Rospi e alabarde di Franco Lucentini
Rospi e alabarde L'AGENDA DI F. & L. Rospi e alabarde Il cardinale di Retz, uomo di potete e d'intrigo, derideva gli intellettuali (pbilosophes) del suo tempo, che parlavano e parlavano senza mai combinare nulla, perché — spiegava — erano inetti al maneggio dell'alabarda. E Paul Valéry, il più affilato saggista della prima metà di questo secolo, tratteggiava senza sgomento l'ipotesi che la funzione dell'intellettuale nella società moderna non fosse poi dissimile, tutto ben lucidamente considerato, da quella degli antichi giullari e saltimbanchi di castello. E' un'idea alla quale molti intellettuali non si sono mai rassegnati. Non contare, non influire, subire eternamente gli scrolloni della storia, potrà apparire sopportabile, e perfino naturale, alla donnetta che va a fare la spesa a capo chino, le mani screpolate dai geloni; ma l'intellettuale, direbbe rispettosamente la stessa donnetta, « è uno che sa », che legge, che medita, che possiede quella lente d'ingrandimento meravigliosa, « l'istruzione ». Può costui ammettere d'essere tagliato fuori dai luoghi dove si prendono le grandi decisioni? Tollerare la supremazia di spocchiosi imprenditori che credono Max Ernst un nuotatore della Germania Orientale, di flaccidi ministri che scambiano Tocqueville per una stazione sciistica svizzera? Sotto qualsiasi vernice, il potere è sempre ignorante, rozzo, brutale, molto efficiente nel maneggio dell'alabarda, e di fronte ad esso l'intellettuale ha la scelta fra tre atteggiamenti. O trova un modo più o meno aristocratico per tenersene accuratamente lontano; o si mette al suo servizio con l'illusione di controllarlo e dirigerlo, e con risultati di solito giullareschi; oppure tenta di fabbricarsi un'alabarda in proprio. Così nacque, circa due secoli fa, l'ideologia, un'arma che lascerebbe a bocca aperta il cinico cardinale, se tornasse nel mondo dei vivi. La sua asta lunghissima, elastica, finemente intarsiata, è fatta di libertà, cultura, giustizia, speranza, umanità e di tutti i più pregiati legni del vocabolario; il suo impiego è ormai così facile e diffuso che un philosophe cinematografico se l'è presa di recente con un film come Taxi driver perché « non ha un'ideologia », la cosa parendogli evidentemente grave quanto un pessimo cast di attori o un montaggio confuso. Distribuita nelle scuole elementari insieme al consiglio di lavarsi i denti tutte le sere, raccomandata e reclamizzata non meno dei motorini e dei detersivi, l'alabarda ideologica ha inoltre il vantaggio, in Italia, di non costare niente. — Come potete farne a meno? — ci ripete un amico che se la porta sempre appresso. — E' talmente comoda, talmente pratica... — Eh, certo che anche noi, alle volte... — Non si può vivere così alla giornata, senza una prospettiva, senza un inquadramento che aiuti a capire quello che succede. — A chi lo dici! Sapessi la fatica di stare sempre a misurare i prò e i contro, i torti e le ragioni... — Appunto. E poi, non vedete la bellezza, il sollievo di non sentirsi soli, emarginati, impotenti? La gioia di far andare le cose come dovrebbero andare, o comunque di provarci? — E' vero, è vero. — E il nemico? Come fate a tirare avanti senza sapere chi è il nemico? — Perché tu lo sai? — Con l'ideologia lo so, eccome! Da qualunque parte piovano le botte, le sorprese, uno si raccapezza sempre, non sta lì a prenderle come un pulcinella qualsiasi. — Beato te, perché noi,, in certi momenti, ci sentiamo proprio un po' persi. — Ecco. La mancanza d'ideologia genera smarrimento, che porta al pessimismo cronico, che conduce al cinismo, da cui proliferano l'abulia, l'alcolismo e il marasma senile. Venite, venite, v'invito a pranzo, ne riparleremo con calma a tavola. Il ristorante, situato in una viuzza poco illuminata, si chiama Au petit crapatid. — Cos'è? Un ristorante francese? — No. una volta si chiamava Antica osteria dei due rospi, con alloggio. Ma l'hanno voluto modernizzare, sapete com'è. — E come si mangia? — Benissimo. Cucina internazionale. Entrate, entrate, che vi troverete bene. Il locale è pieno di gente con l'alabarda accanto, che mastica — notiamo — senza particolare entusiasmo. Il nostro amico saluta e viene salutato a destra e a sinistra mentre avanziamo verso un tavolo libero. E un attimo dopo, già sta arrivando un cameriere con un largo vassoio fumante. — E' il piatto del giorno, — spiega allegro il nostro amico. — Vedete che prontezza? Su, servitevi, non fate complimenti. Nel vassoio c'è un grosso rospo. — Ma quello è un rospo, — diciamo stupefatti. — Un rospo? Dove? — Lì dentro. — Ah, ah, — ride il nostro amico. — Per favore Luigi, illuminali un po' tu. — Questo, — dice con sufficienza il cameriere Luigi, — è un batrace fresco del Volga in salsa cilena. — A noi sembra un rospo. Il rospo dello scambio Bukovskij-Corvalan. Il nostro amico diventa scarlatto. — Che dite mai? — ribatte incollerito. — Quello non è stato un rospo, ma una saggia decisione che ha sal: vato da morte certa un valoroso alabardiere e nel contempo» — Può darsi. Ma la decisione è stata presa a vostra totale insaputa, sopra le. vostre teste, e proprio mentre voi facevate il diavolo a quattro per non lasciar giocare i tennisti italiani in Cile. — Che c'entra? Una semplice coincidenza. — Un semplice rospo. Guardandoci con aria di sfida, il nostro amico trasferisce nel suo piatto un'abbondante porzione di rospo, e comincia a mangiare sotto i nostri occhi inorriditi. — Ottimo, — si complimenta con Luigi. — Veramente squisito. Ma lo sforzo si vede, come lo si vede in quasi tutti i clienti del locale. C'è una minoranza di viziosi che non ne può più fare a meno, che assapora voluttuosamente il rospo proclamandolo superiore a qualsiasi altro piatto. Alcuni cercano invece di convincersi che il rospo, per certe sue speciali proteine, fa bene, mentre altri, le guance incavate, l'occhio allucinato, esibiscono i segni di un lungo, tormentoso e tuttavia compia¬ ciuto disgusto. I più immaginosi lo trangugiano pensando che sia pollo, sogliola, pasticcio di lasagne. I più disinvolti dissertano con ironica eleganza sul modo migliore di cucinarlo. I più anziani sostengono che forma il carattere, che il buon alabardiere si riconosce dai rospi che ha saputo mandar giù, e rievocano sospirando i grandi, famosi rospi del passato comparandoli con quelli del presente. I rospi dei processi staliniani, serviti col prezzemolo delle pubbliche confessioni ma, sotto, interamente crudi; il rospo-gigante del patto russo-tedesco del '39; il goulash del rospo ungherese; il rospo affumicato di Praga; il rospo spaccato al burro del muro di Berlino; i rospettini alla brace di Polonia, quelli cubani al rum, quelli di scoglio jugoslavi, lo spezzatino di rospo cinese, alle mandorle... Il nostro amico non è un fanatico, né un onnivoro, il suo stomaco è normale. Lo dimostrano il pallore del suo volto, le goccioline di sudore sulla sua fronte. ■—■ E va bene, — ammette infine, ingoiando un enorme pezzo di pane, per aiutarsi, — ma le cose stanno cambiando. Stiamo portando avanti un approfondito dibattito su questi... animaletti, che sono del resto ecologicamente necessari, e prepariamo un modo completamente nuovo, radicalmente diverso, di gestire la nostra alabarda. Guardiamo l'arma snella e lucente, appoggiata al muro, vicino all'attaccapanni carico di loden e giacconi di pelle. Sarà. A noi, tolto qualche particolare ornamentale, sembra sempre l'alabarda del cardinale di Retz. Les grandes affaires, come lui li chiamava, continuano a essere trattati da pochissimi potenti, chiusi in stanze segrete, indifferenti al parere della donnetta e dell'intellettuale. Forse (ma non è detto) alcuni di loro sanno chi è Tocqueville, tengono nello studio un quadro o un arazzo di Max Ernst. Ma è troppo poco. Au petit crapaud, prevediamo, resterà aperto ancora per molto tempo. Carlo Frutterò Franco Lucentini
Persone citate: Bukovskij, Carlo Frutterò, L. Rospi, Max Ernst, Paul Valéry, Tocqueville
Luoghi citati: Berlino, Cile, Germania Orientale, Italia, Polonia, Praga
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