Sopravvivere nell'esercito di Mario Salvatorelli

Sopravvivere nell'esercito I SERVIZI MILITARI IN ITALIA Sopravvivere nell'esercito « // nostro è un esercito di leva (cioè basato sulla chiamata alle armi per il servizio militare obbligatorio, n.d.r.) e riflette la società che lo esprime », dice il suo Capo di stato maggiore, generale Andrea Cucino. Continua: « E' naturale, quindi, che i giovani, entrando nella caserme, portino con sé le ansie e le tensioni che hanno vissuto prima della chiamata alle armi, e che qualcuno tenti d'introdurre nell'esercito il metodo della contestazione. Ma si tratta di una minoranza: i giovani d'oggi sono molto più impegnati, anche più entusiasti di quanto non si pensi ». C'è un « ma »: i giovani (il 25-30 per cento diplomati o laureati) vogliono essere motivati, vogliono rendersi conto del perché di una cosa e dell'utilità di farla. Per esempio, i servizi di guardia non sono graditi (« ed io mi sono assunto la responsabilità di ridurli al minimo indispensabile », afferma Cucino), invece, nel Friuli, devastato dal terremoto, i giovani hanno fatto a gara per non essere sostituiti, se già vi si trovavano con il loro reparto, oppure hanno chiesto di esservi impiegati, se non c'erano. « Dalla prima terribile scossa — dice il Capo di stato maggiore — sono passati quasi sette mesi, durante i quali l'esercito ha impegnato fino a 13.000 uomini contemporaneamente, e non c'è stata una sola punizione disciplinare. E' la prova che se oggi comandare è più difficile d'una volta, appunto perché gli ordini devono essere motivati, la soddisfazione che deriva dal buon comando per lo scopo giusto è maggiore ». C'è il problema dei « giovani di ritorno », cioè di quelli che durante il servizio militare hanno frequentato i corsi professionali dell'esercito, per meccanici, idraulici, elettricisti, e che vorrebbero ritornare « in borghese » nelle caserme, assunti come operai e tecnici, dopo il congedo. Oggi non si può affidare gran parte delle necessità quotidiane d'una caserma ai militari di leva, come si faceva una volta, sia per non distoglierli dall'istruzione militare ridotta a 12 mesi invece di 18, sia perché i servizi tecnici sono più complessi. Dai giovani di leva passiamo agli « anziani »: come si trovano i militari in servizio permanente effettivo, oggi, nell'esercito italiano? Cucino risponde facendo una premessa: la ristrutturazione. Nel giro di 14 mesi, dall'inizio del 1975 alla primavera del 1976, l'esercito di terra italiano è "stato « ristrutturato », riducendo del 30 per cento circa uomini e armi, riorganizzando le unità operative, i servizi, i magazzini, gli ospedali militari, per ottenere una forza di difesa compatibile con le possibilità finanziarie del Paese e al tempo stesso più adeguata alle esigenze d'una guerra moderna. Senza pretendere l'esattezza per cifre che non possono essere di pubblico dominio, possiamo ritenere che l'esercito italiano abbia ridotto gli organici di 40.000 uomini, e conti oggi su 21.000 ufficiali, 30.000 sottufficiali, 170.000 soldati. E' un numero sufficiente per un esercito che non è di mestiere, ma vuol essere di qualità. Quello che non soddisfa, invece, è l'armamento, perché l'accelerato progresso tecnologico degli ultimi anni, al quale si è aggiunto, purtroppo, un ritmo d'inflazione altrettanto accelerato, hanno dilatato enormemente le necessità finanziarie delle forze armate. Il prezzo di un nuovo carro armato è salito in pochi anni da 100 milioni di lire ad oltre mezzo miliardo, quello di un pezzo di artiglieria di medio calibro da poche decine di milioni di un tempo ai 400 milioni di oggi. E un semovente, contraereo binato, armato con due cannoni da 35 millimetri. ha superato il miliardo e mezzo. La ristrutturazione ha ridotto di 900 il numero dei carri armati (oggi circa 1.800), di 450 pei ri l'artiglieria da campagna (sui 1.500 cannoni) e di 10 le rampe per missili contraerei (attualmente poco più di un centinaio). Ma il rinnovamento di questi armamenti, pur ridotti di numero, è troppo lento, per scarsità di mezzi finanziari. Si tratta di sostituire i carri armati M47, ormai superati, con i moderni Leopard, i missili a media e lunga distanza anticarro Cobra, Mosquisto e SS 11 con il Tow (Tubelauched-optical tracked-wire guided: lanciatore ad inseguimento ottico, filoguidato), e i vecchi obici da 105 con l'Fh 170 da 155/39, frutto della collaborazione, nella ricerca e lo sviluppo, tra l'Italia, la Germania Federale e il Regno Unito. A queste preoccupazioni degli alti gradi dell'esercito, dei responsabili della sua efficienza, si aggiungono quelle del personale «dipendente». Con la riduzione degli organici di 40.000 unità (ottenuta ampliando le esenzioni dal servizio militare obbligatorio, selezionando accuratamente i giovani tenuti a farlo, e con il collocamento a riposo anticipato di alcune migliaia di ufficiali e sottufficiali) molti reparti sono stati aboliti e per gli ufficiali e sottufficiali rimasti c'era assai viva la preoccupazione per il futuro. L'età della messa in pensione è legata al grado: un tenente colonnello va in pensione a 56 anni, se non viene in. tempo la promozione a colonnello, e così via, fino ai 63 anni dei gradi più elevati. Anche se sulla carta la «carriera» non è legata al numero e all'entità dei reparti, in pratica c'è uno stretto collegamento tra «dimensioni» di una forza armata e possibilità di promozione. Lo stato maggiore ha dato il buon esempio, per evitare che il nuovo esercito venisse fuori deforme, con una grossa testa e un piccolo corpo, ed ha ridotto i propri effettivi di 140 unità, di cui 80 ufficiali e 60 sottufficiali. I militari di carriera rimasti, e i nuovi che man mano vengono a sostituire chi se ne va, devono affrontare, tuttavia, altri due grossi problemi: l'aumento del costo della vita e la crisi degli alloggi. Il primo è stato attenuato, se non risolto, dalla legge di rivalutazione delle indennità riservate ai militari. Rimane il problema della casa. «Quando trasferisco un ufficiale — dice il generale Cucino — so di metterlo in una situazione drammatica, quindi ogni volta diventa un caso di coscienza». La soluzione più ovvia è quella di ridurre i trasferimenti al minimo, e così si cerca di fare, nei limiti del possibile. Un'altra soluzione è quella di aumentare il numero degli «alloggi di servizio», situati nelle immediate vicinanze, alcuni all'interno, delle caserme, e di proprietà dell'amministrazione della Difesa, che li destina agli ufficiali, ai sottufficiali e alle loro famiglie. E' stato presentato un disegno di legge che stanzia 30 miliardi all'anno per dieci anni per la costruzione di questi alloggi e per l'adeguamento dei canoni di locazione alle retribuzioni dei militari. Ma la soluzione migliore, la strada maestra da seguire, sta nel facilitare agli appartenenti alle forze armate la proprietà della casa. E un altro disegno di legge dovrebbe ottenere per i militari una parte degli stanziamenti previsti in Italia per l'edilizia economica e popolare, dalla quale gli ufficiali sono sempre stati esclusi, per malintese e ormai superate ragioni di prestigio. Mario Salvatorelli Sopravvivere nell'esercito I SERVIZI MILITARI IN ITALIA Sopravvivere nell'esercito « // nostro è un esercito di leva (cioè basato sulla chiamata alle armi per il servizio militare obbligatorio, n.d.r.) e riflette la società che lo esprime », dice il suo Capo di stato maggiore, generale Andrea Cucino. Continua: « E' naturale, quindi, che i giovani, entrando nella caserme, portino con sé le ansie e le tensioni che hanno vissuto prima della chiamata alle armi, e che qualcuno tenti d'introdurre nell'esercito il metodo della contestazione. Ma si tratta di una minoranza: i giovani d'oggi sono molto più impegnati, anche più entusiasti di quanto non si pensi ». C'è un « ma »: i giovani (il 25-30 per cento diplomati o laureati) vogliono essere motivati, vogliono rendersi conto del perché di una cosa e dell'utilità di farla. Per esempio, i servizi di guardia non sono graditi (« ed io mi sono assunto la responsabilità di ridurli al minimo indispensabile », afferma Cucino), invece, nel Friuli, devastato dal terremoto, i giovani hanno fatto a gara per non essere sostituiti, se già vi si trovavano con il loro reparto, oppure hanno chiesto di esservi impiegati, se non c'erano. « Dalla prima terribile scossa — dice il Capo di stato maggiore — sono passati quasi sette mesi, durante i quali l'esercito ha impegnato fino a 13.000 uomini contemporaneamente, e non c'è stata una sola punizione disciplinare. E' la prova che se oggi comandare è più difficile d'una volta, appunto perché gli ordini devono essere motivati, la soddisfazione che deriva dal buon comando per lo scopo giusto è maggiore ». C'è il problema dei « giovani di ritorno », cioè di quelli che durante il servizio militare hanno frequentato i corsi professionali dell'esercito, per meccanici, idraulici, elettricisti, e che vorrebbero ritornare « in borghese » nelle caserme, assunti come operai e tecnici, dopo il congedo. Oggi non si può affidare gran parte delle necessità quotidiane d'una caserma ai militari di leva, come si faceva una volta, sia per non distoglierli dall'istruzione militare ridotta a 12 mesi invece di 18, sia perché i servizi tecnici sono più complessi. Dai giovani di leva passiamo agli « anziani »: come si trovano i militari in servizio permanente effettivo, oggi, nell'esercito italiano? Cucino risponde facendo una premessa: la ristrutturazione. Nel giro di 14 mesi, dall'inizio del 1975 alla primavera del 1976, l'esercito di terra italiano è "stato « ristrutturato », riducendo del 30 per cento circa uomini e armi, riorganizzando le unità operative, i servizi, i magazzini, gli ospedali militari, per ottenere una forza di difesa compatibile con le possibilità finanziarie del Paese e al tempo stesso più adeguata alle esigenze d'una guerra moderna. Senza pretendere l'esattezza per cifre che non possono essere di pubblico dominio, possiamo ritenere che l'esercito italiano abbia ridotto gli organici di 40.000 uomini, e conti oggi su 21.000 ufficiali, 30.000 sottufficiali, 170.000 soldati. E' un numero sufficiente per un esercito che non è di mestiere, ma vuol essere di qualità. Quello che non soddisfa, invece, è l'armamento, perché l'accelerato progresso tecnologico degli ultimi anni, al quale si è aggiunto, purtroppo, un ritmo d'inflazione altrettanto accelerato, hanno dilatato enormemente le necessità finanziarie delle forze armate. Il prezzo di un nuovo carro armato è salito in pochi anni da 100 milioni di lire ad oltre mezzo miliardo, quello di un pezzo di artiglieria di medio calibro da poche decine di milioni di un tempo ai 400 milioni di oggi. E un semovente, contraereo binato, armato con due cannoni da 35 millimetri. ha superato il miliardo e mezzo. La ristrutturazione ha ridotto di 900 il numero dei carri armati (oggi circa 1.800), di 450 pei ri l'artiglieria da campagna (sui 1.500 cannoni) e di 10 le rampe per missili contraerei (attualmente poco più di un centinaio). Ma il rinnovamento di questi armamenti, pur ridotti di numero, è troppo lento, per scarsità di mezzi finanziari. Si tratta di sostituire i carri armati M47, ormai superati, con i moderni Leopard, i missili a media e lunga distanza anticarro Cobra, Mosquisto e SS 11 con il Tow (Tubelauched-optical tracked-wire guided: lanciatore ad inseguimento ottico, filoguidato), e i vecchi obici da 105 con l'Fh 170 da 155/39, frutto della collaborazione, nella ricerca e lo sviluppo, tra l'Italia, la Germania Federale e il Regno Unito. A queste preoccupazioni degli alti gradi dell'esercito, dei responsabili della sua efficienza, si aggiungono quelle del personale «dipendente». Con la riduzione degli organici di 40.000 unità (ottenuta ampliando le esenzioni dal servizio militare obbligatorio, selezionando accuratamente i giovani tenuti a farlo, e con il collocamento a riposo anticipato di alcune migliaia di ufficiali e sottufficiali) molti reparti sono stati aboliti e per gli ufficiali e sottufficiali rimasti c'era assai viva la preoccupazione per il futuro. L'età della messa in pensione è legata al grado: un tenente colonnello va in pensione a 56 anni, se non viene in. tempo la promozione a colonnello, e così via, fino ai 63 anni dei gradi più elevati. Anche se sulla carta la «carriera» non è legata al numero e all'entità dei reparti, in pratica c'è uno stretto collegamento tra «dimensioni» di una forza armata e possibilità di promozione. Lo stato maggiore ha dato il buon esempio, per evitare che il nuovo esercito venisse fuori deforme, con una grossa testa e un piccolo corpo, ed ha ridotto i propri effettivi di 140 unità, di cui 80 ufficiali e 60 sottufficiali. I militari di carriera rimasti, e i nuovi che man mano vengono a sostituire chi se ne va, devono affrontare, tuttavia, altri due grossi problemi: l'aumento del costo della vita e la crisi degli alloggi. Il primo è stato attenuato, se non risolto, dalla legge di rivalutazione delle indennità riservate ai militari. Rimane il problema della casa. «Quando trasferisco un ufficiale — dice il generale Cucino — so di metterlo in una situazione drammatica, quindi ogni volta diventa un caso di coscienza». La soluzione più ovvia è quella di ridurre i trasferimenti al minimo, e così si cerca di fare, nei limiti del possibile. Un'altra soluzione è quella di aumentare il numero degli «alloggi di servizio», situati nelle immediate vicinanze, alcuni all'interno, delle caserme, e di proprietà dell'amministrazione della Difesa, che li destina agli ufficiali, ai sottufficiali e alle loro famiglie. E' stato presentato un disegno di legge che stanzia 30 miliardi all'anno per dieci anni per la costruzione di questi alloggi e per l'adeguamento dei canoni di locazione alle retribuzioni dei militari. Ma la soluzione migliore, la strada maestra da seguire, sta nel facilitare agli appartenenti alle forze armate la proprietà della casa. E un altro disegno di legge dovrebbe ottenere per i militari una parte degli stanziamenti previsti in Italia per l'edilizia economica e popolare, dalla quale gli ufficiali sono sempre stati esclusi, per malintese e ormai superate ragioni di prestigio. Mario Salvatorelli

Persone citate: Andrea Cucino, Cucino, Leopard

Luoghi citati: Friuli, Germania Federale, Italia, Regno Unito