La Spagna ha provato il voto di Mimmo Candito

La Spagna ha provato il voto Dopo quarant'anni, ieri un gesto per la democrazia La Spagna ha provato il voto (Dal nostro inviato speciale) Madrid, 15 dicembre. La Spagna ha votato, un franchismo è finito. Non è ancora la democrazia, ma una società costretta dall'imposizione dei blocchi ideologici ha ceduto alla libertà delle scelte. Muore un regime, il sistema che gli sopravvive potrà essere anche democratico. Oggi, in spagna, era giorno lavorativo. Il Governo temeva che un referendum fatto di domenica avrebbe perduto il confronto con la fuga del week-end, la sua affermazione non poteva rischiare nemmeno la denuncia d'una percentuale ridotta. Aperte le fabbriche e gli uffici, si è concesso un premio di quattro ore: domani, la dichiaratone del presidente del seggio dovrà confermare che il «permesso» è servito (anche) al voto. Non si ha memoria di elezioni tenute in giorno feriale. Questa strana Spagna, che afferma di chiudere il suo passato, arriva alla democrazia con l'opportunismo delle necessità. In Calle Hospital San José, la scuola del barrio operaio di Getafe ospitava tre seggi elettorali. Si votava dalle 9 alle 20, gli scolari sono stati gli unici cittadini spagnoli a far festa, oggi. L'aria era di allegra confusione popolare, la gente si affollava ai tre tavolini con l'urna; i guardia civiles se ne stavano fuori a fumare. Nel quartiere residenziale del Serrano i seggi erano in tre salette scure del Tribunale di minorenni, in Calle Ortega y Gasset: abiti eleganti, silenzi sacri, la cerimonia rituale del potere che perpetua se stesso. Non c'è mai stata coda, i signori della ricca borghesia madrilena seguivano con stile la funzione. Gli ultimi ricordi son quelli di dieci anni fa, proprio quando si votò quella Ley Organica che il referendum di oggi annulla. Franco ebbe il 99 per cento dei voti, confessò con orgoglio a suo cugino (che lo riportò in un recente libro di scandalo) d'essere sempre stato certo che tutto il popolo spagnolo era con lui; ma furono trovati quasi due milioni di schede in più degli elettori censiti. Sono i misteri delle dittature. Il Governo di Juan Carlos rischia di dover sopportare"'! ricordi del passato, l'uscita dal franchismo può richiedere tramiti non del tutto chiari. A Getafe e al Serrano non c'erano i misteri della democrazia. Il voto è dato scegliendo una di tre piccole schede bianche, rettangolari; hanno tutte la stessa domanda (Aprueba el proyecto de ley para la reforma polìtica? ), una reca pia stampata la risposta «sì», un'altra il «no»; la terza ha lo spazio della risposta in bianco. Le schede erano state inviate a casa a tutti gli spagnoli maggiorenni, ma una panca vicino ai tavoli elettorali portava tre alte file di schede: chi aveva dimenticato la propria a casa poteva prenderne una, piegarla e infilarla nell'urna, davanti a tutti, naturalmente. Non ci sono timbri, né visti particolari, non ci sono cabine. A Getafe, veramente, non c'era nemmeno la pila delle schede col «no». Le manipolazioni non sono difficili, la segretezza del voto aleatoria. Il risultato era scontato. Perché il governo Suarez non può permettersi di perdere, ma anche perché oggi, in Spagna, non v'è forza polìtica che possa mettere in crisi questo governo, nemmeno il rapimento, ancora misterioso, di un Oriol y Urquijo. Il messaggio che il premier ieri sera ha rivolto agli spagnoli dagli schermi della tv aveva la stessa attività della tattica che il sistema sta usando per cancellare il regime e inglobare l'opposizione: Suarez ha l'iniziativa del fatto politico, l'antifranchismo istituzionale ne ha accettato le scelte e le condizioni, il referendum ne faceva parte. Comunisti e socialisti, che pubblicamente chiedevano l'astensione, in privato hanno spinto i militanti dei partiti a non astenersi troppo, per non indebolire il governo. La confusione ambigua di passato e presente segna il processo di transizione. Non vi sono certezze, la registrazione della realtà ha equivoci continui d'una mediazione ancora fluida. Uso della tecnica referendaria — tipica della dittatura franchista — e suf¬ fragio universale; legge di Reforma che abroga la struttura istituzionale del regime, ma formulazioni equivoche che non consentono alcuna garanzia politica; un meccanismo elettorale aperto, e carenza assoluta di controlli; affermazione della libertà d'opinione, ma intervento poliziesco sulle manifestazioni astensioniste. L'inevitabilità della contraddizione è nella scelta continuista del sistema; ma per la prima volta le decisioni erano personali, relative, non condizionate dall'unanimismo. Alle 23, il ministro delle Informazioni dice che il numero degli elettori che sono andati alle urne è vicino al 75 per cento; si va dall'85 di Avila, terra di Suarez, al 45 del Paese Basco. Le cifre plebiscitarie di Franco sono lontane. Stamane Dona Carmen Polo, la vedova di Franco, recatasi a votare in una sezione del centro, si è sentita chiedere i documenti di identità. Ha reagito con un sorriso freddo, ha risposto al presidente del seggio: «Non mi riconosce?». L'uomo la ha detto che così era la legge, imbarazzato e obbligato. La signora ha mostrato il carnet, ha deposto la sua scheda nell'urna, fra i flashes dei fotografi, poi si è presa gli inchini ed i baciamano dei tre membri del seggio. Non è una storia che finisce, anche se ne ha il sapore. La signora Franco avrà votato «no», e quarant'anni di regime passavano; ma il rispetto impacciato di chi ne uffi-' cializza la fine mostrava troppo i segni simbolici di una continuità. Mimmo Candito

Persone citate: Avila, Carmen Polo, Juan Carlos, Ortega, Suarez, Urquijo

Luoghi citati: Getafe, Madrid, Spagna