L'AUTORE DI "CRISTO SI È FERMATO A EBOLI„ di Marziano Bernardi

L'AUTORE DI "CRISTO SI È FERMATO A EBOLI„ L'AUTORE DI "CRISTO SI È FERMATO A EBOLI„ La morte di Carlo Levi Appartenne al gruppo dei "Sei pittori di Torino" - L'esperienza del confino per antifascismo nutrì i suoi quadri e poi gli scritti (Dalla redazione romana) Roma, 4 gennaio. Carlo Levi è morto oggi alle 17,30. Aveva 72 anni, essendo nato a Torino il 29 novembre 1902. Ricoverato all'ospedale del Policlinico il 28 dicembre scorso, al momento del decesso si trovava al suo fianco Linuccia Saba, da lungo tempo sua compagna. Lo scrittore era affetto da bronchite, degenerata poi in polmonite, cui si erano aggiunte complicazioni di carattere circolatorio. Perché avesse tutte le cure necessarie, il suo medico curante aveva consigliato il ricovero in un ambiente clinico. Poco dopo l'ingresso in ospedale, le sue condizioni si erano ulteriormente aggravate. Era entrato subito in coma, un coma cerebrale da cui non si è più ripreso. Lo stato generale della sua salute — dicono i sanitari che lo hanno assistito sino all'ultimo — era molto compromesso. Carlo Levi soffriva di un'accentuata forma di diabete, di una forte ipertensione, dei postumi di una operazione agli occhi cui era stato sottoposto due anni fa. E' morto nel centro di rianimazione del nosocomio Proprio in questi ultimi mesi s'era accinto a un lavoro che dall'editore del libro che aveva dato a Carlo Levi fama nel mondo gli era stato più volte suggerito: le illustrazioni del Cristo si è fermato a Eboli, per una riedizone che lo scrittore tuttavia esitava a corredare d'immagini, quasi temesse un'oggettivazione troppo cruda delle persone, dei fatti, delle cose cui aveva già impresso, con l'allusività della semplice parola, una vitalità straordinaria traendone un terribile giudizio sulla miseria italiana. Alfine s'era risolto, e sette litografie ispirate a quel testo comparvero lo scorso autunno nella grandiosa mostra antologica al Palazzo del Te di Mantova con la quale in 170 opere Levi riassumeva l'intera sua attività pittorica d'oltre mezzo secolo; ed ignorava che sarebbe stata l'ultima sua applaudita uscita in pubblico. Non sappiamo se le sette litografie, riunite in una cartella della torinese « Espolito » e presentate da uno scritto di Italo Calvino, dovessero poi far parte, in formato ridotto, del corredo illustrativo della ristampa del celebre libro. Questo, comunque, era uscito presso Einaudi a Torino nel 1945, subito dopo la Liberazione, ed a Torino il torinese Levi, per un sentimento di fedeltà ai suoi antichi affetti, all'ambiente familiare e degli amici, al ricordo dei suoi esordi d'artista, della sua lotta politi- ca accanto a Piero Gobetti, a Nello Rosselli, ai fondatori di « Giustizia e Libertà » — la lotta che l'aveva portato all'arresto nel 1934, poi al confino in Lucania, infine al nuovo arresto del '43 — volle che uscisse anche la cartella, estrema sua testimonianza dell'unità morale dell'uomo, dello scrittore, del pittore. Un'unità ch'è confermata dalle parole d'una dedica sul catalogo della mostra di Mantova offerto a chi scrive questa triste nota: « ... quadri di più di mezzo secolo, dove mi pare si ritrovino in unità tempi, fatti, avvenimenti, vicende e persone della nostra vita ». E allora ai tanti che per più di cinquantanni ebbero con lui consuetudine, scambi d'idee e di propositi, torna adesso il ricordo del giovane studente di Medicina (si sarebbe laureato nel '24 a ventidue anni) che con singolare versatilità d'intelligenza passava dalle aule universitarie e dall'anfiteatro anatomico alla scuola di Felice Casorati, spinto da una vocazione artistica che non contraslava per nulla con le sue attitudini scientifiche, ed anzi già confermava quella completezza spirituale, di dimensione umanistica, che in età matura avrebbe indotto il pittore e lo scrittore a una milizia politica esercitata anche dai banchi del Senato accanto a Franco Antonicelli, altra dolorosa perdita recente. Cominciava a delinearsi così il profilo del « personaggio » Carlo Levi, estremamente complesso nella sua sorridente imperturbabilità e talvolta segretamente compiaciuto appunto della propria complessità. Chi conosce il suo autoritratto del 1929, A letto, una delle più belle tele da lui dipinte, e rivede quel giovane febbricitante, un po' sollevato sui guanciali, intento a raffigurare una fruttiera colma di arance e banane posata su un tavolino accanto al letto, e ne rammenta lo sguardo pungente, la sottile ostentazione di se stesso avvolta da un'atmosfera alla Verlaine, si convince che a meno di trentanni Levi, perfettamente conscio delle sue possibilità, era certo il più « letterato » nel gruppo dei « Sei pittori di Torino » che in quel 1929, creando un movimento di fronda nei riguardi del «Novecento italiano » riconosciuto ufficialmente arte appropriata all'ideologia fascista, venivano ad assumere una posizione larvatamente contestatrice del regime. Del resto Levi quel medesimo anno aveva dipinto il ritratto di Nello Rosselli, in attesa di dipingere quattro anni dopo quelli di Carlo Rosselli e di Leone Ginzburg. La scelta dei soggetti dichiarava le simpatie politiche. Ma va anche ricordato che il modello d'uno dei suoi primi quadri era stato Natalino Sapegno: e questa era una simpatia letteraria. Difficile congetturare qual sarebbe potuta essere la direzione espressiva del giovane pittore che già aveva voltato le spalle ad Escutapio ( i rudimenti della medicina gli servirono se mai per qualche esitante intervento richiestogli dai poveri contadini lucani: e se ne ha memoria in trepide pagine del Cristo si è fermato a Eboli;, e in parte al maestro Casorati con l'aggregazione al gruppo dei t< Sei »; e che preferiva a un tirocinio professionale le deambulazioni notturne con quell'altro curioso e geniale « personaggio » apparso come una meteora nel firmamento culturale torinese, il critico napoletano Edoardo Persico (anche lui da Levi ritratto), che con accenti profetici lampeggianti in una temperie tradizionalistica gli parlava di « europeismo » e ve lo spronava. Il vago decadentismo tinto di colori postimpressionistici di certi nudi dipinti intorno al 1930 avrebbe avuto il sopravvento in una pittura ormai nutrita di maturate esperienze intellettuali? Certo è che la convinzione politica unita al furore e al disprezzo per lo spettacolo quotidiano della rozza e stupida oppressione d'ogni libertà, e più particolarmente della libertà dello spirito, portò Carlo Levi a foggiarsi l'unico strumento di protesta di cui possa disporre un pittore: l'ideazione e l'esecuzione di un quadro, la fantasia e lo stile. Già nel '34 appaiono le Donne furenti, esempio d'u¬ na pittura appassionata e convulsa, generosa nella forma e sovrabbondante nel colore, che fu in seguito la sua, fino alle ultime testimonianze del Pane del Mezzogiorno e Allende morto. Ma fu sempre una protesta meravigliosamente grondante di umanità, mai disgiunta (in lui, ebreo) da un senso della carità cristiana che si confondeva con un amore panteistico confessato dipingendo sia il volto di una contadina sofferente, sia il riso inconscio di un bimbo, sia un tronco di quercia o lo scheletro contorto d'un olivo, sia un aspro paesaggio di Lucania, sia infine le donne piangenti nel Lamento per Rocco Scotellaro, poeta rurale. E sempre il colore, strappato a larghi impasti dalla tavolozza, dichiarava questa alta pietà per tutti i viventi, anche per gli avversari e i nemici. Non si udì mai da Carlo Levi, l'unico dei a Sei » pesantemente offeso dal fascismo, una parola d'odio per i suoi persecutori. Si può addirittura sospettare che in fondo all'animo gli serbasse gratitudine: perché la sua pittura più autentica, quella per cui sarà ricordato tra i più virili pittori del nostro secolo, maturò e trovò la propria sapiente articolazione linguistica nelle solitarie meditazioni del confino politico, nella civile replica artistica ch'egli seppe dare a una nera parentesi di inciviltà. Marziano Bernardi Roma. Carlo Levi a una mostra d'arte, qualche anno fa (Foto Team)