Strehler e il teatro per i ragazzi
Strehler e il teatro per i ragazzi Strehler e il teatro per i ragazzi (Dal nostro inviato speciale) Milano, 23 dicembre. «Spettacolo per bambini e per grandi», e fatto dagli uni c dagli altri, La storia della bambola abbandonata, alla piccola Scala, è il primo cimento di Giorgio Strehler (per il momento lascerei a parte Arlecchino) in un genere di teatro cos'i diffìcile. Già, ma quale teatro: per i ragazzi, dei ragazzi, con i ragazzi? Da tempo se ne discute e non è vero, grazie a qualche Stabile e ora anche a qualche cooperativa, che «il nostro — come è scritto nel programma — sia uno dei paesi che meno si preoccupa dei bambini». £' l'ero se mai che se ne occupa in modi talvolta sconcertanti Strehler ne propone uno che gli sembra l'unico giusto: «Il teatro per bambini dev'essere un teatro per uomini più piccoli... nel quale gli altri, i grandi, possano divenirsi». Onesta tornitila, che si potrebbe benissimo rovesciare (ed ecco Arlecchino, in verità spettacolo per i grandi nel quale anche i piccoli possono divertirsi), è affascinante ma non tiene conto di quanto si è fatto, e tuttora si fa, in questo campo; Strehler, voglio dire, non fa teatro con i ragazzi, quel teatro insomma che nasce dal lavoro d'animazione e che vuole i ragazzi autori e interpreti, sia quelli che recitano sia quelli che, più che assistere alla rappresentazione, dovrebbero partecipare e «farla» anch'essi. Anche se nello spettacolo del «Piccolo» venti piccoli attori hanno «guidato», a quanto si afferma, il regista, gli attori «grandi» e gli altri collaboratori (ma in un teatro «con» i ragazzi, a rigore, dovrebbero cambiare ad ogni recita). La storia della bambola abbandonata è semplicemente teatro «per» i ragazzi, come se ne è sempre fatto. Con una differenza, notevolissima: che qui è fatto bene, benissimo, e la onore a Strehler non meno di altri suoi più famosi spettacoli. E, probabilmente, gli è costato maggior fatica, anche da un punto di vista drammaturgico. Spinto dagli stessi bambini che, egli scrive, volevano saperne di più di un certo Brecht lo era lui che si struggeva di informarli?), Strehler ha ampliato il disegno di una commedia dello spagnolo Alfonso Sastre, che già si richiamava a Brecht, inserendo in essa il brechtiano Cerchio di gesso del Caucaso, chiaramente ed efficamente sintetizzato in tre scene: due come sogni di bambini, la terza — un aggiornamento del giudizio di Salomone secondo Brecht — per suggerire il modo di risolvere la contesa tra Pacha, bimba povera, e Olita, bimba ricca, per il possesso di una bambola buttata via da quest'ultima e raccolta e amorevolmente restaurata da quella. Ricorrendo a Brecht, il regista ha potuto agevolmente insegnare e fare applicare ai piccoli attori, oltre che illustrarli ai piccoli spettatori, i canoni del teatro epico e senza, s'intende, che ci fosse bisogno di spiegarne la teoria. Ed è questo uno degli esiti positivi, anche pedagogicamente, di uno spettacolo che, entrando e uscendo gli interpreti dai loro personaggi, e distanziandosene in un modo che per i ragazzi del resto è naturale, è anche un mezzo per mostrare conte si fa teatro. Il che consente a Strehler di far sfoggio dei suoi mirabili effetti da teatro cinese — il fiume, le montagne, la neve, il ponte sospeso — e ai suoi bravi attori (citiamo per tutti Narciso Bonati, Ottavio Fanfani e Gianfranco Mauri) di trasfigurare i loro umili personaggi in quelli, da sogno e da favola, degli inserti dei Cerchio di gesso. Tutto lo spettacolo è curato con estrema attenzione, dalle scene e i costumi di Luciano Damiani alle musiche di Fiorenzo Carni, ai movimenti mimici di Marise Flach, e i venti bimbi s: muovono con una disinvoltura e una bravura forse eccessive, quasi da ragazzi-prodigio. Successo grandissimo, proprio come alle «prime» del «Piccolo», ma sarebbe stato interessante osservare le reazioni di una platea diciamo più genuina di quella di ieri pomeriggio, affollata sì di ragazzi ma anche, e più. di adulti. Alberto Blandi
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