Solo quattro condanne per i 42 sciatori morti di Franco Giliberto

Solo quattro condanne per i 42 sciatori morti Al processo per la tragica funivia Solo quattro condanne per i 42 sciatori morti Pene da 3 anni e mezzo a 2 anni e 6 mesi a presidente, direttore tecnico, capo servizio e macchinista dell'impianto di Cermis (Dal nostro inviato speciale] Trento. 29 dicembre. I giudici hanno rifiutato la tesi della fatalità. Quarantadue sciatori precipitati con la cabina funiviaria su cui viaggiavano verso Cavalese (la sciagura del Cermis del 9 marzo scorso) non hanno perso la vita per un imponderabile incidente: il tribunale ha indicato precise responsabilità. Dopo sette ore e mezzo di camera di consiglio il presidente del collegio giudicante dott. Latorre ha procunciato una sentenza di condanna per quattro dei sei imputati di omicidio plurimo e disastro. Aldo Seno, presidente della società funiviaria «Alpe Cermis», ha avuto 3 anni e 6 mesi, alla stessa stregua di Carlo Schweizer, che guidava la cabina da una stazioncina dell'impianto di risalita, e di Rinaldo Chisté, caposervizio titolare della funivia. Il direttore d'esercizio e tecnico responsabile dell'impianto, ing. Arturo Tanesini, è stato invece condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena. II tribunale ha ordinato la scarcerazione immediata di Schweizer, Chisté e Tanesini, gli unici tre imputati giunti al processo in stato di detenzione. L'annuncio della libertà provvisoria concessa loro dai giudici è stato accolto con un applauso, questo pomeriggio alle 17 dal folto pubblico che aspettava la lettura della sentenza. Pochi secondi più tardi hanno tirato un sospiro di sollievo gli ultimi due imputati, l'ing. Rinaldo Fellin e il suo segretario Alfredo Ioratti, dell'Ispettorato generale dei trasporti: il tribunale li ha assolti dall'accusa di non aver compiuto i dovuti controlli sulla gestione della società funiviaria. Quest'ultima è stata condannata a liquidare in separata sede i danni. Ma al processo del Cermis si era giunti con il terreno già quasi del tutto sgombro da istanze di risarcimento. «Alpe Cermis» e compagnie assicuratrici avevano tacitato i parenti degli sciatori morti, distribuendo un miliardo e 200 milioni circa. Soltanto le famiglie Rustia e Alano erano rimaste in causa, costituendosi parti civili, per avere un verdetto «giusto», che nemmeno un po' fosse mitigato da uno scambio di quattrini. Giorgio Rustia (fratello di Fabio, morto con moglie e due figli nella cabina) questo pomeriggio commentava: «Non volevamo vendetta, siamo rimasti nel processo per sostenere una tesi precisa: primo, che la funivia del Cermis era gestita con inammissibile leggerezza; secondo, che qui come in molti impianti di risalita italiani è consentito violare alcuni elementari principi antinfortunistici, facendo viaggiare le cabine anche se scat- tono i dispositivi automatici di sicurezza che bloccano la corsa. Ci batteremo fino in fondo per dimostrare che questa assurda realtà ha bisogno di esser cambiata, con una legge. Vogliamo difendere la memoria di Fabio, di sua moglie e dei due bambini con un'azione che impedisca in futuro altre tragedie come quella del Cermis». Questa dichiarazione fa pensare a un ricorso in appello dei Rustia. Che della morte di 42 sciatori si occupino i giudici in secondo grado è del resto scontato: i difensori di tutti gli imputati avevano chiesto l'assoluzione per i loro patrocinati e non accetteranno il verdetto di condanna; il pubblico ministero aveva chiesto pene doppie rispetto a quelle decise dal tribunale — oltre alla condanna di Fellin e Ioratti per omissione d'atti d'ufficio — e a sua volta avrà qualche obiezione da muovere. Appena la sentenza sarà depositata in cancellerìa con le motivazioni, si awierà dunque un nuovo procedimento giudiziario. In quest'attesa, le considerazioni sul verdetto emesso oggi si possono raggruppare in quattro punti significativi. 1) Il tribunale ha accomunato nella responsabilità della sciagura il presidente della società funiviaria (che aveva detto d'essere un «amministrativo», assolutamente inesperto di problemi tecnici) e tre dipendenti direttamente addetti al funzionamento dell'impianto. 2) L'errore del macchinista Carlo Schweizer (che avrebbe escluso i sistemi di sicurezza dopo che l'impianto s'era bloccato, per «finire la corsa» prima d'accertarsi delle cause del guasto) è stato ritenuto determinante, anche se i periti d'ufficio l'avevano semplicemente ipotizzato descrivendo un probabile accavallamento delle funi. 3) La condanna dei quattro imputati appartenenti alla «Alpe Cermis» dimostra che il tribunale non ha creduto alla fatalità, ma nemmeno al gravissimo errore di una persona soltanto (lo Schweizer), che era stata assunta e incaricata di guidare la funivia, pur non essendo abilitata alla mansione con un esame presso l'ispettorato generale dei trasporti della Provincia. 4) L'assoluzione dei due funzionari della Provincia ha probabilmente origine in una carenza legislativa. I giudici non se la sono sentita di condannare Fellin e Ioratti, perché le loro verifiche e ispezioni dell'impianto funiviario sarebbero state costanti e adeguate per quanto riguarda gli aspetti meccanici: manutenzione di motori e cavi, grado d'usura delle attrezzature, funzionalità dei meccanismi, eccetera. Il tribunale, in mancanza di una legge che obblighi l'ente pubblico a precisi controlli anche sulle capacità del personale impiegato dalle funivie, forse si è rammaricato della lacuna, ma non si è voluto sostituire al legislatore. Quest'ultimo è il lato aberrante, se non della sentenza, della situazione in cui operano oggi le funivie in Italia, con i sistemi di sicurezza eliminabili grazie a un interruttore. Il processo del Cermis durante undici giorni di udienza, ha più volte portato alla ribalta il problema; le cronache giornalistiche l'hanno sottolineato. Chissà se 42 morti e un pubblico dibattito dinanzi ai giudici basteranno a far esaminare la questione in sede ministeriale. Franco Giliberto

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