Il fascino dell'opera dal "vivo,, nelle esecuzioni di 30 anni fa di Massimo Mila

Il fascino dell'opera dal "vivo,, nelle esecuzioni di 30 anni fa LE NOVITÀ' DISCOGRAFICHE Il fascino dell'opera dal "vivo,, nelle esecuzioni di 30 anni fa Sotto il titolo Opera Uve, la Cetra getta sul mercato tre scatoloni che desteranno l'Interesse, e forse discussioni appassionate, dei tifosi del melodramma. SI tratta di nove opere, per un totale di 28 dischi, colte in famose esecuzioni pubbliche di circa trent'anni fa, per mezzo di registrazioni che in parte circolavano già sottobanco in dischi pirata ed ora sottoposte ad accurata ricostruzione dai tecnici Plinio Chiesa, Massimo Becagli, Franco Uggeri. Il risultato conserva naturalmente gli inconvenienti delle riprese dal vivo: rumori di sala, applausi, e in genere una presa di suono che è lontana dalla levigatezza sterilizzata a cui pervengono, attraverso infinite ripetizioni e sostituzioni, le riprese fatte in studio d'incisione. Ma d'altra parte si tratta di documenti vivi, Insostituibili per dare l'Idea di un costume interpretativo del recente passato e permetterne il confronto con le abitudini attuali. La prima scatola (Cetra LO 1/2/3) è centrata sul tenore Giuseppe Di Stefano, e In verità il suo Interesse non va oltre quello meramente fisico della vocalità. Neanche l'ombra di una consapevole interpretazione stilistica nel Faust di Gounod (Metropolitan 1949) diretto dal canadese Wilfrid Pelletier, dove Di Stefano ha a colleghi la Klrsten, Tajo e Léonard Warren. Né nella Favorita di Donizetti, eseguita a Città del Messico nel 1950, sotto la direzione d'uno sconosciuto Renato Cellinl: protagonista la Simionato, altri interpreti, oltre a Di Stefano, Cesare Siepi ed Enzo Moscherlni. Nel Barbiere di Siviglia eseguito al Metropolitan nel 1950 (protagonista Valdengo, altri interpreti Llly Pons, Salvatore BaccaIoni e Jerome Hlnes) la direzione di Alberto Erede cerca di ricondurre I focosi puri sangue affidati alla sua bacchetta sotto un disegno di responsabilità stilistica. Le discussioni più appassiona¬ te dovrebbe destarle la scatola verdiana (Cetra LO 4/5/6), e le impegnatissime note illustrative — di Franco Soprano, Luigi Bellingardl, Mario Messinis e Aldo Nicastro — sembrano fatte apposta per provocarle. Il Ballo In maschera diretto al Metropolitan nel '55 da Dimitri Mltropoulos dovette servire al grande direttore come un primo contatto con l'arte verdiana, foriero di quell'ottimo Ernan! ch'egli ebbe poi a dirigere in Italia. Ma qui, a parte lo splendore dell'orchestra quando ha la possibilità di emergere In primo piano, non v'è consapevole Interpretazione unitaria: i cantanti sono abbandonati a se stessi, spesso alle loro cattive abitudini, e non è detto che i più famosi — Il tenore Richard Tucker e il soprano Zinka Milanov — facciano la miglior figura. Francamente appaiono più soddisfacenti il corretto baritono Josef Metternich e la vitalissima Jean Madeira, una cantante geniale che non ha avuto riconoscimento pari ai suol meriti. In Italia molti ricordano ancora / Vespri siciliani del Maggio Musicale Fiorentino 1951, sotto la di¬ rezione di Erlch Kleiber, con una Callas nel pieno flore delle sue risorse vocali e drammatiche, e un Boris Chrlstoff altrettanto giovanile e lucido. Ma più d'ogni altro documento riesce stimolante l'esecuzione deW'Otello diretta a Salisburgo nel 1951 da Wilhelm Furtwangler, con Ramon Vlnay protagonista, Draglca Martinis nella parte di Desdemona, Sleglinde Wagner in quella di Emilia, Paul Schòffler come Jago, Anton Dermota come Cassio, e Josef Grelndl nella parte solenne dell'inviato veneto Ludovico. Le voci di cosi illustri cantanti sono spesso una delusione: quella di Vinay, celeberrimo Otello di quei tempi, è francamente brutta (si senta il suono arrangolato di « E tu, come sei pallida •), l'intonazione dello scaltrissimo Schòffler lascia a desiderare, Dermota è quel finissimo e colto stilista che tutti ricordano, ma di voce piccola e un po' nasale, la Martinis non era un soprano eccezionale. Pure è una delle esecuzioni più commoventi e entusiasmanti che di Otello sia dato sentire, bruciata nel fuoco d'una passione che non conosce cedimenti, subordinata in- teramente all'Imperativo categorico dell'intensità d'espressione drammatica. No, mi dispiace, non è un'esecuzione wagnerizzante, è semplicemente un'esecuzione intensa, che soggioga in un concetto unitario le forze, non eccelse, dei singoli cantanti e scatena tutto il corrusco balenio di espressionismo avanti lettera che infuria nella partitura. E riescono benissimo anche le parti più ■ italiane > dell'opera: l'eroismo di « Ora e pei sempre addio », lo scavato recitativo del « Credo » di Jago e la torreggiante maestà del giuramento marmoreo. Lo spazio non consente ormai di soffermarsi sulla più preziosa, e in certo senso esemplare, delle tre raccolte. Quella di tre opere di Mozart eseguite a Salisburgo sotto la direzione di Furtwangler (Cetra LO 7/8/9). Il Don Giovanni, del 1954, ha Siepi per protagonista, la Griimmer (Donna Anna), la Schwarzkopf (Donna Elvira), Erna Berger (Zerlina), Anton Dermota, Otto Edelmann (Leporello) e Walter Berry (Masetto). Curiosamente non è indicato l'interprete del Conte, che doveva essere Raffaele Arie: a quei tempi il personaggio non era ancora stato rivalutato dall'interpretazione determinante di Fischer Dieskau. Le nozze di Figaro, del 1953, hanno un cast eccezionale: la Schwarzkopf, la Seefried, Hilde Guden, Schòffler, Kunz, Pernerstorfer, Slegllnde Wagner, Erlch Majkut: ma purtroppo l'opera è cantata in tedesco! Infine // //auro magico, del 1951, ha per interpreti principali la Seefried e Dermota, Josef Grelndl come Sarastro, Wilma Lipp come Regina della Notte, Schòffler come Sommo Sacerdote. Kunz è Papageno, fra le tre Dame si trovano artiste come Chrlstl Goltz e Slegllnde Wagner. Documenti mozartiani memorabili, da cui ci sarebbe da trarre insegnamenti a non finire. Massimo Mila

Luoghi citati: Città Del Messico, Emilia, Italia, Salisburgo, Siviglia