Ci attende un duro '77 di Francesco Forte

Ci attende un duro '77 Le previsioni economiche Ci attende un duro '77 Siamo prossimi alle feste natalizie e l'economista vorrebbe poter fornire notizie e previsioni rasserenanti. Purtroppo però non è possibile. In novembre l'indice dei prezzi al consumo per impiegati ed operai è aumentato del 2,1 per cento. Nel mese di ottobre si era avuto un altro aumento cospicuo: il 3,4 per cento. Nessuno vorrà consolarsi — spero — con la constatazione che la percentuale di aumento è diminuita. Siamo sempre nell'ordine di cifre che, tradotte in termini di aumento annuo, significano maggiorazioni del 25 per cento del costo della vita. E' una prospettiva pessima. Appaiono pallidamente lontani, nel confronto, i moderati ritmi di aumento che avevamo potuto avere in giugno, luglio ed agosto: rispettivamente dello 0,6 per cento, dello 0,5 per cento e dello 0.9 per cento. Come mai questo è successo? Il fatto è che la lira ha avuto, sul finire dell'estate, una crisi brusca. E per evitare che il suo cambio con il dollaro scivolasse rovinosamente, in una spirale speculativa, si è introdotta una tassa del 7 per cento sugli acquisti di valuta la quale, ovviamente, ha rincarato tutte le importazioni di un 7 per cento. Ci sono stati poi ritocchi fiscali — come quello sulla benzina — che hanno agito sui prezzi, in alcuni casi direttamente in altri casi indirettamente, per motivi psicologici. Insomma le misure di emergenza per la lotta all'inflazione — anche perché prese tutte di un colpo tardivamente — hanno dato un po' di alimento alla stessa in ottobre. E adesso? Innanzitutto, si deve ricordare che gli scatti della scala mobile, che seguono a tre mesi di distanza i rincari di costi della vita, fanno aumentare i costi del lavoro e spingono le imprese a ritoccare i listini: magari anche in anticipo, per precauzione. Quindi il focolaio di inflazione perdura. Anche se la scala mobile non è causa, ma effetto dell'inflazione, rimane pur vero che si tratta di un effetto che concorre a mantener in vita la causa. Ma è finita qui? No, purtroppo, la vicenda inflazionistica registra anche altri fatti nuovi, che danno ulteriori preoccupazioni. Mi voglio riferire al rincaro del petrolio, che è stato deciso sabato dai Paesi produttori. Tenuto conto dei Paesi che praticheranno un rincaro modesto (il 5 per cento dell'Arabia Saudita) e dei Paesi che faranno un rincaro maggiore (il 10 per cento sino al luglio e un altro 5 per cento dal luglio in avanti) l'aumento si potrà aggirare nell'anno su un 8 per cento. L'onere potrebbe ridursi, se sapremo districarci fra le grandi compagnie petrolifere internazionali, che magari diranno di aver subito rincari, ma non lo subiscono, perché i produttori, per la con correnza fra loro, potranno ri manere al di sotto dell'8 per cento medio che si è detto. L'8 per cento di aumento vuol dire circa 300 miliardi di un rincaro dei fattori energetici contenuti nei vari prodotti industriali e commerciali; 150 miliardi di un aumento del prezzo del riscaldamento (per fortuna dalla prossima stagione) e per 70 miliardi di un maggior onere per la benzina. A meno che non si voglia scaricare tutto l'aumento sulla benzina: nel qual caso questa dovrebbe aumentare di 25 lire il litro. Vi è poi un pericolo, che è anche più grave del fatto del rincaro del petrolio, per sé preso: e cioè che considerando il maggior onere per la nostra bilancia dei pagamenti, pari a circa 500 miliardi di lire, si abbia una flessione ulteriore della lira, ingigantita, come spesso è accaduto in passato, dalle manovre speculative. Tante volte, in campo monetario, il sassolino è divenuto valanga. Non si tratta di buone notizie, come si vede. E' necessario ricordare che i prezzi aumentano, negli Usa e in Germania, a un ritmo attorno al 5 per cento; in Francia a un ritmo forse del 10 per cento. Nel 1976 il nostro aumento supera il 20 per cento. Questo, ripercuotendosi sui costi, indebolisce la nostra capacità di concorrenza internazionale. Dato ciò vi è il rischio che la lira — tolta la tassa sugli acquisti di valuta — perda rapidamente valore, nei confronti delle monete pregiate, assestandosi su un corso pari a quello che ha adesso, al lordo di tale tassa. Il che vorrebbe dire che il problema dell'inflazione si trascinerebbe pericolosamente anche nel 1977 con ritmi superiori al 20 per cento: è una serpe velenosa, nel seno dell'organismo sociale. I sindacati dei lavoratori hanno fatto, sia pure problematicamente, alcune concessioni tendenti a ridurre il costo del lavoro, come la rinuncia alla scala mobile per le indennità di anzianità, l'accettazione di orari straordinari, dei turni notturni e festivi in misura più ampia che ora, le festività infrasettimanali lavorate senza aumento di retri¬ buzione, maggiore mobilità. Ma sfortunatamente molte di queste misure giungono tardi: sono efficaci a ridurre il costo del lavoro se la domanda è molto alta e quindi vi è la possibilità di fare tanta produzione, quindi di utilizzare realmente gli straordinari, i turni extra, i giorni di lavoro addizionali. Ricordo anche che il blocco della scala mobile per le retribuzioni sopra sei milioni va allo Stato, non alle imprese. Ma l'accordo Fiat-Libia — si domanderà — non apre all'Italia prospettive interessanti? Questo è vero. L'apporto valutario che esso dà alla bilancia dei pagamenti italiana, potrà rafforzare un poco la lira nel 1977, anno così difficile per noi. Inoltre — e soprattutto — esso ci dischiude possibilità interessanti di collaborazione con i Paesi produttori di petrolio, in modo da poter pagare una quota maggiore di questa materia prima con il nostro lavoro. Ma perché questa buona prospettiva maturi, ci vuole un po' di tempo. E nel frattempo, vi è da superare un duro 1977, con le sue incognite di inflazione e di eventuale deflazione connessa alla lotta a tale inflazione. Non voglio, adesso, suggerire nuove ricette. Vorrei che tutti meditassero su queste osservazioni, amare ma necessarie. Francesco Forte

Luoghi citati: Arabia Saudita, Francia, Germania, Italia, Libia, Usa