongoli furono oppressi dai feudatari manciù, che si arricchivano alle spalle dei poveri arat praticando l'usura e punendo gli insolventi con terribili pene. Il museo di Ulan-Bator offre un impressionante panorama degli strumenti di tortura — dalle catene di l'erro, dal peso incredibile, che venivano appese alle orecchie dei debitori, alle casse in cui essi venivano rinchiusi per settimane — e alla mostra allestita per il cinquantenario della Repubblica il peso della tirannide manciù viene illustrato con l'immagine di un contadino mongolo che reca sulle spalle scarne una pila di immensi pacchi, sulla quale sono comodamente seduti due pasciuti feudatari. In secondo luogo, mentre l'Unione Sovietica fece da balia al neonato Stato mongolo, sia sul piano politico che economico, l'aiuto cinese venne molto più tardi, quando la rivoluzione trionfò in Cina, e fu effimero tanto quanto j l'amicizia tra l'Urss e la Cina. Motivazioni storiche e, in un certo senso, sentimentali giustificano dunque la scelta di campo compiuta dal piccolo Stato mongolo tra i due giganti che lo avvolgono e lo schiacciano con il peso del loro potenziale umano e militare. Tuttavia, se si scava un po' sotto la crosta delle dichiarazioni ufficiali, si ricava l'impressione che la Mongolia sia stata, e sia tuttora, coinvolta suo malgrado nel conflitto politico-ideologico tra Mosca e Pechino, dal quale ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Sul piano economico il danno subito dalla Mongolia è stato notevole. Alla fine de¬ gli Anni Cinquanta, tra Pechino e Ulan-Bator si svolgeva un fiorente commercio con un interscambio medio annuale pari a circa 31 milioni di dollari. Nel 1968 il volume degli scambi scese al livello più basso (due mi lioni e mezzo di dollari) ed ora — essendovi stata una lieve ripresa, regolamentata da un accordo commerciale che viene rinnovato ogni an no — si aggira sui tre milioni di dollari. Non meno importante di quello economico è l'aspetto militare del problema. Un po per reale timore della minaccia cinese, un po' per rispet| to dell'alleanza con l'Urss, la Mongolia deve mantenere un esercito (fatto, dalle uniformi alle strutture, ad immagine e somiglianza di quello sovietico) sproporzionato alla sua popolazione: den 50 mila uomini, secondo stime occidentali, per un milione e 300 mila abitanti. Il mantenimento di queste forze armate costa allo Stato mongolo il dieci per cento del bilancio: qualcosa come circa 400 miliardi di lire. Un'ultima, terrificante considerazione rende ancor meno gradevole ai mongoli la tensione esistente tra Russia e Cina. Se un conflitto dovesse scoppiare, la Mongolia sarebbe uno dei principali campi di battaglia e ben difficilmente scamperebbe ad una distruzione totale. Secondo le testimonianze dei diplomatici ohe viaggiano spesso tra Ulan-Bator e Pechino, i sovietici hanno costruito nel Gobi una rete di postazioni missilistiche, spesso servite da aeroporti in grado di ricevere i più grossi aerei da trasporto, che sono bene visibili dal treno. E' evidente che queste postazioni sarebbero i primi obiettivi di un attacco cinese sia con armi convenzionali sia con atomiche tattiche. E le conseguenze per la Mongolia sono facilmente immaginabili. Paolo Garimberti

Persone citate: Mao, Ulan, Ulan-bator