Lutero e il lupo di Guido Ceronetti

Lutero e il lupo RACCONTO DELLA DOMENICA: CERONETTI Lutero e il lupo Lutero andava da Halle a Merseburg, a piedi, leggendo in latino le Sacre Scritture, e meditando sul dodicesimo capitolo di Daniele era specialmente attirato dal versetto che dice: « Et impìe agent impii ncque inlellegent omnes impii porro dodi inlellegent ». Nessuno degli empi capirà, gli intelligenti capiranno. Sembra cosa di ogni tempo, ma è detto per il tempo della fine. In fine dierum la sapienza di qualche doctus — sicuramente non proveniente da nessuna università o accademia scientifica — renderà trascurabile l'urlo enorme dell'empietà vittoriosa, oppure resterà ferma, contenta della luce, aspettando che tutto passi, tranquilla e indifferente. La luce è sempre stata molto scarsa nel mondo, ed è assurdo pretendere che abbondi nei giorni dell'oscurarsi di tutto. Ma perché questa contrapposizione tra impius e doctus? L'empio non può essere dotto? Evidentemente, per l'autore del libro, in quel punto veramente sacro, non può. Lutero era dottore, l'allievo di Staupitz, dottore su Dio: non è un dottorato empio? Un'immagine penosa lo costernò: un futuro riempito di licenziati da innumerevoli facoltà col titolo di dottore. Trovare in quei giorni, fra tanti dottori, un intelligente, non sarà facile neanche per l'angelo Gabriele. E lui, dottor Lutero, dottore secondo il peccato, trasportato al tempo dei sigilli saltati e delle coppe versate, dell'Agnello e del Drago, di cui avevano fornito al popolo cristiano immagini sostanziose, ma troppo ornate, i suoi amici Diirer e Cranach, sarebbe stato tra quelli che capiscono, dottore secondo la Grazia? Sarebbe stato capace di resistere, come all'impero e al papa, alle insidie sconosciute di quegli empi supremi che avrebbero avvolto in catene di confutazioni spietate la parola di Dio? Ringraziò il Signore di averlo fatto nascere in un tempo di normali rovine, perché le straordinarie e le ultime sono indecifrabili, confondono le idee a tutti, e l'intelligenza deve indicibilmente soffrire per capirne qualcosa. Intorno a lui era un bel silenzio di onesta campagna autunnale nordica, senza trombe angeliche né astri insanguinati. Lutero chiuse la Scrittura. Il crepuscolo gli acuiva intollerabilmente i pruriti e le trafitture nella parte bassa del corpo, costringendolo a rallentare il passo. Pensò che se a Sodoma non c'era stato, di giusti, che il solo Loth, gli intelligenti, in tutto il mondo, alla fine dei tempi, sarebbero stati al massimo ventiquattro, simmetria apocalittica, numero sacro scritturale, e destinati a significare molto, ma a contare pochissimo. Il loro fine non era di fare: potevano solo capire, capire, capire. La sua interpretazione, fissata per sempre nei caratteri a stampa, dell'ebraico reshàim (impii), abisso di male e di corruzione, come atei, nonostante l'orrore di questa parola, gli apparve inadeguata, ma non era più in tempo a modificarla. E neppure era certa la salvezza di quei pochi intelligenti: ne soffrirebbe il mistero dell'elezione divina. Basta distinguersi dalla tenebra dell'empietà per salvarsi? Non è piuttosto tra gli empi che l'aquila della Grazia artiglierà i suoi eletti? Lo sapeva dai tempi di Erfurt. Ma quale dottore non trema all'idea che siano proprio gli oscurati i prescelti? E' possibile arrivare ad invidiarli per questo? Eppure, perché l'elezione restasse gratuita, sovrana, impensabile, bisognava che non ne fosse esclusa alla fine dei giorni la finta e dannata intelligenza che avrebbe fatto da seducente pellicola al mare ributtante dell'empietà. Per un po', mentre seduto su una pietra si riposava, si perse nello sforzo d'immaginare un'intelligenza futura, capace di molte cose e coperchio dell'errore, del brutto e del Satana, l'intelligenza degli impii, e dove tuttavia il cielo avrebbe potuto pescare un certo numero di eletti, come se là in mezzo ci fossero stati dei dotti di Daniele, invece che soltanto dei miserabili dottori. Un giovane e florido mercante che passava lo riconobbe, lo salutò con grande rispetto e gli domandò se avrebbe accettato di fare la strada di Merseburg con lui. Lutero accettò volentieri, pregandolo di aiutare la sua vecchia pancia a tirarsi su. Mentre camminavano, il compagno di viaggio — si chiamava Corrado, ed era stato bene evangelizzato, con tutti i suoi, da Filippo a Zwickau — lo interrogava sulle specie della Cena e su passi scritturali, sui Giudei e sulle donne, su come sfuggire al Demonio e non perdere la fede nel Signore Gesù Cristo viaggiando in terre lontane e pagane. Non era uno stupido, era riguardoso e attento, e Lutero gli rispondeva con libertà e simpatia, come faceva quando era a tavola, con gli amici che prendevano devotamente nota di ogni sua parola. Si fermano a una locanda per mangiare e dormire, dove Lutero trova da trincare la sua birra preferita, che bevuta in grandi quantità gli scioglieva nei reni le maledette pietre. Tolto a un suonatore profano uno strumento ne trae qualche accordo sacro, ma per cantare non ha più forza. Il mercante gli fa lume e lo sorregge fino alla sua stanza. Lutero si corica vestito, pregando il Signore di farlo dormire senza spaventi e dolori. Dopo un paio d'ore di sonno è svegliato da un orribile strepito. Nella stanza vicina, dove dorme Corrado, sembra che si stiano scannando tra loro riformati e papisti, munzeriani e sassoni, e che i Quattro Cavalieri facciano una unica carneficina di vincitori e vinti. La gente della locanda è terrorizzata, tutti pensano giustamente a un'invasione diabolica. Ma Corrado non grida, non supplica aiuto o tregua. Lutero, pregato da quei poveri cristiani, ordina al Demonio di uscire, lo strepito si fa più forte, qualcosa di potente, in uno stridere di denti, tira il chiavistello della porta, esce un enorme lupo che getta a terra Lutero e due o tre donne dietro di lui, scende giù tra i cristiani fatti di sale e dopo aver saltato inferocito per la cucina, sfondata una finestra sparisce nella campagna. La stanza è vuota. Di Corrado gli abiti sparsi. Nessuno lo cerca, perché tutti hanno capito che Corrado è il lupo e figlio di Satana. Aiutano Lutero a rimettersi a letto e tutti insieme, nella sua stanza, cantano il salmo novantuno, con voci credenti ma ancora strozzate dallo spavento. Lutero si trattiene un giorno intero per rincuorarli. Lutero, avvicinandosi a Merseburg, meditava sui lupi della sera più volte nominati nella Scrittura, licantropi, lupi-uomini o uomini-lupo. Esistono: il Signore permette queste metamorfosi di sue creature, sebbene a condurre l'operazione sia Satana e sull'uomo che cambia natura penda la condanna eterna. Dio è una moltiplicazione di abissi e di enigmi: e se arrivasse a salvare il licantropo? Lutero allibiva davanti all'incomprensibilità umana: aveva incontrato un uomo buono, seguace dell'Evangelo, capace di ragionamento teologico come un vero dottore, ed eccolo nella notte trasformarsi orrendamente in lupo, rivelare come una malattia schifosa la propria servitù diabolica. — Dove sarà adesso? Qualcuno, speriamo, l'avrà ammazzato. — Sulla strada solitaria, un uomo nudo, che faceva salti per scaldarsi riparandosi la nudità con un ramo senza foglie, come poteva, gridava: — Dottor Lutero! Dottor Lutero! — Era Corrado e aveva l'aria vergognosa di un lupo che ha commesso qualche sanguinaria magagna e teme una punizione capitale. Lutero stava per maledirlo e buttargli addosso parole più nere del suo famoso calamaio, ma era ormai declinante, una repentina compassione lo rammollì. Corrado era sporco, trafitto dalle spine, esausto, e aveva un alito terribile di carni sbranate di fresco. Mentalmente Lutero recitò i due primi versetti del salmo cinquantanove, prendendo forza. Non erano molto più tremendi il papa, l'imperatore Carlo e Mùntzer? Eppure non erano riusciti ad abbattere il suo co¬ raggio. Tuttavia il profondo ghigno diabolico delle metamorfosi umane brucia le forze spirituali più di un cesare di carne, il quale non è che carne, e in qualche caso la stessa Parola stenta a prevalere sulla potenza delle tenebre. — Dottor Lutero, reverendo padre, pietà. Come faccio ad arrivare a Merseburg senza vestiti? — Questo discorso pratico accorciò le distanze tra il licantropo e il riformatore. Sebbene tentato di affidarlo alle cure del boia, Lutero promise di accompagnarlo, in vista della città, da una coppia di buoni evangelici, che volentieri vestivano i nudi. Quei bravi cristiani videro Lutero arrivare in compagnia di un uomo nudo ombrellato dal mantello del maestro, e non se ne stupirono, perché ne vedevano molti, soldati sbandati, vittime di ladri e di anabattisti, il cui alito non era diverso da quello di un lupo della sera. Non fecero domande e Lutero non raccontò niente. Corrado era infinitamente grato a Lutero: una sua parola, e per lui era la corda nella foresta o la fascina accesa. Glielo diceva con occhi di lupo imbarazzato e pentito. Lutero lo scrutava perplesso: se non l'avesse visto coi suoi occhi trasformarsi in lupo, avrebbe desiderato che fosse pastore; c'era nei suoi tratti qualcosa della dolcezza di Filippo. Si può provare simpatia per un evidente strumento di Satana? Rivestito, riposato, lavato, il mercante aveva presto riacquistato il suo aspetto florido: forse che, cadendo nella perdizione, guadagnava in salute? A bassa voce, sulla porta, confessava a Lutero come la cosa accadeva, delle forme diaboliche intraviste, della perdita fulminea ma transitoria della fede cristiana e della forma umana. — Salto su animali isolati o in branco, mi piacciono anche le donne e i bambini e lotto come Giacobbe per non mangiarne, come vorrebbe Satana. Merito di morire, ma se tu, buon padre, preghi Dio di liberarmi, forse il Demonio mi lascerà stare. — A Lutero piacque l'idea di salvarlo: — Vieni a casa mia a Wittemberg, la notte di Natale cercherò di scioglierti da Satana. — Corrado avrebbe potuto andare da lui soltanto alla fine di febbraio. — Per allora, disse Lutero, la mia carne sarà già ai vermi. Se vuoi bene alla tua anima, devi affrettarti. E se venissi come lupo? — Dovrai tenere in bocca un pezzo di ambra gialla. Cosi potrò riconoscerti e la porta ti sarà aperta. — La storia del lupo nella locanda correva dappertutto come centinaia di slitte. Corra¬ do, che proseguiva il suo viagcon prudenza, trovò che anche a Jena se ne parlava: i lupi erano diventati quattro e Lutero mostrandogli una Bibbia li stendeva morti. Intanto i contadini uccidevano qualche lupo sbrancato, e anche qualche vagabondo con faccia di lupo, sbagliandosi, ma con oneste intenzioni. Tornato da Merseburg a Wittemberg, Lutero ripensava all'empietà e all'intelligenza in fine dierum annullandone i confini all'interno dell'infinito arbitrio divino, che non solo fa il buono e il cattivo, ma li mescola inestricabilmente. E anche la diabolicità essenziale di una metamorfosi in lupo dentro la fondamentale umanità e la cristianità dell'anima di Corrado, nodo spaventoso e arcano, era un prodotto dell'assoluto arbitrio di Dio. La notte di Natale, Lutero aspettò inutilmente la visita del suo lupo. C'erano molti visitatori e discepoli, Wittemberg risuonava dei loro canti, ma Corrado non era con loro. Era ad Eisleben, non a Wittemberg, quando il suo cuore malato si ribellò e lo morse ferocemente, il 18 febbraio 1546, e intorno a lui crescevano le facce smarrite e le lacrime mute. Prima dell'attacco mortale, aveva parlato dei diavoli che lo tormentavano alla Wartburg, rovesciandogli addosso sacchi di noccioline. Allora Justus Jonas pensò di chiedergli, gridando forte per trapassare la cortina di Lete che la morte andava stendendogli sopra, se voleva morire appoggiandosi su Gesù Cristo e sulla dottrina da lui stesso insegnata. Fuori c'era un tremendo abbaiare di cani e gente che gridava, invocando aiuto e Cristo. Su Lutero stava soffiando Dio, curioso d'incontrare il suo vecchio campione. Alla domanda di Jonas, Lutero rispose come uno sposo che non ha perplessità: — SI. — Se Lutero avesse detto no ci sarebbe un'inammissibile assurdità, una fantastica incoerenza in più nell'assurdo e incoerente mondo, cosi molle e povero nella follia di Dio, e in tutto il paese riformato sarebbe scesa la notte polare. II sì di Lutero ci rassicura ancora, ma anche la sua voce si è fatta molto debole. Cittadini e cani stavano massacrando a morsi e bastonate un lupo che, mole minacciosa, era arrivato fino alla porta della casa dove Lutero rantolava. Mentre il lupo anche lui, sulla neve ghiacciata, rantolava — con un occhio che, a mendicare inutilmente calore d'intelligenza, fuorusciva — gli sfuggi dalla bocca un pezzo di ambra gialla. Guido Ceronetti Lutero, di L. Chranach

Luoghi citati: Eisleben, L'aquila