Tragita funivia: un tanto a morto Qualche milione in più ai tedeschi di Franco Giliberto

Tragita funivia: un tanto a morto Qualche milione in più ai tedeschi I retroscena del processo per la sciagura di Cermis Tragita funivia: un tanto a morto Qualche milione in più ai tedeschi Quasi tutte le famiglie sono state tacitate, soltanto un milanese che ha avuto tre familiari tra le vittime ha rifiutato il risarcimento; segue il processo giorno per giorno: vuole giustizia (Dal nostro inviato speciale) Trento, 18 dicembre. Immaginiamo che a questo processo sulla funivia della morte i familiari delle quarantadue vittime si fossero rivolti ad altrettanti avvocati, chiedendo la costituzione di parte- civile. Oggi l'aula del tribunale di Trento, che pure è spaziosa, non riuscirebbe a contenere tanti difensori. E poi, ben diverso sarebbe l'andamento del dibattito se una quarantina di avvocati di parte civile fossero qui a sollevare obiezioni per ogni testimonianza; se ad ogni versione ambigua o reticente sulle possibili cause della disgrazia si alzassero a interrompere testimoni e imputati, pretendendo che il cancelliere mettesse a verbale anche le più piccole incongruenze sospette di malafede. La società «Alpe Cermis» proprietaria della funivia non a caso ha cercato di liquidare le famiglie delle vittime prima dell'inizio del processo, ottenendo in cambio l'uscita delle parti civili. Si dice che abbia sborsato circa 350 milioni, mentre altri 870 sarebbero stati versati dalle compagnie assicuratrici (Sai, Generali, Lloyd Adriatico, Toro e Usa). Al gruppo di parenti delle diciannove vittime tedesche sarebbero stati assegnati 650 milioni, il resto ai ventitré nuclei familiari italiani. Facendo un poco garbato paragone statistico, i primi hanno ottenuto in media 34 milioni «per morto», i secondi 24 milioni. Lo stridore di questo argomento non è evitabile, fa parte della cronaca processuale. Alessadra Piovesana, la studentessa milanese unica superstite della disgrazia, ieri sera è tornata a casa con padre e madre, dopo che l'aw. Barbato — difensore della «alpe Cermis» — aveva accondisceso a una liquidazione di 50 milioni di lire per il suo ritiro dalla scena. Alessandra cammina con una stampella, i postumi delle lesioni riportate sono evidenti. Se entro qualche anno, a cure ultimate, non si sarà completamente ristabilita, c'è un accordo perché le sia corrisposto un conguaglio al di là dei 50 milioni già ottenuti. Alessandra rappresenta la quarantesima «parte civile» tacitata. La madre di una sua compagna di scuola, signora Alano (patrocinata dall'avv. Canzi come Alessandra) a sua volta è sul punto di cedere. Ha perduto nella sciagura la figlia Francesca; le è stata fatta un'offerta di 20 milioni. «E' una cosa terribile — commenta l'avv. Canzi — mercificare i morti, parlare con i genitori di risarcimenti più o meno adeguati. Eppure in questi casi si deve sempre affrontare lo sgradevole risvolto. Chi può impedire ai protagonisti di pensare che è disumano valutare un tedesco più di un italiano oppure la morte di una ragazza meno importante della sopravvivenza di una sua coetanea, pur ridotta a mal partito?». Anche le trattative per la famiglia Alano comunque sono destinate ad andare in porto. La quarantunesima parte civile lascerà l'aula del tribunale, il terreno è quasi sgombro per i difensori degli imputati. Ma dietro alla casella 42 dell'elenco delle vittime c'è un personaggio inamovibile: Giorgio Rustia, 37 anni, milanese. E' il fratello di Fabio Rustia, morto nella cabina precipitata il 9 marzo scorso assieme a sua moglie e a due figli. Quest'uomo dal giorno della sciagura vive per ottenere giustizia, non ha mai voluto nemmeno cominciare a parlare di liquidazioni (la società «Alpe Cermis» ha di sua iniziativa offerto 20 milioni per i quattro Rustia morti). Si è rivolto a tre avvocati (Piscopo, Battello e Monari); è l'unico a non perdere una battuta del processo, a non lasciare l'aula delle udienze nemmeno per un attimo, anche durante la sfilata di testimoni poco importanti. Riempie taccuini di appunti, sollecita i propri avvocati a porre domande, a contestare evidenti false affermazioni di imputati, a pretendere dai tecnici interrogati risposte fondate. Addetto al settore infortunistica di un reparto industriale con 150 dipendenti, è un esperto di sistemi di protezione dagli infortuni. Si è rivolto ai maggiori progettisti di impianti funiviari, ha il conforto di perizie universitarie sulle cause della sciagura. Sostiene: « Se al Cermis la Società con i suoi dipendenti avessero rispettato le norme previste dalla pur lacunosa legge, la cabina non sarebbe precipitata. Una serie di macroscopiche inadempienze e la manomissione dei meccanismi di sicurezza hanno provocato il disastro. Io sono qui a chiedere giustizia per la morte di mio fratello, di mia cognata e dei miei nipoti, ma anche per cercare di dare un contributo all'eliminazione di tanti assurdi e pericolosissimi sistemi di gestione delle funivie. Mi batto perché non accadano altre disgrazie simili». «Giorgio Rustia allarga il l r i e a i a e discorso, parla di soluzioni tecniche «possibilissime», che automaticamente eliminino tutti gli errori umani. «Se esiste qualche incosciente che dopo i collaudi, come pare sia capitato al Cermis, manomette gli automatismi e i programmatori delle corse — aggiunge Rustia — è sempre possibile prendere severissimi provvedimenti: sia per scoprire le manipolazioni, sia per un continuo controllo del funzionamento della funivìa. Un registratore di ciclo (meno sofisticato della scatola nera sugli aerei) basterebbe a segnalare secondo per secondo come si comporta ogni impianto, a quale velocità viaggiano le cabine, quante interruzioni di corsa avvengono eccetera. «Io e i miei avvocati vorremmo che questo non si ricordasse come il processo a un manovratore più o meno capace o a un caposervizio più o meno prudente. Vorremmo che si accertassero la faciloneria e il cinismo che si possono ancora trovare in varia misura fra privati tesi al profitto, enti pubblici carenti per controlli e progettisti incuranti della più importante esigenza che dovrebbe presiedere alle loro realizzazioni: assoluta sicurezza, tecnicamente raggiungibile, per migliaia di persone da trasportare appese a una fune ». Franco Giliberto

Persone citate: Barbato, Battello, Canzi, Fabio Rustia, Giorgio Rustia, Monari, Piovesana, Piscopo

Luoghi citati: Trento, Usa