La maggioranza nel ghetto di Paolo Garimberti

La maggioranza nel ghetto INCHIESTA NEL SUDAFRICA DELL'APARTHEID La maggioranza nel ghetto Quattro milioni di bianchi sono riusciti a isolare diciotto milioni di negri - Ma la tensione rischia oggi di precipitare in un violento confronto razziale - La fittizia indipendenza delle "homelands" non è stata riconosciuta da nessun Paese del mondo (Dal nostro inviato speciale) Johannesburg, dicembre. Il Sudafrica offre al primo sguardo un quadro di straordinario lindore, di una opulenza quasi sfacciata. Dall'aereo, che plana su Johannesburg, si vede una costellazione di piscine, sovente affiancate dal campo di tennis. Vi sono circa 40 mila piscine private e quasi 20 mila campi di tennis nei quartieri residenziali strettamente riservati ai bianchi: il loro costo medio è di 20 milioni di lire, più un'onerosissima manutenzione. «La piscina e il campo di tennis sono gli status symbols della nostra società opulenta: fanno parte dell'arredamento della casa, come il frigorifero e il televisore», dice un giovane avvocato di origine italiana, ma nato in Sudafrica. A parte un piccolo centro degli affari, che ricorda Hong Kong e la City londinese insieme, Johannesburg — come le altre grandi città del Sudafrica — si estende per chilometri e chilometri in una successione di ville affondate nel verde e trasudanti benessere. I trasporti pubblici sono quasi inesistenti: pochissimi gli autobus, circa 500 i taxi per una popolazione bianca di un milione di persone. «Eppure — dice il conducente di un'auto pubblica, un greco che vive da undici anni a Johannesburg — fatichiamo a trovare i clienti, spesso trascorrono ore senza una corsa». Il numero di auto private in proporzione alla popolazione urbana è tra ì piìi alti al mondo, quasi due vetture per ogni famiglia. Siamo nella punta estrema di un'Africa che sta diventando sempre più nera e sempre meno bianca. Però, qui poco più di 4 milioni di bianchi sono riusciti a dare un'impronta tutta europea al paesaggio e all'ambiente, isolando 18 milioni di negri, respingendoli nei loro ghetti. La presenza dei negri nelle aree urbane è sommessa e discreta, specie dopo le ore di lavoro o nei fine settimana. Le leggi, fatte dai bianchi, impediscono il contagio, o lo riducono al minimo indispensabile. L'immorality Act punisce con multe e reclusioni i rapporti sessuali tra persone di pelle diversa. La legge sul Job Reservation riserva ai bianchi i lavori più qualificati. I decreti sulle «aree riservate» impediscono ai negri di vivere nei quartieri destinati ai bianchi. Nei sobborghi negri delle grandi città — Soweto, Alexandra, Guguletu — il quadro sudafricano muta radicalmente: Harlem e le borgate romane fusi insieme in sterminati ghetti maleodoranti, humus fertile di malavita, stupri e violenze d'ogni genere. La civilissima convivenza dei quartieri residenziali bianchi, fondata su un britannico rispetto della privacy altrui, diventa aspro antagonismo quotidiano nei sobborghi neri, dove la casa, più che un diritto, è una concessione del bianco, elargita dalla Bantu Administrai tion fbantu è parola comune ai dialetti tribali dei negri e vuol dire «uomo»). La casa viene assegnata soltanto a chi ha un lavoro. Chi resta disoccupato deve tornare alla sua homeland, la terra d'origine della tribù. Se il capofamiglia perde il lavoro o muore, moglie e figli vengono sfrattati. Secondo le statistiche, il Sudafrica ha realizzato uno dei più grandi boom economici del dopoguerra, forse il maggiore in assoluto. Il prodotto nazionale lordo è aumentato dì 12 volte tra il 1946 e il 1969: dopo gli Anni Sessanta, la produzione globale è cresciuta al ritmo del 10 per cento l'anno. Questo fantastico sviluppo è stato edificato sulle ricchezze naturali del Paese e sulla manodopera negra. «Difatti — dicono i rappresentanti del governo — i negri sudafricani sono i più benestanti dell'intera Africa nera». «E' un controsenso — re¬ plica Helen Suzman, una ricca signora di raffinate maniere, che da oltre ventanni guida l'ala più battagliera dell'opposizione —; si valutano i salari dei negri come se fossero lavoratori stranieri. Invece vanno paragonati con quelli dei loro compatrioti, cioè dei bianchi sudafricani». Il salario medio di un negro è soltanto la dodicesima parte di quello di un bianco e 10 Stato spende diciassette volte di più per l'educazione scolastica dei bianchi che per quella dei negri. Ecco le contraddizioni delZ'apartheid (che vuol dire «separazione» in afrikaans, 11 dialetto olandese che ì boeri, venuti qui trecento anni fa, hanno elevato a dignità di lingua). Sino a ieri queste contraddizioni non sono andate oltre la sfera socioeconomica e qualche concessione da parte dei bian- | chi — la cosiddetta petty apartheid — era sufficiente ad attenuare le insoddisfazioni dei negri. Ma da qualche mese a questa parte, dopo i moti di giu¬ gno nei sobborghi negri delle grandi città, tali contraddizioni sono sfociate in una tensione politica che rischia di portare il Sudafrica ad un violento confronto razziale sul piano interno e al completo isolamento sul piano internazionale. Perciò, l'intransigenza del governo — che ha reagito alla ribellione dei negri arrestandone centinaia, forse migliaia, e inasprendo ancor più la sua ideologia segregazionista — incontra ora dissensi sempre più vasti, non soltanto nei due partiti d'opposizione (che raccolgono soprattutto i bianchi di lingua inglese), ma anche nel mondo degli affari e persino nel partito nazionalista degli afrikaners, al potere dal 1948 con una schiacciante maggioranza in Parlamento. La strategia della sopravvivenza del primo ministro John Vorster — basata sullo «sviluppo separato» delle varie popolazioni africane e su una progressiva integrazione razziale, ma limitata a settori di secondaria importanza — viene giù- dicaia illusoria da molti bianchi e respinta dalla maggioranza dei leaders tribali negri. Il processo di «sviluppo separato» ha per obiettivo la trasformazione delle terre di origine delle nove principali tribù negre sudafricane in altrettanti territori indipendenti fhomelands o bantustans;. In questo modo, i bianchi — che rappresentano il 17,2 per cento della popolazione sudafricana — si riservano il 77 per cento della superficie del Paese, lasciando ai negri, cioè al 70,6 per cento della popolazione, 154 mila chilometri quadrati da dividere in nove parti, a loro volta suddivise ancora in altri frammenti (perché l'unità etnica delle tribù negre è fittizia: gli Zulù, i più numerosi, si compongono di almeno dieci sottotribù). Ma la politica dello «sviluppo separato» è ingiusta non soltanto dal punto di vista quantitativo. Secondo le previsioni, almeno 8 milioni di negri continuerebbero a vivere nella parte bianca del Paese, dove sono nati e lavorano, senza alcun diritto civile e politico poiché sarebbero considerati né più né meno che come «lavoratori stranieri». Inoltre, tutte le maggiori fonti di ricchezza del Paese e quasi tutte le industrie sono situate nel territorio riservato ai bianchi e le homelands negre avrebbero quale unica risorsa l'agricoltura: «E' una libertà politica di secondaria importanza combinata con una reale schiavitù economica», sostiene Gatsha Buthelezi, il capo degli Zulù. Perciò, dei nove leaders negri soltanto due hanno accettato la politica dello «sviluppo separato»: Kaiser Matanzima del Transkei (il territorio di 3 milioni e 300 mila Xhosa, diventato Stato indipendente il 26 ottobre) e Mangope del Bophuthatswana, che dovrebbe essere dichiarato Stato sovrano entro il prossimo anno. Ma la proclamazione d'indipendenza del Transkei è stata sinora un grande fiasco diplomatico per Vorster: il nuovo Stato non è stato riconosciuto da alcun Paese al mondo e le Nazioni Unite hanno invitato gli Stati membri ad attenersi alla risoluzione del dicembre 1974. che invitava tutti i governi «a non riconoscere in alcun modo le istituzioni e le autorità create nel quadro di tale politica». In attesa di convincere i negri sudafricani e la comunità internazionale ad accettare la politica dello «sviluppo separato», il governo cerca di migliorare la propria immagine all'interno e all'estero facendo quelle che i militanti negri definiscono « concessioni cosmetiche ». L'apartheid non si applica più alle panchine dei parchi pubblici, agli ascensori, ad alcuni sport, agli alberghi di una certa categoria e ad alcuni ristoranti, dove ai negri è consentito di mangiare a fianco dei bianchi, ma non di ballare insieme con loro. Ancora qualche anno fa, simili misure sarebbero apparse rivoluzionarie. Oggi, invece, hanno soltanto il potere di irritare i negri e fomentarne il risentimento razziale. Incoraggiati da quanto è accaduto nei Paesi vicini (nelle ex colonie portoghesi e, soprattutto, in Rhodesia) e dalle crescenti critiche al governo di Vorster provenienti dal mondo esterno, i negri sudafricani ora esigono tutto e subito. Le rivolte di giugno nei ghetti negri (che soltanto a Soweto, sobborgo di Johannesburg, hanno fatto 350 morti e forse più) non sono state provocate da un improvviso e casuale corto circuito razziale, bensì sono state il risultato di un processo di ribellione che maturava da tempo soprattutto nelle nuove generazioni. Quando una commissione governativa si è recata a Soweto per indagare sui disordini, il sindaco Tolica Makhaya ha ammonito gli inquirenti: «Noi siamo l'ultima generazione di negri che ha ancora voglia di negoziare. Ma i giovani ci chiamano vecchi babbei perché non siamo stati capaci di ottenere alcuna riforma sostanziale in tanti anni» . Paolo Garimberti Johannesburg. L'arresto di un dimostrante nel centro della città (Telefoto Upi)

Persone citate: Buthelezi, Helen Suzman, John Vorster, Kaiser, Soweto, Tolica Makhaya

Luoghi citati: Africa, Hong Kong, Rhodesia, Sudafrica