Un miliardo che nessuno ritira di Emio Donaggio

Un miliardo che nessuno ritira Si gioca sempre di meno al Totocalcio, ma ogni anno... Un miliardo che nessuno ritira Quello del Totocalcio è denaro nero. Nessuno ci fa conto mentre segna i fatali 1, x, 2, sulla schedina con le partite di calcio, pochi sanno che cosa farsene se azzeccano il tredici solitario. Ha festeggiato da pochi mesi i trent'anni di vita ed è sempre come l'oro della Sierra Madre: arrivano i banditi, si prendono gli asini con poche pellicce di lince, disperdono al vento i sacchi di polvere d'oro ballando sul tuo corpo: « Vecchio imbroglione, avevi messo sacchi di sabbia tra le pelli per farle sembrare di più » ti dicono. E cosi muori e sei anche arrabbiato. Molti in questo momento dicono: « Balle, toccasse a me, sì che saprei che cosa farne », ma non è vero. A Massimo Della Pergola, quando lo inventò nel '46, diedero del pazzo. Si chiamava Sisal, bastava fare « dodici », la schedina di una colonna costava 30 lire come un aperitivo, il primo incasso del 5 maggio fruttò un milione e pochi spiccioli: non pagò le spese. Due anni dopo veniva nazionalizzato e gestito dal servizio Totocalcio del Coni cui ha fruttato centinaia e centinaia di milioni. Della Pergola era forse convinto di regalare a tutti noi straccioni, un'opportunità. Il « tredici » è rimasto un sogno, magari coltivato, forzatamente ripreso dopo il risveglio brusco della domenica pomeriggio al momento dei risultati di campionato, ma pur sempre sogno. Abbiamo sempre rifiutato l'immagine della schedina che ci ti- ra per una manica come i disoccupati sudamericani, i fieri invalidi della guerra civile spagnola cui non resta, al mondo, che vendere i biglietti della lotteria nazionale. « Para hoy, para hoy » gridano. E' per oggi, è per oggi. Un'estrazione, un numero, un gol, che dovrebbe riscattare i diseredati. « Siamo più maturi » si è scritto commentando il fatto che l'incasso attuale del Totocalcio è di 300 milioni inferiore alla stessa domenica dello scorso anno. Le cifre dimostrano che siamo ancora maturi. Chi lavora non pensa di risolvere la crisi con i milioni facili, «chiudo bottega, andate tutti a farvi friggere », così come negli anni del boom economico chi era rimasto indietro non inseguiva miraggi: tra il '55 e il '65 c'è una forte flessione tra le giocate. Denaro nero. Dalla prima colossale vincita di 63 milioni in poi, la cronaca registra solo storie tristi. E' l'impietosa vendetta di chi non ha realizzato il sogno e allora registra a caratteri cubitali quanto gli è andato male a quello così fortunato. Il primo si chiamava Amelotti, chi scrive Pietro, chi Giorgio. E' certo che quando era povero fabbricava casse da morto; ora abita in una villa di Bergamo, colleziona opere d'arte, fa del giardinaggio, ma il Fisco gli aveva addebitato tra imposte e multe 70 milioni, sette più della vincita. Prima di vincere la causa, dovette vendere l'appartamento di Milano, rimettersi a fabbricare quelle casse. Per una fortunata, Giuditta Corti che viveva di rendita per case, terreni e una cava di pietra cui andarono ad aggiungersi 44 milioni — piove sul bagnato, dissero tutti — quanti poveri milionari? Giovanni Frigato, operaio torinese da 74 milioni, e Giovanni Cappello, bigliettaio degli autobus di Marsala da 75 milioni, fecero battezzare migliaia di bimbi col loro nome, ma videro sfumare tutto subito, sbriciolata anche la vita di tutti i giorni divenuta improvvisamente lontana e ostile. Non ha rimpianti solo Anna Gleri, che ha speso i suoi 17 milioni per curare il marito morto di cancro sette mesi dopo la vincita; povera portinaia prima come adesso, ma almeno si è comprata una speranza impossibile. Dal settembre del '48, quando la Sisal diventa Totocalcio, abbiamo giocato 1.697 miliardi 981.503 lire ed i vincitori sono stati 10 milioni 899.712 di cui 80.231 sopra il milione. Tutti i massimi vincitori sono anonimi: 862 milioni a Penne di Pescara ('74-75); 413 milioni a Bologna ('70-71); 370 milioni a Milano C74-75); 364 milioni a Erba di Como, Milano, Pontassieve di Firenze C75-76); 352 milioni a Torino e Milano ('74-75) e 344 milioni a Roma C67-68). Il più grande — la sua ombra è accomunata al brasiliano Eduardo Varela Texeira (1 miliardo e 163 milioni) e alla massaia scozzese Nely Fletcher ( 1 miliardo e rotti) — vive a Penne, tra l'Appennino e il mare, probabilmente vicino al Bar Sport di piazza Luca da Penne dove a Pasqua dello scorso anno ha fatto quella giocata. Nessuno se n'è andato da Penne da quel giorno, quindi è ancora lì. Forse ha votato per trent'anni la de, forse è uno degli oppositori di sinistra che solo nel giugno scorso ce l'ha fatta ad entrare in Giunta. Comunque non ha certo cambiato idea, perché è duro, tosto, al punto da continuare il suo lavoro di tutti i giorni. A Penne sono tutti investigatori; ebbene, con quegli 862 milioni, nessuno ha comprato un salotto nuovo, si è fatto la « Ferrari », un'amante costosa. Eccolo qui il giocatore di azzardo tipo: ha vinto, ma è sempre se stesso e non rinuncia al sogno. A Penne è diventata un'ossessione dargli un volto; la maggioranza, dal tabaccaio al parroco, propende per l'uomo del Bar Sport, il barista Liberatore Antonio, anni 72, che replica: « Sarei ancora qui a versare vino?» forte della testimonianza del barbiere: « La scrittura sulla schedina non è la sua ». Poi c'è la moglie del camionista Angelo Fosohini che ha ammesso con le amiche il tipico malore « post-vincita » di un parente. E ci sono fondati sospetti su un ex professore di liceo, gran sistemista; il marmista Andrea Panaccio; il contabile De Bonis; il ragionier Cretara. Ma tutti continuano ad essere barista, camionista, contabile o ragioniere. Eppure è uno di loro. Sembra che vincere al Totocalcio sia come l'acqua per lo sperduto nel deserto: la miglior bevanda del mondo finché non si è trovata; dopo il primo sorso, ci si guarda già intorno per cercare una birra ghiacciata. E si ricomincia a camminare. Lo prova il miliardo e più di lire che ogni anno non viene riscosso dai giocatori. E resta lì, perché qualcuno possa esclamare: « Balle, toccasse a me! ». Emio Donaggio