I quattro colpi di Radio Londra

I quattro colpi di Radio Londra PICCOLA STORIA DI IERI I quattro colpi di Radio Londra Chiedevo giorni fa ad una bella e intelligente signora poco più che quarantenne, la cui famiglia al par della nostra era « sfollata » in un paesino del Biellese dopo i primi bombardamenti di Torino, quale fosse il ricordo più vivo rimastole di quegli anni e di quei luoghi. Mi aspettavo che menzionasse qualche aspetto dei disagi e del trambusto della guerra. Con mia sorpresa il suo primo aggancio con quel passato per lei tanto remoto fu invece un altro: il ricordo delle viuzze oscurate e deserte e del silenzio rotto appena da pochi colpi ritmati — i quattro colpi di « Radio Londra », la cui eco attutita filtrava dalle porte e dalle finestre sbarrate e costituiva per i « grandi » il segnale di una rischiosa incursione, ripetuta ogni sera, in territorio nemico. « E poi sa », aveva soggiunto la signora, « lo sapevamo benissimo che era proibito! ». A otto, dieci anni, i bambini di allora la sapevano già lunga sui rischi che correvano i grandi, e ne serbano ancora il ricordo, più di quanto non lo serbiamo noi, che a girar la chiavetta per ascoltar Radio Londra non ci pensavamo più che tanto, così generale, così unanime era la disubbidienza al divieto e la sfida alle pene comminate per quell'ascolto. « La diffusione e il successo di Radio Londra in Italia sono ben presenti nella memoria di quanti hanno vissuto quegli anni, anche se quel "fenomeno di massa" non è ancora stato considerato in modo autonomo dagli storici ». Con queste parole Maura Piccialuti Caprioli introduce e giustifica la pubblicazione sotto l'egida del ministero per i Beni Culturali, di due grossi volumi che raccolgono il frutto di un paziente lavoro: una compiuta rassegna delle trasmissioni inglesi per l'Italia dal dicembre '39 al febbraio '46 (Radio Londra, ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXXXIXXC, Roma, 1976). La serie (incompleta) dei testi scritti di quelle trasmissioni si conserva in originale presso l'archivio centrale della British Broadcasting Corporation e ora, dal 1970, in microfilm presso l'archivio centrale dello Stato. L'autrice ce ne presenta un inventario analitico, integrato da ulteriori ricerche in collezioni italiane, pubbliche e private. Nessun dubbio che i due volumi riempiano una lacuna e costituiscano, come si suol dire, un prezioso contributo ad ogni studio ulteriore dell'argomento. Ma per coloro che, come molti di noi, quasi quotidianamente le seguirono, quelle trasmissioni, sfogliare queste pagine è un po' come ritrovare delle vecchie conoscenze, spesso anzi dei vecchi amici. Vecchia e non dimenticata conoscenza quel colonnello Stevens, resosi immensamente popolare con gli ascoltatori italiani non soltanto per quell'impagabile « buonasera » con cui iniziava e concludeva i suoi discorsi, ma per il calore e la penetrazione dei suoi commenti, che raramente mancavano il bersaglio. Unico portavoce dell'Italia/! Service of the BBC durante il periodo della non-belligeranza ed i primi m?si del conflitto, Stevens, come tanti inglesi, aveva per l'Italia e per gli italiani una simpatia sincera, e la guerra dichiarata da Mussolini all'Inghilterra appariva ai suoi occhi come il tradimento della secolare amicizia dei nostri due paesi. Non si rileggono senza commozione le parole che egli pronunciava la sera del 10 giugno 1940: « Consentite che per una volta vi parli dei miei sentimenti profondi, per dirvi che questa è la giornata più dolorosa della mia vita ». Poco alla volta, nel corso del conflitto, il personale delVllalian Service venne poi arricchendosi di numerosi collaboratori, e fra questi ritroviamo non pochi nostri compatrioti ed amici, esuli in Inghilterra per ragioni politiche o « razziali », come Paolo e Piero Treves, Umberto Calosso, Ruggero Orlando, Mario Sarfatti, Elio Nissim, Uberto Limentani, insieme ad inglesi nostri aficionados da lunga data, come Cecil Sprigge, Leo Shepley ed altri ancora. Era naturale che venissero chiamati a raccolta, oltre ai migliori conoscitori della situazione italiana, quanto di meglio poteva offrire l'emigrazione antifascista; meno facile penso sarà stato coordinare in un intento comune opinioni diverse che si sarebbero un giorno nuovamente divise nel clima della ricuperata libertà. L'intento, evidentemente, era un intento bellico, la scon¬ fitta del fascismo, e sotto questo profilo si può dire che Radio Londra fu uno degli esempi più riusciti dell'efficacia dell'arma radiofonica nella condotta della guerra. Ma bisogna riconoscere anche, come giustamente osserva l'autrice della raccolta nella sua pregevolissima introduzione, che l'impiego di quest'arma nei nostri riguardi fu straordinariamente favorito dal bisogno di notizie esistente in Italia, in conseguenza della scarsa attendibilità dei mezzi di informazione fascisti e della crescente diffidenza verso di essi. Il valore delle notizie trasmesse dalla BBC era poi ulteriormente rafforzato dalla obbiettività con cui venivano comunicate anche quelle sfavorevoli all'Inghilterra e dalla rigorosa distinzione tra informazione e commento, nella convinzione che la conoscenza dei fatti sarebbe stato il mezzo migliore per aprire gli occhi agli italiani. Una frase, contenuta in una delle direttive del Foreign Office alla BBC, potrebbe servire come motto di tutto quanto l'operato di Radio Londra in quegli anni: « Il nemico più pericoloso, per Mussolini, è la verità ». Seguire, come ora è possibile, queste trasmissioni di mese in mese e si può dire di giorno in giorno, significa per noi anziani rivivere la tensione di quegli anni terribili, la dilacerazione soprattutto che provavamo ogni sera quando da coloro che ufficialmente erano i nostri nemici ci giungeva una parola amica, suscettibile ad un tempo di appagarci e di rincuorarci, col farci intravedere come possibile, anzi come prossima, la fine sognata del « duro servir ». Non sarebbe possibile spiegar altrimenti come Radio Londra potesse diventare la voce più attesa da migliaia e migliaia di italiani, e come fra questi e i loro interlocutori d'Oltremanica venisse a stabilirsi una vera e propria corrispondenza di simpatia e di fiducia che andò crescendo col succedersi degli avvenimenti fino a cancellare persino il ricordo del mussoliniano Dio stramaledica gli inglesi. E' soltanto sul finir del conflitto che si manifestano i segni di un atteggiamento critico nei confronti della BBC. Lo rileva acutamente l'autrice della raccolta nel capitolo dell'introduzione dedicato all'ascolto in Italia, dove sono ampiamente illustrate le ragioni del fallimento delle disposizioni penali e della contropropaganda dell'EIAR con cui il regime cercò di contrastare il successo della radio nemica. Quello che minacce e lusinghe non erano riuscite ad ottenere, lo fecero le dure esigenze della realtà internazionale, che gradualmente rivelavano le linee direttive fondamentalmente conservatrici della politica inglese nei nostri riguardi. Fu allora che l'Inghilterra perdette molti degli amici che si era conquistati in Italia, paradossalmente, proprio durante il conflitto che aveva opposto le due nazioni. Ma la causa più profonda di tale disaffezione va forse ricercata piuttosto sull'altro versante, su quello italiano. Mi sembra infatti che abbia perfettamente ragione la signora Piccialuti in ciò che scrive, quasi a conclusione della sua interessantissima indagine: « Che alla fine del conflitto gli antifascisti italiani non si riconoscessero più nei giudizi e nelle affermazioni di Radio Londra, che pur per anni avevano condiviso, è spiegabile: dalla caduta del fascismo alla completa liberazione del paese, quell'unità d'intenti che si era trovata per sconfiggere il nemico — /'/ fascismo — già tendeva a differenziarsi nelle diverse convinzioni ed esperienze delle forze politiche che erano confluite nella Resistenza italiana ». A. Passerin d'Entrèves