Miceli: arresto illegittimo dice il p.g. di Cassazione

Miceli: arresto illegittimo dice il p.g. di Cassazione Criticata la decisione del giudice Tamburino Miceli: arresto illegittimo dice il p.g. di Cassazione Per la procura generale il giudice di Padova ha agito con "ragionamento illogico" - Ora la decisione spetta alla Suprema Corte, che ha già trasferito le inchieste sulle trame nere di Torino e Padova a Roma, e si riunirà in camera di consiglio per la sentenza l'8 gennaio Roma, 1 gennaio. Vito Miceli, generale di corpo di armata, per quattro anni capo del Sid, è in carcere per una decisione che « deve essere dichiarata illegittima, perché dettata da un ragionamento illogico ». Lo sostiene la procura generale della Cassazione, in termini così espliciti. L'attacco alle iniziative di Giovanni Tamburino, il giudice istruttore di Padova, è duro: non doveva far arrestare Miceli; il provvedimento ora va dichiarato nullo e il generale deve essere scarcerato. La Cassazione deciderà fra una settimana, mercoledì 8 gennaio. A riunirsi in camera di consiglio sarà la stessa sezione (la prima) che due giorni fa ha assegnato a Roma l'intera inchiesta sulle trame eversive. Al solito, bisogna ricordare che il parere della procura generale non vincola. Ma occorre aggiungere che viene rispettato almeno nel novanta per cento dei casi: c'è di mezzo l'esperienza, l'anzianità della toga. Vista in questa prassi, l'esperienza dell'ex impiegato di banca Tamburino, poi entrato in magistratura, è limitata; quella di Carlo Di Majo, l'avvocato generale, uno dei massimi gradini nella scala gerarchica della magistratura, è vastissima. Fra una settimana, Vito Miceli sarà libero. Tamburino, che ormai si è visto sottrarre l'indagine, non avrà avuto la soddisfazione di interrogarlo. E ai giudici romani, che hanno ereditato il frutto delle fatiche del collega di Padova (e di quello di Torino) sarà stata evitata la difficoltà della scelta: non avranno bisogno di risolvere il «caso Miceli», arduo per loro, che contro l'ex capo del Sid avevano firmato soltanto un indizio di reato. Se la vicenda non andrà così, sarà davvero il caso di parlare di colpo di scena. Lanciate clamorosamente alla fine dell'agosto scorso, le inchieste sulle trame eversive sembrano ormai destinate a seguire una parabola discendente. Tolto di mezzo Miceli, esclusa quasi di certo in un prossimo futuro la responsabilità di Ugo Ricci (l'altro generale fatto arrestare da Tamburino), i grossi nomi scompariranno, perché un indizio di reato significa poco, se non proprio nulla. Restano nella rete gli uomini di Valerio Borghese. Ed è ben poca cosa, perché questi risultati erano stati raggiunti già quattro anni fa. • - Con Valerio Borghese protagonista e i suoi accoliti comprimari, si può parlare di serio pericolo per le istituzioni? Eppure, di questo pericolo, non molte settimane fa, hanno parlato un ministro della Difesa, un ministro dell'Interno (Andreotti e Taviani) e molti magistrati. Che cosa è cambiato? E' stato Tamburino, sembra dire la procura generale della Cassazione, a segnare fin dall'inizio una strada sbagliata, a indicare pericoli e nemici che non esistono. Ha preparato per Miceli un pesantissimo atto d'accusa (cospirazione politica), ma, sempre secondo la procura, lo ha motivato in modo « palesemente inadeguato, soprattutto per la mancanza di quella stretta connessione logica fra premesse (dell'atto) e dispositivo, requisito quest'ultimo indeclinabile in ogni provvedimento della pubblica autorità ». Continua l'avvocato generale, che fa proprie quasi tutte le critiche dell'avv. Franco Coppi, il difensore di Miceli: « Nella disamina dei motivi posti a base dell'atto impugnato si ritrovano enunciati, a titolo di premessa, fatti e circostanze che dovrebbero costituire i sufficienti indizi di colpevolezza legittimanti l'esercizio del potere di cattura, laddove quei fatti e circostanze, per la loro genericità e indeterminatezza, non si prestano a giustificare la misura di coercizione personale ». Di Majo entra poi nel merito. Tamburino ha sostenuto l'esistenza di una « cellula eversiva veneta », innestata in una struttura segreta « di sicurezza » e appoggiata da «ufficiali anche di grado elevato». Il procuratore generale dice: ma che c'entra Miceli? Il giudice di Padova ha scritto che « all'interno del Sid era venuto a formarsi, per l'attività deviante del suo capo, generale Miceli, un centro di potere autonomo e complementare rispetto a quello gerarchico e legale ». Sono espressioni « equivoche », osserva Di Majo, pur ricordando che il primo a formularle è stato il generale Gianadelio Maletti, capo di uno dei settorichiave del servizio segreto. Continua la critica della procura generale: Tamburino ha fatto « mere supposizioni» e «semplici congetture» quando ha parlato dei legami fra «Rosa dei venti» e militari del Sid. Altre circostanze sono «estranee» all'imputazione. Su un punto solo Di Majo sembra concordare con Tamburino: Miceli nascose all'autorità giudiziaria notizie importanti sulle trame eversive. Ma questo non basta per farne un cospiratore: «Tutto ciò» può essere materia per altro tipo di reato o di illecito, ma «non giustifica minimamente la cattura dell'imputato per il grave delitto contestato ». Andrea Barberi

Luoghi citati: Padova, Roma, Torino