Il Concordato e la concordia di Raniero La Valle

Il Concordato e la concordia Il Concordato e la concordia Occorre riprendere il dibattito sulla revisione del Concordato al punto in cui è stato lasciato alla Camera dei deputati. La discussione parlamentare è stata molto bella, per ricchezza di analisi, impegno civile e realismo storico; tuttavia, nonostante la lunga attesa, e anzi proprio per la lunga attesa, il Parlamento ed anche il Paese e i partiti stessi sono stati colti di sorpresa dall'iniziativa di Andreotti; perciò molte cose, pur mature, non sono state dette e affermate con sufficiente determinazione e chiarezza. Ciò non deve ripetersi mentre è in corso, come è presumibile, un tentativo di revisione della revisione, se non si vuole che tutta l'operazione si concluda con un insuccesso. Nessuno può illudersi, infatti, e il presidente Andreotti meno di tutti, che la prossima volta in Parlamento il dibattito sarà facile e spedito; al contrario, sarà molto più difficile, perché quella larghezza di consensi che si è registrata sul principio della revisione, non esiste affatto sul modo della revisione, come risulta dal mandato fortemente condizionato con cui la Camera ha invitato il governo a continuare le trattative; e potrebbe non consolidarsi tale consenso se | la nuova proposta di accordo che sarà presentata non risulterà profondamente innovata nella lettera e soprattutto nello spirito. Perciò bisogna discuterne; nel Paese, ma anche nella Chiesa. Perché la Chiesa, voglio dire la Chiesa italiana, non ne sa nulla di questa bozza di accordo che si dovrà stipulare in suo nome e a suo conforto; e bisogna pur fare un bilancio pastorale della anchilosi missionaria indotta dalle false sicurezze concordatarie, e avere il coraggio di dire che le lacerazioni religiose prodottesi dopo la Costituente in Italia, dalla scomunica al referendum al ritorno integristico delle ultime elezioni, non dipendono da insufficienze concordatarie e non si risanano con operazioni giuridiche. I punti da chiarire sono numerosi. Per esempio, e mi pare un problema centrale che condiziona tutto il discorso, c'è un equivoco dal quale il dibattito parlamentare non ha saputo uscire; ed è l'equivoco secondo cui non ci sarebbe altra alternativa, per i rapporti tra Chiesa e Stato, che quella tra separazione e concordato. Tertium non datur. Ma questo è molto strano. In realtà anche senza Concordato, e perfino senza il secondo comma dell'art. 7, il sistema delineato dalla Costituzione italiana non sarebbe affatto un sistema separatista; la Chiesa vi è pienamente riconosciuta, la religione non è ridotta ad affare privato, e la libertà religiosa, non solo individuale, ma associata, è tutelata senza riserve; si tratta dunque di un regime di convivenza e d'intesa. E quanto al Concilio, benché esso di certo non propugnasse un regime di separazione, solo con molta fatica e a titolo ipotetico e concessivo ha ammesso, nel decreto sulla libertà religiosa, che «a una determinata comunità religiosa» (e quindi alla Chiesa) sia attribuita nell'ordinamento giuridico, per peculiari circostanze, «una speciale posizione civile»; ma più che di Concordato ha preferito parlare di «concordia» che spontaneamente si realizza tra libertà della Chiesa e libertà religiosa, quando quest'ultima sia riconosciuta come un diritto a tutti gli uomini e a tutte le comunità, e sia sancita nell'ordinamento. Ed anzi il Concilio ha usato una citazione di Pio XII sui concordati, mutandone completamente l'indicazione operativa: mentre Pio XII si aspettava dai concordati la garanzia per la Chiesa di «una stabile condizione di diritto e di fatto e la piena indipendenza nell'adempimento della sua divina missione», il Concilio usa le stesse parole applicandole non ai concordati, ma ai regimi dove «vige il criterio della libertà religiosa», in cui la Chiesa trova appunto tale stabilità e piena indipendenza. Del resto la riluttanza del Concilio a usare perfino la parola «concordato» non è occasionale ma deriva da tutta la sua prospettiva dottrinale; un concordato, come patto internazionale, comporta l'incontro di due sovranità; ma il concetto di sovranità della Chiesa, noto alla Costituzione italiana, è invece ignoto al Concilio, che parla piuttosto di reciproca indipendenza e autonomia, nel proprio campo, della comunità politica e della Chiesa; la sovranità è della Santa Sede, non della Chiesa, ed è una categoria politica di derivazione mondana, non di natura teologica, e per questo il Concilio ne tace. Perciò è chiaro che sia la Costituzione italiana sia il Concilio conoscono alternative ben più feconde e avanzate, che non il Concordato, al regime di separazione. Dunque si può sdrammatizzare la querela sul Concordato; ferma restando la «concordia» di cui parla il Concilio, e il regime di intesa postulato dalla Costituzione, il Concordato può essere discusso freddamente, come uno strumento provvisorio e possibile, non insurrogabile. Tutto dipende dunque dalla portata della revisione, che va perseguita lealmente. Per ora la bozza proposta da Andreotti, più che inadeguata, è mortificante, sia per lo Stato, che si vede chiedere libertà civili, per i soli cattolici, già sancite dalla Costituzione, sia per la Chiesa, quando ad esempio sorvola sul matrimonio come «sacramento», non per un omaggio allo spirito laico dello Stato, ma semplicemente per mascherare l'anacronismo di una trascrizione in virtù della quale un matrimonio che nasce in chiesa come sacramento finisce in tribunale con un divorzio (mentre sarebbe ormai più corretto riconoscere che da un'unica celebrazione discendono due autonomi rapporti nei due ordinamenti). In effetti la revisione dovrebbe essere ben più magnanima e lungimirante. Ma è da discutere se essa debba prendere le forme di un Concordato del tutto nuovo: come potrebbe sostenersi che è ancora quello del '29, coperto dalla garanzia del secondo comma dell'art. 7 della Costituzione? A evitare future contese, si dovrebbe forse procedere in modo più articolato. Nei riguardi del vecchio Concordato ci si dovrebbe limitare alle demolizioni necessarie e a un restauro conservativo non dissimile da quello che si fa per i vecchi palazzi romani, quando non se ne impadronisca la speculazione edilizia; non vi si dovrebbero introdurre ascensori o aprire nuove stanze, cioè non vi si dovrebbero includere nuove materie e nuovi privilegi (come fa la bozza Andreotti). A un testo cosi bonificato si potrebbe premettere una dichiarazione di principi, in cui si affermino le grandi idee, di libertà religiosa per lo Stato e di rinunzia della Chiesa ai bracci secolari e alle interferenze politiche, da cui dipende oggi il nuovo consenso tra Chiesa e Stato, e dunque la pace religiosa. Infine, per nuovi problemi o per le materie per cui è necessaria una più sostanziale revisione (insegnamento religioso, matrimonio, enti ecclesiastici) si potrebbe procedere contestualmente con leggi normali, passibili dunque di un penetrante esame parlamentare, in amichevole anche se informale intesa con la Santa Sede, come Andreotti ha fatto del resto per la legge sui giorni festivi, che innova l'art. 11 del Concordato. Raniero La Valle

Persone citate: Andreotti, Pio Xii

Luoghi citati: Italia