Tre giovani evadono come "l'abate Faria,, attraverso un buco fatto durante l'estate di Alvaro Gili

Tre giovani evadono come "l'abate Faria,, attraverso un buco fatto durante l'estate Sabato notte dalle "Nuove,, approfittando anche della fitta nebbia Tre giovani evadono come "l'abate Faria,, attraverso un buco fatto durante l'estate Hanno perforato il soffitto della cella nel sesto braccio, sono passati in un gabinetto, di qui hanno raggiunto i tetti (camminando sopra l'alloggio del vicedirettore) e poi si sono calati in corso Vittorio con una corda di lenzuola - I "lavori di scavo" fatti durante la sommossa di Ferragosto - Uno è Condorelli, indiziato per l'omicidio Moustafà - Anche gli altri due sono pericolosi Hanno atteso tre mesi, pazientemente, con la libertà a un palmo dalla testa, il momento propizio. Ad agosto, durante i lunghi giorni della sommossa alle «Nuove», avevano forato il soffitto della cella e preparato la strada dell'eversione in tutti i dettagli. Ma non erano fuggiti. Mascherato il passaggio con stucco e vernice, sono vissuti come miti, rassegnati detenuti fino all'altra notte quando sono passati, nel volgere di mezz'ora, all'azione. E sono scomparsi. «Un'evasione da manuale», si commentava ieri in Questura. I fuggitivi sono tre pericolosi banditi, uomini dì primo piano nella malavita torinese. I loro nomi: Rosario Condorelli, 31 anni, da Catania, condannato per sfruttamento della prostituzione, indiziato dell'omicidio dell'algerino Aissa Moustafà Bouherraoua. caduto sotto i proiettili di un killer in un bar di via Principe Tommaso il 21 maggio scorso; Carlo Ale, 24 anni, di Ortonova (Chieti), sarebbe tornato in libertà nel 2002, dopo aver scontato una serie di condanne per rapina, tentato omicidio, evasione, favoreggiamento. Il 16 maggio di due anni fa, insieme a un altro detenuto, era fuggito dal carcere di Lanciano (Chieti) dopo aver ferito gravemente con un colpo di pistola un brigadiere ed aver tentato di prendere in ostaggio il comandan- te degli agenti di custodia. Il terzo è Agatino Bonaccorsi, nato 29 anni fa a Catania, condannato per rapina e tentato omicidio. Secondo le indagini della direzione delle «Nuove», della polizia e dei carabinieri, il terzetto avrebbe progettato e messo a punto l'evasione durante i disordini scoppiati in carcere il giorno di ferragosto e protrattisi per una settimana. Mentre i compagni di braccio protestavano per la mancata riforma carceraria e dei codici, si ammutinavano sui tetti e discutevano per ore ed ore in un'atmosfera di esasperata tensione, Condorelli, Ale e Bonaccorsi se ne stavano tranquilli nella loro cella del sesto braccio e lavoravano di piccone e cazzuola. Fatto un grosso buco nel soffitto, avevano raggiunto un gabinetto soprastante e di qui si erano aperti un varco per giungere sui tetti. Ma fuggire in quei giorni sarebbe stata follìa, con le centinaia di poliziotti e carabinieri in assetto da guerra che presidiavano il carcere, dentro e fuori. Allora i tre detenuti — aiutati certamente da qualche complice esterno che li riforniva del materiale — avevano «stuccato» il grosso buco, con un sottile strato di mastice, l'avevano tinteggiato e «invecchiato» sporcandolo con un po' di terra, per evitare che balzasse all'occhio attento degli agenti di custodia. E' improbabile — gli inquirenti dicono «impossibile» — che Condorelli, Ale e Bonaccorsi abbiano fatto i «muratori» in epoca successiva alla sommossa, senza destare il minimo sospetto e senza far rumore. Solo in quei giorni di caos possono aver preparato la fuga. E poi hanno aspettato. Perché tanto tempo, non si sa. Lo accerterà l'inchiesta. Forse il «via» alla fuga è venuto dall'esterno, dai complici che hanno appoggiato e finanziato l'evasione. Si arriva così a sabato notte. Alle 3, durante il normale controllo notturno, tutto è a posto. Gli agenti non notano nulla di irregolare nella cella dove i tre detenuti fingono di dormire tranquilli. Si allontanano, e alle loro spalle il terzetto si mette all'opera. Il velo di stucco salta alla semplice pressione di una mano, le lenzuola sono legate a formare una fune, e Condorelli, Ale e Bonaccorsi se ne vanno secondo un piano studiato nei minimi particolari. Raggiungono il gabinetto e i tetti, li percorrono leggeri come gatti fino ai cammina- menti delle sentinelle, passano sull'alloggio del vicedirettore, si affacciano sul corso Vittorio, all'altezza del portone principale, si calano con la fune, si immergono nella nebbia che a quell'ora incombe sulla zona. Scomparsi. Nessuno li ha visti, li ha uditi. Nulla. L'inchiesta, adesso, dovrà chiarire tante circostanze, stabilire esattamente il percorso compiuto dagli evasi, spiegare come mai le sentinelle non si sono accorte di nulla, dove si trovava la pattuglia di sorveglianza che tutte le notti staziona nei pressi del carcere. Ma intanto i tre sono tornati liberi e a quest'ora lo. malavita ha già steso su di loro il suo velo di protezione e di aiuto. Di tutti, come si è detto, il più pericoloso è Condorelli, l'uomo del clan dei catanesi, l'organizzazione spietata che in un'escalation di delitti, sparatorie e regolamenti di conti ha soppiantato i rivali algerini e, poche settimane fa, ha affrontato i marsigliesi. L'omicidio dì Moustafà ha segnato l'inizio di questa guerra che ha visto cadere, in pochi mesi, piccoli e grandi boss della mala. Ale è un giovane disposto a tutto, che ha cominciato con i furti, poi è passato alle rapine. Come abbiamo scritto, per evadere dal carcere di Lanciano non ha esitato a sparare addosso a un brigadiere. Nell'aprile scorso, con altri due compagni di cella, aveva tentato di fuggire dalle «Nuove» ma la luce dei riflettori l'aveva «inchiodato», con i complici, contro un muro. Del Bonaccorsi si sa poco: è in attesa di giudizio per alcuni reati, sarebbe dovuto uscire nel 1981. Polizia e carabinieri danno la caccia al terzetto in tutti gli angoli della città. E' convinzione che gli evasi non abbiano lasciato Torino. Alvaro Gili Rosario Condorelli, sospettato di omicidio, è evaso dalle Nuove - Agatino Bonaccorsi (in alto) e Carlo Ale, fuggiti

Luoghi citati: Catania, Chieti, Lanciano, Torino