CHE SUCCEDE DI NUOVO NELLE CAMPAGNE DI SICILIA

CHE SUCCEDE DI NUOVO NELLE CAMPAGNE DI SICILIA CHE SUCCEDE DI NUOVO NELLE CAMPAGNE DI SICILIA C'è una mafia dei tavolini E' quella degli enti parassitari della Regione, che impediscono un impiego razionale dei terreni demaniali - A Godrano, paese di piccoli allevatori, si lotta per avere accesso ai pascoli: questo, mentre l'economia italiana si svena per importare carne (Dal nostro inviato speciale) Palermo, gennaio. « Mangiai carne l'ultima volta a San Giuseppe »; così mi dice il pastore che ho di fronte, proprietario di 22 bovini. Fu dunque il 19 marzo, in occasione della festa del santo patrono di Godrano. Quanta? Il pastore unisce il medio e l'indice della mano destra per mostrarmi lo spessore e la lunghezza della striscia di carne che masticò quel giorno di otto mesi fa. Mezzo etto? Sì, più o meno. Altrettanta carne mangiò la moglie, ma le tre figlie bambine ebbero porzioni più abbondanti. Da due ore stiamo conversando in una stanza disadorna e fredda, la sede della cooperativa «Santo Isidoro »; io, una dozzina di pastori e il sindaco Salvatore Bisagna, 37 anni, avvocato a Palermo. E gli altri allevatori di bovini a Godrano quando gustarono il sapore della carne l'ultima volta? Dipende. Uno dice che la domenica mangia sempre carne: possiede 25 mucche, tra lui e la moglie mettono insieme 85 mila lire di pensioni il mese, non hanno figli. Per gli altri invece mangiare carne è un fatto imprevedibile: in genere capita se un animale precipita in un burrone e viene trovato dal proprietario prima delle volpi o dei cani randagi. Godrano sta in alto, a 750 metri, tra i monti delle Madonie, tutta fasciata da boschi. Gli abitanti sono 1300. le famiglie 280, gli allevatori 250, i bovini circa seimila. Il territorio comunale è diviso in feudi, appartiene quasi interamente al demanio regionale e la Regione lo amministra attraverso vari enti. Un pastore dice: « Qui la vecchia mafia è morta, ora c'è la mafia dei tavolini ». In che consiste? Come agisce? Clientelismo Per esempio, il feudo di Giardinetto è nelle mani di un ente regionale chiamato Istituto zootecnico sperimentale: si tratta di 460 ettari dove pascolano un centinaio dì pecore « regionali », e sono per l'appunto queste poche pecore che giustificano — si fa per dire — te tenace sopravvivenza dell'ente. C'è poi il feudo di Maroso, 500 ettari, pure demaniale. La Regione, attraverso l'Esa (Ente di sviluppo agricolo) lo ha affittato a due fratelli, pare per una somma irrisoria; e i due fratelli subaffittano la maggior parte del feudo ai piccoli allevatori ricavandone profitti eccellenti. Un altro grosso feudo, sempre demaniale, è quello di Cerasa: qui un ente, l'Azienda regionale delle foreste demaniali, spende ogni anno centinaia di milioni, anche miliardi, allo scopo dì farvi crescere uh bosco. Però nemmeno un albero ha attecchito finora, e il motivo è elementare: lo strato di terreno è sottile, perciò le radici non trovano di che nutrirsi, e gli alberelli appassiscono. Il guaio è che appassiscono anche i bovini di Godrano perché i pascoli disponibili sono pochi, magri e costosi. Ccn facce scure, con lampi di rabbia negli occhi, i piccoli allevatori mi fanno i conti lunghi, minuziosi, e ne viene fuori che lavorando dall'alba al tramonto, nella neve d'inverno e sotto un sole africano l'estate, non sempre riescono a guadagnarsi di che campare. Per esempio, se una mucca « si ammaligna » e non dà più latte, o peggio se muore, allora aumentano di pari passo i debiti e la fame. A motivo della persistente siccità, la situazione diventò seriamente drammatica sul finire dell'estate scorsa; i bovini, ridotti pelle e ossa, riempivano le campagne di lugubri muggiti. Tra loro la morte per inedia arriva sempre allo stesso modo: dopo giorni di diarrea, l'animale incespica o scivola, cade e poi non ce la fa più a rialzarsi. Pelle e ossa com'è, non c'è da ricavare niente da un animale morto così. Dunque, tra la fine dì agosto e l'inizio di settembre, i pastori si misero a gridare sotto il municipio: « Le vacche muoiono di fame », « Abbasso la mafia dei tavolini », « Non vogliamo emigrare ». Il 19 settembre fecero di più: spinsero quattromila bovini barcollanti per la denutrizione nelle strade del paese (200 case), ne fecero entrare a decine nelle stanze del municipio, mobili e vetri andarono in frantumi. Tre giorni dopo, aumentando la moria dei bovini, il sindaco andò a scovare una legge centenaria, del 1864, e « considerata l'esistenza di una situazione di gravissimo e permanente turbamento dell'ordine pubblico », emise una I ordinanza dì requisizione di centinaia dì ettari nei feudi | di Giardinetto e di Maroso. ! Vacche e vitelli irruppero j nei proibiti campi della i « mafia dei tavolini » e finalmente pascolarono a volontà. Ora tutti si domandano chi vincerà: la rabbia dei pastori o la malizia annidata negli uffici regionali? Il sindaco Bisagna e il presidente della «Santo Isidoro», l'avvocato Nicola Ravidà di Palermo, pensano che alla fin fine vincerà la ragione. Un seguace di Danilo Dolci, il pittore Francesco Carbone, che da molti anni vive tra i pastori e cerca di liberarli dallo stato di soggezione verso ogni forma di mafia, dice che quelli di Godrano hanno preso ormai coscienza del loro diritto alla vita e finiranno con lo spezzare le strutture chiuse, clientelari dell'amministrazione regionale. Speriamo sia così. Oggi, bene che vada, una mucca dà sei litri di latte il giorno e solo per tre mesi l'anno: ma se fosse nutrita bene, potrebbe dare 15 litri di latte e per molti più mesi. Col povero latte di oggi, ne occorrono 12 litri per fare un chilo di caciocavallo: ma con un latte più ricco, ne basterebbero nove, forse di meno. Oggi bisogna pagare un milione e anche più per avere il permesso di far pascolare per un semestre una \ ventina di mucche nel sot- | tobosco coperto di rovi: e nei restanti sei mesi biso- I gna spendere persino 1300 lire il giorno per dare a cia- I scuna mucca quattro chili di fave e mezza balla di fieno.- Sono interminabili i conti allineati col fiele della rabbia da chi tribola tutti i giorni tra angustie di ogni genere, compresa la fame, e ora non vuole più starsene rassegnato di fronte a soprusi di natura feudale e mafiosa. Intanto coloro che li guidano, il sindaco e il presidente della «Santo Isidoro», ostinatamente si battono per un avvenire di progresso. Poiché le acque sorgive abbondano dappertutto, è possibile trasformare inigliaia di ettari in erbai permanenti, prati irrigui e colture foraggere: e così i bovini, non più costretti a vivere allo stato brado, arrampicandosi tra rovi e anfratti, nella neve e nel fango, potrebbero diventare anche 15 mila capi, ben nutriti, selezionati con altre razze, e dare molto più latte, più carne, più vitelli. In breve, si tratta di organizzare con strutture moderne, industriali, un allevamento primitivo e rimasto sempre uguale nei secoli. Tanto per dirne una, oggi il demanio regionale non permette che sui suoi terreni siano costruite neppure stalle minime, nemmeno rifugi provvisori per i pastori; e se il maltempo infuria, gli unici ripari sono le grotte naturali, umide, buie. Problema vitale Adesso, tuttavia, la costruzione di stalle sociali, di un grande mattatoio con impianti di refrigerazione, di un caseificio, l'elevazione professionale dei pastori, una buona assistenza tecnica e veterinaria, la profilassi degli allevamenti: sono tutti argomenti che vengono studiati attentamente e fatti capire alla gente, anche ai politici. E' un problema per davvero di vita o di morte. A Godrano, con un reddito medio di 250 mila lire l'anno per abitante, i giovani non vogliono nemmeno sentir parlare di pastorizia. Più istruiti dei genitori, sanno che nella stessa Sicilia il reddito medio è tre volte maggiore di quello di chi vive a Godrano: perciò non c'è dubbio, emigreranno. E allora Godrano diventerà un paese abbandonato, le sue terre prenderanno l'aspetto di lande deserte. Tutto questo potrebbe avvenire nel volgere di una sola generazione. Va anche detto che i boschi intorno a Godrano formano la più grande e bella foresta della Sicilia: sono quattromila ettari di roveri, lecci, castagni, frassini, olmi, aceri, cerri. Nel secolo scorso erano « le regie cacce » dei Borboni, e fu uno di essi, Ferdinando III, che fece costruire la graziosissima Palazzina Reale nel bosco della Ficuzza. Sulla vasta foresta incombe il massiccio di Rocca Busarnbra, alta 1613 metri. Sono dunque luoghi verdi, ameni, freschi d'estate, e collegare il turismo (Palermo dista una cinquantina di chilometri), a un'agricoltura florida, industrializzata, anche questo rientra nei progetti di chi vuole salvare Godrano. Tiriamo le somme. Fino a una decina di anni fa la vecchia mafia, tagliando i garretti ai bovini e uccidendo le persone, anche bambini, opprimeva i piccoli allevatori di Godrano e dintorni, li costringeva a vivere in una abietta miseria. Oggi, scomparsa « la mafia dei pascoli ». al suo posto è subentrata « la mafia dei tavolini »: sta negli uffici regionali, non uccide, non sgarretta gli animali, ma non permette un impiego razionale dei terreni demaniali. Più in generale. teniamo I a mente che, a parte il peso già grave degli enti parassitari, l'economia italiana si svena per importare carne, latte, formaggi, burro: e che diversi milioni di ettari demaniali o incolti, nella Sicilia come nel resto dell'Italia, potrebbero essere restituiti all'agricoltura, migliorare i nostri conti con i paesi esteri e dare un lavoro ben remunerato a molti disoccupati. Godrano dunque, piccolo paese tra ì monti delle Madonie, va osservata al microscopio: e se l'analista è attento, se è perspicace, egli può vedervi cellule maligne che insidiano la salute del nostro Paese, e perciò da estirpare: ma anche cellule benigne e che, se aiutate a svilupparsi, potrebbero avviarci verso un futuro assai più equilibrato e complessivamente migliore del tempo presente. Nicola Ad elfi