Comunità soffocata dalle troppe lingue

Comunità soffocata dalle troppe lingue A BRUXELLES UNA TORRE DI BABELE? Comunità soffocata dalle troppe lingue Fra ! primi compiti che spetteranno alla nuova Commissione esecutiva designata, a partire dal 1° gennaio, sotto la presidenza di Roy Jenkins vi è lo studio delle conseguenze dell'allargamento della Cee. In quell'ambito si dovrà giocoforza parlare del problema della lingua, argomento che potrebbe sembrare futile e mondano e che riveste invece notevoli complicazioni politiche e emotive. Attualmente la Comunità riconosce ufficialmente sei lingue, francese, inglese, tedesco, danese, italiano e olandese. I belgi, divisi fra valloni di estrazione francese e fiamminghi che parlano l'olandese, non pos¬ seggono un idioma unitario, i lussemburghesi si servono del francese e gli irlandesi hanno accettato l'inglese nonostante che i loro atti ufficiali interni debbano essere tradotti in gaelico. Stando a numerosi funzionari di Bruxelles la Comunità è soffocata dalle sei lingue. Aggiungendo, entro cinque anni, il greco, il portoghese e lo spagnolo, e forse, più tardi, il turco, gli esperti sostengono che si rischia la paralisi dei lavori se tutti gli Stati membri dovessero insistere nell'usare in continuazione la propria lingua. La preoccupazione è fondata. Oggi, con sei lingue ufficiali, il 38 per cento del per¬ sonale comunitario è impegnato nei servizi di traduzione. Lo scorso anno Bruxelles è stata teatro di oltre 7 mila riunioni, ognuna delle quali aveva avuto bisogno di una schiera di interpreti e circa 270 mila pagine di documenti da tradurre almeno cinque volte. Molti hanno quindi salutalo con entusiasmo la decisione greca di avviare i negoziati per l'ingresso nella Cee, evento che ha fornito la scusa di iniziare il tanto atteso processo di razionalizzazione linguistica. Secondo il suggerimento più ascoltato sarebbe preferibile stabilire la divisione linguistica a due stadi, impiegando come lingue di la¬ voro l'inglese, francese, tedesco e italiano, e ricorrendo al danese, olandese, greco e alle altre lingue solo per i documenti legali. Dopotutto, dicono, la Nato, con 15 membri, riesce a operare ricorrendo solo all'inglese e al francese, perché dunque la Cee dovrebbe servirsi di quattro lingue in più con 9 membri? Se il ragionamento è giusto, purtroppo non tiene conto delle dimensioni assunte dalla questione linguistica in un organismo che aspira a diventare la comunità delle Nazioni e non unicamente un'agenzia intergovernativa. Bastano le difficoltà incontrate dai Nove per accordarsi sul tipo di passaporto comune per spiegare la complessità della controversia. Al vertioe di Roma del dicembre '75 tutti si erano dichiarati favorevoli all'introduzione del passaporto comunitario entro l'inizio del 1978. Da allora i Nove si sono dati battaglia non solo sul colore e il formato del documento ma specialmente sulle lingue da stampare all'interno. Oggi si ritiene che tutti meno uno accetteranno la formula del passaporto in tre lingue, francese, inglese e la propria, dando per scontato che le prime due siano le più usate e comprese sia nell'arca della Comunità che nel resto del mondo. Non sono invece d'accordo i tedeschi, timorosi di stabilire un precedente di sottomissione del tedesco all'inglese e al francese. Ma se si dovesse aggiungere anche il tedesco sul passaporto, come resistere alla pressione degli italiani, e di altri Paesi, con il rischio di rendere il passaporto voluminoso come un romanzo? E dove andrebbero le speranze di fare della Cee gli Stati Uniti d'Europa sul modello americano? I primi coloni americani portarono oltratlantico le radici della lingua e della cultura anglo-sassone, accettata come un fatto compiuto dai successivi immigranti. La Cee invece mette assieme nazioni antiche, con sulle spalle tradizioni culturali spesso in contrasto, nessuna delle quali c disposta a considerare la propria lingua inferiore alle altre. Ciò spiega le sensibilità dei tedeschi e degli italiani, e il fervore sciovinistico con il quale i francesi difendono il ruolo del francese come « lingua franca », ruolo che Parigi deve adesso dividere con l'inglese sulla scia dell'influenza economica esercitata dall'America. Sono questi intralci che rendono problematico il piano di razionalizzazione auspicato per la Commissione esecutiva. La Cee sembra quindi destinata a restare una torre di Babele, forse l'unico mezzo capace di farla sopravvivere come comunità di Stati uguali. Michael Hornsby Comunità soffocata dalle troppe lingue A BRUXELLES UNA TORRE DI BABELE? Comunità soffocata dalle troppe lingue Fra ! primi compiti che spetteranno alla nuova Commissione esecutiva designata, a partire dal 1° gennaio, sotto la presidenza di Roy Jenkins vi è lo studio delle conseguenze dell'allargamento della Cee. In quell'ambito si dovrà giocoforza parlare del problema della lingua, argomento che potrebbe sembrare futile e mondano e che riveste invece notevoli complicazioni politiche e emotive. Attualmente la Comunità riconosce ufficialmente sei lingue, francese, inglese, tedesco, danese, italiano e olandese. I belgi, divisi fra valloni di estrazione francese e fiamminghi che parlano l'olandese, non pos¬ seggono un idioma unitario, i lussemburghesi si servono del francese e gli irlandesi hanno accettato l'inglese nonostante che i loro atti ufficiali interni debbano essere tradotti in gaelico. Stando a numerosi funzionari di Bruxelles la Comunità è soffocata dalle sei lingue. Aggiungendo, entro cinque anni, il greco, il portoghese e lo spagnolo, e forse, più tardi, il turco, gli esperti sostengono che si rischia la paralisi dei lavori se tutti gli Stati membri dovessero insistere nell'usare in continuazione la propria lingua. La preoccupazione è fondata. Oggi, con sei lingue ufficiali, il 38 per cento del per¬ sonale comunitario è impegnato nei servizi di traduzione. Lo scorso anno Bruxelles è stata teatro di oltre 7 mila riunioni, ognuna delle quali aveva avuto bisogno di una schiera di interpreti e circa 270 mila pagine di documenti da tradurre almeno cinque volte. Molti hanno quindi salutalo con entusiasmo la decisione greca di avviare i negoziati per l'ingresso nella Cee, evento che ha fornito la scusa di iniziare il tanto atteso processo di razionalizzazione linguistica. Secondo il suggerimento più ascoltato sarebbe preferibile stabilire la divisione linguistica a due stadi, impiegando come lingue di la¬ voro l'inglese, francese, tedesco e italiano, e ricorrendo al danese, olandese, greco e alle altre lingue solo per i documenti legali. Dopotutto, dicono, la Nato, con 15 membri, riesce a operare ricorrendo solo all'inglese e al francese, perché dunque la Cee dovrebbe servirsi di quattro lingue in più con 9 membri? Se il ragionamento è giusto, purtroppo non tiene conto delle dimensioni assunte dalla questione linguistica in un organismo che aspira a diventare la comunità delle Nazioni e non unicamente un'agenzia intergovernativa. Bastano le difficoltà incontrate dai Nove per accordarsi sul tipo di passaporto comune per spiegare la complessità della controversia. Al vertioe di Roma del dicembre '75 tutti si erano dichiarati favorevoli all'introduzione del passaporto comunitario entro l'inizio del 1978. Da allora i Nove si sono dati battaglia non solo sul colore e il formato del documento ma specialmente sulle lingue da stampare all'interno. Oggi si ritiene che tutti meno uno accetteranno la formula del passaporto in tre lingue, francese, inglese e la propria, dando per scontato che le prime due siano le più usate e comprese sia nell'arca della Comunità che nel resto del mondo. Non sono invece d'accordo i tedeschi, timorosi di stabilire un precedente di sottomissione del tedesco all'inglese e al francese. Ma se si dovesse aggiungere anche il tedesco sul passaporto, come resistere alla pressione degli italiani, e di altri Paesi, con il rischio di rendere il passaporto voluminoso come un romanzo? E dove andrebbero le speranze di fare della Cee gli Stati Uniti d'Europa sul modello americano? I primi coloni americani portarono oltratlantico le radici della lingua e della cultura anglo-sassone, accettata come un fatto compiuto dai successivi immigranti. La Cee invece mette assieme nazioni antiche, con sulle spalle tradizioni culturali spesso in contrasto, nessuna delle quali c disposta a considerare la propria lingua inferiore alle altre. Ciò spiega le sensibilità dei tedeschi e degli italiani, e il fervore sciovinistico con il quale i francesi difendono il ruolo del francese come « lingua franca », ruolo che Parigi deve adesso dividere con l'inglese sulla scia dell'influenza economica esercitata dall'America. Sono questi intralci che rendono problematico il piano di razionalizzazione auspicato per la Commissione esecutiva. La Cee sembra quindi destinata a restare una torre di Babele, forse l'unico mezzo capace di farla sopravvivere come comunità di Stati uguali. Michael Hornsby

Persone citate: Michael Hornsby, Roy Jenkins

Luoghi citati: America, Bruxelles, Parigi, Roma, Stati Uniti D'europa